Famiglia nel bosco, la sussidiarietà violata
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Lo smembramento coatto della “famiglia nel bosco” è stata un'irruzione dello Stato in una famiglia con caratteri sostitutivi e che rappresenta una violazione del principio di sussidiarietà.
Il caso della “famiglia nel bosco” ha una stretta relazione con il principio di sussidiarietà, caro alla Dottrina sociale della Chiesa. Esso dice – vale ripeterlo – che l’autorità politica non deve sostituirsi alle società inferiori, ma lasciare che esercitino il loro dovere/diritto a perseguire il proprio bene. Nel caso esse fossero incapaci o impossibilitate ad agire in proprio, l’autorità politica può intervenire ma solo con spirito di supplenza e operando in modo che esse recuperino tale loro diritto originario, senza sostituirsi ad esse. Quindi l’autorità politica o non interviene e lascia fare, oppure interviene con prudenza e gradualità per permettere alle società inferiori di riacquistare la propria autonomia. Certamente solo nel caso in cui quelle società inferiori abbiano pretese di autonomia giustificate dal rispetto del diritto naturale.
Alla base di questa dottrina politica ci sono vari elementi importanti dell’architettura sociale: non esiste un unico bene comune uniformante ed appiattente deciso dal potere politico; la società è organica e ogni organismo naturale deve perseguire il proprio bene comune nel rispetto dell’ordine naturale delle cose; lo Stato e le sue articolazioni sono strumenti a servizio della comunità politica nel suo insieme e delle società naturali e non il contrario.
Un altro aspetto di questo principio da tenere presente è che gli interventi dell’autorità politica fatti in via sussidiaria, ossia di aiuto affinché quel dato organismo sociale possa rimettersi in sesto e tornare a poter fare da sé, non devono avvenire ad arbitrio del potere stesso, ma nel rispetto del diritto naturale. Questo richiede che si distingua tra società naturali e corpi intermedi. La famiglia, una comunità locale o municipio, una nazione … sono società naturali e non semplici aggregazioni di cittadini che perseguono i loro scopi elettivi, ossia da loro liberamente scelti. I loro scopi, infatti, non sono elettivi ma ascrittivi.
Gli interventi per dare un aiuto (subsidium) ad una famiglia devono essere svolti rispettando ciò che una famiglia è sul piano naturale, senza disarticolarla. Essa non è un generico insieme di individui, ma una vera e propria società con una propria autorità, un fine da raggiungere consistente nel perseguimento del proprio bene comune, doveri e diritti dei suoi componenti tra di loro e rispetto al resto della comunità che precedono quanto lo Stato stabilisce e dispone. Gli interventi sussidiari da parte del sistema amministrativo devono evitare criteri arbitrari, facendosi piuttosto dettare i criteri dalla natura stessa delle cose, in questo caso dalla famiglia.
Si sa per esperienza, purtroppo, che gli apparati amministrativi spesso invertono l’ordine delle cose. Nella nostra società la famiglia viene messa in gravi difficoltà da un sistema legislativo, fiscale, educativo antifamiliare e poi i suoi disagi così indotti vengono affrontati dall’apparato dei servizi pubblici che opera secondo i propri criteri, generando un circolo vizioso. Si danneggia la famiglia e poi la si vuole aiutare senza la famiglia, quindi indebolendola ancora di più.
Nel caso specifico della “famiglia nel bosco” le difficoltà derivanti dalla trascuratezza del principio di sussidiarietà sono emerse con chiarezza. È mancata la visione supplettiva e sussidiaria, mentre è prevalsa quella sostitutiva. La famiglia in questione è l’originario soggetto naturale dell’organizzazione della propria vita in vista del proprio bene familiare. Finché la sua esistenza è condotta senza violare principi di diritto naturale, essa ne ha il diritto e gli apparati pubblici non possono intervenire. Molte motivazioni dell’intervento della magistratura, invece, dipendono non dall’aver riscontrato carenze di questo tipo ma dalla “eccentricità” di quel modo di vivere rispetto ai criteri convenzionali dominanti.
Nel caso si riscontrino limiti o impedimenti rimuovibili, allora le società superiori dovrebbero intervenire, ma secondo i principi sopra detti della prudenza, della gradualità, mai sostituendosi alla famiglia. Può essere che quella famiglia avesse bisogno di qualche aiuto, in questo caso si sarebbe potuto intervenire per offrirglielo senza creare con ciò una dipendenza dai sussidi pubblici, ma garantendo la sua libertà nell’ordinarsi al proprio bene.
Lo smembramento coatto della famiglia mediante un intervento della magistratura non è rispettoso della originaria e naturale autonomia della famiglia rispetto alle istituzioni politiche. Esso, inoltre, avviene senza alcuna gradualità sia per accertare la reale situazione sia per individuare possibili ambiti di eventuale aiuto sussidiario. Si è trattato di una irruzione dello Stato in una famiglia con caratteri nettamente sostitutivi e non sussidiari.

