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DIRITTO ALLA VITA

Aosta, fake sull'aborto ostacolato. Sconcertante Roccella

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Le femministe accusano volontari pro-vita di obbligare le donne che vogliono abortire ad ascoltare il battito del cuore. Pronta smentita dell'Ausl locale, ma il ministro per la Famiglia ne approfitta per affossare la proposta di legge "Un cuore che batte".

Vita e bioetica 29_04_2024

Le femministe del Centro donne contro la violenza di Aosta hanno denunciato sabato 27 aprile che alcune donne, che si sarebbero recate in presidi ospedalieri pubblici, sarebbero state costrette ad ascoltare il battito cardiaco da alcuni volontari pro-life, per dissuaderle dal procedere con l’aborto. Immediate e scontate le polemiche lanciate da sinistra, che non si sono placate neanche dopo la pronta smentita dell’Ausl di Aosta che ha dichiarato che «non risultano volontari di associazioni provita nei consultori o in ospedale e nessuna segnalazione in tal senso è arrivata all’Azienda e al Dipartimento politiche sociali né da parte di cittadini né da parte di associazioni».

Sul caso è intervenuto anche il Ministro per la Famiglia Eugenia Roccella, nel corso del dibattito “Obiettivo natalità” tenutosi in seno alla conferenza programmatica di FdI, “L’Italia cambia l’Europa”, che si sta svolgendo a Pescara. «Far sentire il battito del nascituro a una donna che sta andando ad abortire certamente non è un modo per aiutare le maternità difficili. È una cosa che non bisogna fare, però non è stato certamente un volontario a fare questo perché per far sentire il battito c'è bisogno di un'ecografia e di un ginecologo, quindi si tratta di una prassi che evidentemente è stata di qualche ginecologo e quindi è giusto che casomai sulla stampa emerga questa cattiva prassi medica».

Bene ha fatto la Roccella ad evidenziare l’impossibilità che un volontario sia riuscito a far ascoltare il battito cardiaco alla madre. La segnalazione delle femministe peraltro ha tutta l’apparenza di una grossa bufala: guarda caso, infatti, prende di mira contemporaneamente la proposta di legge Un cuore che batte e il possibile inserimento di associazioni pro-life nei consultori proposto di recente dal governo.
In tal senso la Roccella ha fatto male a dare per vero questo fatto, imputando la scelta di far ascoltare il battito ad un ginecologo. C’è da ipotizzare che nessun ginecologo abbia compiuto quest’azione soprattutto perché i medici obiettori sono estromessi da tutto l’iter abortivo, procedure di diagnosi comprese.

Sul resto il Ministro ha confermato la sua posizione liberal in tema di aborto e più in generale sui temi eticamente sensibili. Appare chiarissimo il suo tentativo di affossare la proposta di legge Un cuore che batte. Ma entriamo più nel merito.

Innanzitutto viene da chiedersi perché dovrebbe essere una cattiva prassi medica quella di far ascoltare il battito cardiaco del feto. Si parla tanto di consenso informato e di libertà di scelta della donna e dunque, assumendo questa prospettiva che nei suoi termini radicali è erronea, perché non far prendere consapevolezza alla donna che nel suo ventre c’è suo figlio? Perché dissuaderla dal tenere il bambino non facendole ascoltare il suo battito? Non è violentare la sua libertà privandola di un’opzione? Dunque anche usando la grammatica erronea dei pro-choice arriveremmo alle medesime conclusioni dei pro-life, che però come premessa partono dalla intangibilità del nascituro: bene far ascoltare il battito cardiaco del feto.
Ed usando invece una grammatica propria di una sana antropologia si potrebbe aggiungere: stornare la donna da un figlicidio tramite l’ascolto del suo battito è atto che rende la persona libera; di contro, permetterle di compierlo, privandola di questo stimolo uditivo, la renderà schiava per sempre dei sensi di colpa.

In secondo luogo questa pratica potrebbe rientrare benissimo, senza il bisogno di una proposta di legge ad hoc, in quegli esami diagnostici che un medico, in scienza e coscienza, potrebbe prescrivere in vista di un aborto. Di converso, dove sarebbe finita la libertà della professione medica? Questa scelta potrebbe rientrare pianamente nel comma 2 dell’art. 5 della 194: «Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della dignità e della libertà della donna; valuta con la donna stessa […] anche sulla base dell'esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la determinano a chiedere l'interruzione della gravidanza». Primo punto: chi decide della necessità di alcuni accertamenti? Il medico.

Secondo punto: far ascoltare il battito cardiaco lede la dignità della donna e la sua libertà? Sulla libertà ci siamo già espressi in precedenza. Sulla dignità è facile argomentare: solo le azioni buone sono consone all’intima preziosità della persona. Far ascoltare il battito per dissuadere una donna dall’aborto è atto consono alla dignità della persona. Consigliare l’aborto è invece contrario a tale dignità.

Terzo punto: il comma 2 poi ci dice che il medico può valutare insieme alla donna ed eventualmente al padre i motivi per cui vuole abortire. Ovviamente ciò sottintende l’intenzione di stornarla dall’aborto, altrimenti perché valutarli se ho di fronte una donna che vuole abortire? Quarto punto: sempre nel comma 2 si aggiunge che tale valutazione tesa a far nascere il bambino si può avvalere anche degli accertamenti clinici, tra cui quindi anche l’ascolto del battito cardiaco. In soldoni, l’ascolto del battito può far cambiare idea alla donna ed è quanto indicato dal comma 2.

D’altronde il fine dissuasivo è presente – seppure pro forma – nella stessa 194. Solo per citare il passaggio più esplicito: «I consultori familiari istituiti […] assistono la donna in stato di gravidanza: […] d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza». E far ascoltare il battito non può essere un modo per superare le cause che inducono ad una scelta abortiva?

Si potrebbe obiettare che il medico può anche ascoltare solo lui il battito cardiaco, senza necessità di farlo ascoltare alla madre. Si risponde che in genere il paziente è sempre interessato a prendere conoscenza degli esiti degli esami diagnostici, altrimenti perché farli? E poi sarebbe una proposta, non una imposizione. Una possibilità, non un dovere. Ciò detto, però ricordiamo che già oggi chi chiede un aborto deve procedere a certi esami diagnostici. Non vuoi farli? Non puoi abortire, ex lege 194.

Eppure di fronte a tutte queste argomentazioni, la Roccella ha avuto il coraggio di affermare: «Far sentire il battito del nascituro a una donna che sta andando ad abortire certamente non è un modo per aiutare le maternità difficili. È una cosa che non bisogna fare».



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