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GUERRA AI NASCITURI

Altri milioni per l’aborto, Biden accresce i fondi all’Unfpa

Dopo i tagli di Trump la Casa Bianca vuole stanziare, per il 2023, 56 milioni di dollari in favore del Fondo Onu per la Popolazione: un incremento del 72% rispetto all’anno in corso. Messe da parte le restrizioni che vietavano di usare i fondi per l’aborto o per programmi in Cina. Il cui regime comunista vanta una lunga collaborazione con l’Unfpa fin dalla politica del figlio unico e continua oggi sterilizzazioni e aborti forzati. Più che raddoppiata (2,6 miliardi) anche la torta globale per l’uguaglianza di genere, in buona parte destinata ai diritti Lgbt e ancora alla soppressione dei nascituri nel mondo.
- CORTE SUPREMA, CONFERMATA L'ABORTISTA JACKSON, di Luca Volontè

Attualità 09_04_2022

Se si tratta di favorire l’aborto nel mondo, come del resto sul fronte interno, non ci sono “diritti umani” che tengano. Né quelli dei bambini nel grembo materno né tantomeno quelli delle donne giovani e adulte o di minoranze etnico-religiose. È così che dopo aver reintrodotto, fin dai primissimi giorni alla Casa Bianca, i finanziamenti all’Unfpa tagliati da Donald Trump, ora Joe Biden ha proposto lo stanziamento per il 2023 di ulteriori 23,5 milioni di dollari in favore del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, la maggiore agenzia al mondo - attiva soprattutto nei Paesi poveri - per il controllo delle nascite. Se la proposta passerà, i soldi destinati dagli Usa all’Unfpa saliranno a 56 milioni di dollari, per un incremento su base annua pari a ben il 72%. Ciò considerando solo i fondi diretti (cui vanno aggiunti quelli indiretti, elargiti attraverso le agenzie statunitensi che collaborano con il medesimo ente dell’Onu). Ma non è tutto.

L’altra novità è che l’Amministrazione Biden ha deciso, parallelamente, di rimuovere le restrizioni che impedivano all’Unfpa di finanziare programmi in Cina. E qui bisogna fare un passo indietro.

Le suddette restrizioni hanno una storia che risale fino alla prima metà degli anni Ottanta e si spiegano con la collaborazione dell’agenzia dell’Onu all’ultratrentennale barbara politica del figlio unico messa in atto dal Partito comunista cinese. In questo solco, sotto Reagan, il Congresso aveva approvato nel 1985 l’emendamento Kemp-Kasten per vietare di stanziare fondi del budget annuale in favore di «qualsiasi organizzazione o programma che, come stabilito dal Presidente, sostiene o partecipa alla gestione di un programma di aborto forzato o di sterilizzazione involontaria». Sebbene la norma si adatti in teoria a qualunque organizzazione, essa è stata pensata e poi applicata sempre da presidenti di area repubblicana (Reagan, Bush senior e junior, Trump) e solo in relazione all’Unfpa. Più di recente, in aggiunta all’emendamento Kemp-Kasten, il Congresso aveva approvato delle speciali condizioni per consentire il finanziamento degli Stati Uniti all’Unfpa. In particolare, per l’anno fiscale 2020, si stabiliva tra le altre misure che nessuno dei fondi destinato all’Unfpa venisse usato per un programma statunitense in Cina e che la stessa agenzia dell’Onu non dovesse finanziare aborti, pena la perdita dei soldi americani.

Ora queste clausole pro vita vengono appunto accantonate da Biden, come riferisce il Friday Fax, abbandonando in un colpo solo il linguaggio che vietava di finanziare sia l’aborto sia la Cina. Tutto questo è avvenuto a pochi giorni di distanza da quando una commissione bipartisan del Congresso ha pubblicato un rapporto che afferma, tra l’altro, in generale che «le donne in Cina continuano ad essere sottoposte ad aborti forzati, sterilizzazioni e gravi discriminazioni in molti ambiti». Lo stesso documento, più nello specifico, ribadisce che il regime comunista sta commettendo un «genocidio» contro gli uiguri nella regione dello Xinjiang. Tra i «gravi abusi dei diritti umani», come spiega il rapporto, c’è il fatto che le donne «uiguri e altre donne musulmane turche, che erano state precedentemente detenute nei campi di concentramento di massa dello Xinjiang, hanno riferito di essere state sottoposte a misure coercitive di controllo delle nascite, tra cui l’impianto forzato di dispositivi intrauterini, la sterilizzazione forzata e l’aborto forzato». Anche questa è “macelleria”, ma evidentemente non indigna abbastanza Biden e la sua cerchia.

È chiaro, dunque, come nota l’attivista Reggie Littlejohn, che la Cina non ha affatto abbandonato i suoi brutali metodi di controllo delle nascite, nemmeno dopo l’avvio della politica dei tre figli. E alla luce della lunga collaborazione con il Partito comunista cinese, la Littlejohn, fondatrice e presidente di Women’s Rights Without Frontiers (Diritti delle donne senza frontiere), «è profondamente preoccupante che l’Amministrazione Biden proponga di aumentare i finanziamenti all’Unfpa».

L’agenzia dell’Onu ha sempre negato un suo coinvolgimento diretto nei programmi di controllo delle nascite di Pechino, ma la storia racconta di una collaborazione e un sostegno continuo alle politiche cinesi in materia. Basti qui ricordare che nel 1983 (cioè due anni prima dell’emendamento Kemp-Kasten) l’Unfpa conferì il suo più alto riconoscimento, il “Premio delle Nazioni Unite per la Popolazione” (UN Population Award), al presidente della commissione nazionale cinese sulla pianificazione familiare, Qian Xinzhong. Quell’anno, secondo le statistiche ufficiali del Ministero della Salute cinese, Qian Xinzhong e la sua commissione supervisionarono oltre 20 milioni di sterilizzazioni forzate, quasi 18 milioni di inserimenti forzati di dispositivi intrauterini e un numero di aborti superiore a quello di qualunque altro periodo in tutta la storia della Cina.

La proposta di bilancio del presidente Biden mantiene a 572 milioni di dollari i finanziamenti complessivi per la voce pianificazione familiare internazionale, fondi a cui è legata la costante presenza di gruppi abortisti nei Paesi in via di sviluppo e che difficilmente potranno davvero svilupparsi adottando le logiche occidentali di eliminazione dei propri figli.

Ma nel budget delineato per il 2023 dal gotha del Partito Democratico statunitense ci sono anche circa 2,6 miliardi di dollari, annunciati lo scorso 8 marzo dal segretario di Stato Antony Blinken, per promuovere «l’uguaglianza di genere in tutto il mondo, più che raddoppiando l’importo richiesto per i programmi di genere nel Bilancio dell’esercizio 2022». Una parte cospicua dei suddetti fondi verrà utilizzata - come si esplicitava già nella strategia programmatica definita a fine giugno 2021 - per «proteggere e promuovere la salute e i diritti sessuali e riproduttivi». Tradotto dalla neolingua, significa ideologia Lgbt e, ancora, vite di bambini spezzate nel grembo materno.