Anche una piccola formica può rovinare la nostra esistenza
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Sin dalla notte dei tempi gli esseri umani coltivano l'aspirazione a fuggire dalla quotidianità per cercare la felicità nella natura incontaminata. La ritroviamo nell'incipit del lungo racconto "La formica argentina".
Noi non lo sapevamo, delle formiche, quando venimmo a stabilirci qui. Ci sembrava che saremmo stati bene, il cielo e il verde erano allegri, forse esageratamente allegri per i pensieri che avevamo, io e mia moglie; come potevamo supporre la storia delle formiche?
L’incipit del lungo racconto La formica argentina nasconde nella sua semplicità l’aspirazione che dalla notte dei tempi coltivano gli esseri umani: fuggire dalla quotidianità, dai problemi, da una società e da un mondo malati, dove imperversa il male per ritirarsi nella campagna, nella natura incontaminata, dove si potrà finalmente vivere felici.
È una delle tentazioni maggiori per l’uomo. Attraversa tutta la storia del pensiero e della cultura da tempi immemori: è la tentazione di attribuire la causa dell’infelicità umana alle condizioni contingenti e storiche in cui si è costretti a vivere, al progresso, all’incivilimento. È l’illusione che esistano luoghi in cui il male di vivere, i fastidi, i dolori non esistano e si possa così affrontare la vita senza croci.
È un’utopia che millenni or sono, nella classicità, aveva assunto il nome di età dell’oro (per sottolineare la collocazione di quell’età felice) oppure di Arcadia (il luogo ove era possibile vivere senza lavorare, senza la guerra, senza i tormenti provocati dall’amore). Due secoli fa questa linea di pensiero trovò la sua espressione migliore nel mito del buon selvaggio di Jean-Jacques Rousseau, corroborato dalle relazioni confezionate ad arte dagli esploratori sulle popolazioni incontrate a Tahiti nella seconda metà del Settecento. I ricercatori sulle nuove popolazioni non raccontarono quello che effettivamente videro (ad esempio, la tendenza a guerreggiare), ma, istruiti alla perfezione dalla madrepatria, costruirono l’immagine di popoli che non conoscevano ancora il male, l’egoismo, lo sfruttamento, la corruzione dell’Europa.
Nell’epoca contemporanea quest’illusione è stata incarnata dalla vicenda reale di Christopher McCandless, che, una volta laureato, nel 1990 abbandonò la società consumistica, la famiglia con cui aveva un pessimo rapporto, assunse il nome di Alexander Supertramp, lasciò i suoi soldi in beneficienza e solo, con lo zaino in spalla, girò per gli Stati Uniti, il Messico, fino all’Alaska alla ricerca della bellezza, della verità, dell’autenticità, lontano dalle forme, dalle convenzioni, dalle ipocrisie in cui si trovava immerso. Morì nel 1992 mangiando bacche velenose. La sua storia è stata immortalata nel bellissimo film Into the wild girato da Sean Penn.
Il conterraneo di Calvino Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura, ha descritto il male di vivere nei versi Spesso il male di vivere ho incontrato con le immagini del «rivo strozzato che gorgoglia», dell’«incartocciarsi della foglia/ riarsa», del «cavallo stramazzato». In quella poesia che appartiene alla prima raccolta Ossi di seppia (1925), che non rappresenta l’esito finale del pensiero di Montale, lo scrittore identifica nel distacco da quel male e nell’indifferenza (descritti con le immagini del «falco alto levato”, «la statua nella sonnolenza del meriggio», «la nuvola») la possibilità di assaporare un bene, seppur parziale. Già dalla seconda raccolta le occasioni di bene saranno ben diverse, rintracciabili negli incontri, nel miracolo del vivere e nell’amore.
Calvino, che considera Montale uno dei suoi riferimenti principali, rappresenta lo stesso male di vivere ne La formica argentina, racconto basato su fatti davvero accaduti a San Remo e nella riviera di Ponente tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento e pubblicato per la prima volta nel 1952, quindi un anno prima che lo scrittore si recasse al Cottolengo ed avesse l’intuizione di scrivere La giornata di uno scrutatore.
Lo zio Augusto aveva sempre descritto la vita in quella terra più facile, il guadagno, «se non assicurato», almeno probabile. Il chiarore dell’aria dopocena, «il piacere di girare per la campagna», le osterie rendevano felice lo zio. Ma appena il protagonista si trasferisce con la moglie e il figlio piccolo nel paese, non si sente tranquillo, anzi, in un luogo apparentemente contento, si sente ancora più disgraziato: con il bambino appena guarito, con un lavoro ancora da trovare. Tutte le raccomandazioni che la signora Mauro impartisce nel mostrare la casa accrescono nei due coniugi l’idea di addentrarsi «in un difficile mare», anche se il narratore nutre la segreta speranza di essere finalmente entrato in una nuova fase della sua vita in cui possa assaporare la gioia della famiglia.
Incontrando i vicini di casa, il signor Reginaudo e la moglie, per la prima volta il protagonista sente parlare delle formiche, ma non dà importanza al discorso. La sera dello stesso giorno, però, vicino al lavandino del bagno i due avvistano una fila interminabile di formiche, «minuscole e impalpabili», che procedono «senza posa».
È la formica argentina, che si muove in ogni direzione e che non si riesce a fermare anche se si chiudono le mani a pugno.
Se il narratore assume dapprima l’atteggiamento di chi vuole insegnare alla moglie la natura della formica argentina, la moglie, invece, è assalita dalla furia di distruggere e disperdere quelle formiche. Di certo il protagonista si era immaginato ben diversa la prima notte nella nuova casa:
L’andare a dormire la prima volta nella casa nuova non fu come avrei sperato; a consolarci non era il sollievo dell’incominciare un’altra vita, ma il callo del tirare avanti sempre in mezzo a nuovi guai.
Chi non ricorda il trasferimento di Renzo e Lucia dopo il matrimonio nel primo paese della bergamasca dove sperano di trovare finalmente la felicità tanto aspettata dopo le traversie di due anni. Si crea una forte attesa per vedere quella donna, ma quando finalmente la sposa giunge in paese, le persone incominciano ad esprimere giudizi non sempre lusinghieri sull’aspetto della ragazza. Qualche «amico» pensa di riportare i commenti a Renzo che cova dentro di sé un’ira pronta ad esplodere.
Finalmente Renzo ha la possibilità di cambiare paese e di comprare lì un filatoio assieme al cugino Bartolo. Ma i fastidi iniziano a farsi sentire anche lì. La vita dell’uomo non è mai perfetta, immune dalla sofferenza e dai problemi. L’uomo è come un infermo che desidera cambiare letto, guarda quello altrui e lo vede più comodo e confortevole. Quando finalmente riesce a trovare un altro giaciglio, inizia a sentire «qui una lisca che lo punge, lì un bernoccolo che lo preme: siamo in somma, a un di presso, alla storia di prima».
Nel racconto di Calvino, la prima notte nella nuova casa papà e mamma sono svegliati dalle urla del figlio che finalmente da qualche tempo stava meglio. Ora, però, nel suo letto un nuovo problema è insorto: la formica argentina. Sul suo corpo si muovono impalpabili piccolissime formiche. Come si potrà affrontare quel problema che era dapprima insospettato e inatteso, poi non percepito come temibile e ora individuato come sempre più invasivo e fastidioso? Cosa faranno i due sposi? Come lo affronteranno gli altri personaggi della storia?
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