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SENTENZA INSENSATA

Grazie all'Ue, la magistratura aprirà le porte all'immigrazione illegale

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Saranno i giudici a dover decidere se un immigrato potrà essere o meno rimpatriato. I precedenti, nelle sentenze italiane, danno sempre ragione al richiedente asilo, anche con giustificazioni assurde sull'insicurezza presunta di paesi sicuri.

Editoriali 04_08_2025
Sbarchi a Lampedusa (La Presse)

Nell’ambito del contrasto all’immigrazione illegale, il governo italiano lo scorso anno ha individuato un primo elenco di 19 paesi sicuri, che cioè non presentano situazioni tali da giustificare, in linea di massima, una richiesta di asilo da parte di chi ne è originario: non sono in guerra, non ci sono minoranze perseguitate... Le richieste di protezione internazionale presentate da chi proviene da uno di questi paesi possono pertanto essere esaminate con una procedura semplificata.

Però la Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 1° agosto ha stabilito che uno Stato membro dell’UE può sì designare paesi di origine sicuri mediante atto legislativo, «a patto che tale designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo». Ha stabilito inoltre che uno Stato Ue non può considerare sicuro un paese che «non offra una protezione sufficiente a tutta la sua popolazione».

La sentenza ha suscitato reazioni che vanno dal totale disappunto alla più calorosa approvazione. Al di là dei giudizi divergenti, c’è una domanda che andrebbe posta alla Corte Ue ed è come mai ritiene che dei magistrati siano in grado di stabilire meglio di un governo se un paese è sicuro oppure no. Tramite il Ministero degli Affari Esteri, il nostro governo è in contatto diretto quasi con tutto il mondo. Ha in gran parte dei paesi ambasciate, consolati, istituti di cultura e ha, a sua disposizione, centri di ricerca, banche dati, corrispondenti, consulenti, esperti. Un giudice che magari non sa neanche esattamente dove si trovano la Costa d’Avorio o il Bangladesh – due dei paesi classificati come sicuri – e della loro storia recente forse non conosce proprio niente, come fa a stabilire se sono paesi sicuri oppure no? A chi deve rivolgersi, se non al governo, al Ministero degli Esteri, per procurarsi le informazioni fondate, attendibili delle quali ha bisogno per farsi un’idea e pronunciare una sentenza? Se no, a quali fonti attinge, alle quali il governo non ha accesso, per documentarsi e deliberare?

Leggendo decine, centinaia di sentenze si capisce che tanti giudici, certo non tutti, ma tanti, si orientano su altri canali di informazione. Sono le sentenze pronunciate dai magistrati incaricati di esaminare i casi dei richiedenti asilo respinti dalle commissioni territoriali – gli organismi istituiti per vagliare le richieste di asilo – e dei quali la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso. Si direbbe che si affidino, loro e i loro collaborati, a cooperative, mediatori culturali, a riviste, quotidiani… forse persino digitando su Google qualche parola chiave: “Costa d’Avorio, sicurezza, rimpatri”. E poi ascoltando gli argomenti degli avvocati difensori dei richiedenti asilo. Interi studi di legali prestano assistenza legale agli immigrati illegali i quali approfittano del gratuito patrocinio offerto dallo Stato italiano.

Una delle sentenze più emblematiche risale all’epoca del Covid-19. Un cittadino del Pakistan il 25 giugno del 2020 ha ottenuto dal tribunale di Napoli un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il giudice si è detto d’accordo con la Commissione territoriale che le ragioni addotte dall’uomo per ottenere protezione internazionale erano di “dubbia credibilità” e quindi la richiesta andava rigettata. Tuttavia «dalle fonti internazionali consultate – si legge nella sentenza – emerge che la pandemia da Covid-19 ha assunto una situazione di rilevante gravità cui il sistema sanitario pakistano non appare capace di fare fronte». Determinante inoltre è stato il fatto che il sistema sanitario pakistano «per effetto di una diffusa privatizzazione che ha consolidato un orientamento commerciale alle cure mediche» garantisce scarsi servizi sanitari ai poveri. Costringere l’uomo a rientrare in patria lo avrebbe esposto a condizioni di “estrema vulnerabilità” e il suo diritto alla salute sarebbe stato gravemente compromesso. Si consideri che in Pakistan in quel momento i casi di Covid-19 erano 300mila, i morti poco più di 6mila su 212 milioni di abitanti. L’epidemia si è poi conclusa con 1,5 milioni di casi e 30mila morti, 134 per milione… mentre in Italia su 60 milioni di abitanti i casi sono stati quasi 27 milioni e più di 196mila i morti, 3.261 per milione.

Una delle sentenze più recenti è quella del 2 aprile 2025, del tribunale di Napoli, che ha sospeso un provvedimento di allontanamento in fase di esecuzione di un pakistano accogliendo quanto sostenuto dalla difesa, ovvero «che il Pakistan non è un paese terzo sicuro a causa di un sistema statale che asseconda la deprivazione dei diritti politici e sociali ai propri cittadini». In particolare, il giudice ha rilevato che «il Pakistan ha dovuto affrontare crisi politiche ed economiche sempre più profonde e prezzi del cibo e del carburante alle stelle». Il ricorrente quindi, se rimpatriato, «subirebbe in concreto la privazione del suo fondamentale diritto al cibo, ad un’abitazione e ad un ambiente salubre», diritti «riconosciuti in particolare anche dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali,  adottato dall’Assemblea Generale il 16 dicembre 1966 e ratificato in Italia con legge 881/1977». Inoltre, ai fini della sentenza, sono stati anche i «numerosi ed interessanti richiami all’instabilità climatica del Paese, soprattutto in alcune zone ed alla endemica carenza di beni quali generi alimentari di prima necessità». Per inciso, il Patto citato non riguarda l’obbligo di accoglienza in nome di diritti ineludibili, ma la cooperazione internazionale allo sviluppo per garantirli in tutti i paesi.

Ci sarà sempre un giudice che emetterà, anche contro ogni evidenza, sentenze favorevoli ai richiedenti asilo. Il sito web Melting Pot, che celebra come trionfi della giustizia le sentenze a favore degli immigrati illegali, ne riporta centinaia. Lo sa bene Nicola Fratoianni, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, che ha esultato per la sentenza della Corte Europea definendola «un vero e proprio macigno sulle velleità del governo Meloni e della destra italiana di calpestare il diritto internazionale e il buonsenso». Ma, in concreto, contestare la sicurezza di uno Stato comporta solo che la richiesta di asilo di chi ne è originario vada esaminata come tutte le altre, con procedura ordinaria: ci vorrà più tempo, sarà un percorso più laborioso, e di sicuro molto, ma molto più costoso per le casse dello Stato, ma la richiesta di un ivoriano, di un tunisino, di un macedone... alla fine sarà respinta. A farlo sarà una delle commissioni territoriali dopo interminabili colloqui, verifiche, documentazioni. Ma, se faranno ricorso in Cassazione, e lo faranno, e se sarà accolto, applicando il principio recepito dalla Cassazione che «il dubbio circa la credibilità deve essere risolto a favore del dichiarante», forse saranno fortunati e troveranno un giudice che ribalterà la decisione e concederà loro di rimanere in Italia.