Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Caterina d’Alessandria a cura di Ermes Dovico
L'ANALISI

Accordo sull'Ucraina? Se si fa prevalere il senso del realismo

Per far cessare la guerra Kiev non ha alternative alla cessione dei territori; ma da quel che si capisce dai negoziati in corso, l'Ucraina otterrebbe garanzie sulla sicurezza e l'ingresso nella Ue. L'approccio di Trump è un accordo globale con la Russia, di cui l'Ucraina è solo un tassello.

Esteri 25_11_2025

Non sappiamo ancora se per l’Ucraina uno dei tre piani di pace partoriti in questi giorni andrà a buon fine. Di sicuro c’è che, malgrado le dichiarazioni di principio, con un qualsiasi accordo Kiev perderà una parte del suo territorio. Ed è questo che fa dire che una pace così non sarà “giusta”. Abbiamo già spiegato che la “giustizia” riferita alla pace non può intendersi come un ritorno allo stato precedente la guerra, anche perché la “giustizia” è una categoria morale non riducibile alle soluzioni tecnico-giuridiche. E che bisogna concentrarsi soprattutto sulla pace "possibile".

Ma anche da un punto di vista tecnico-giuridico nella situazione attuale non è realistico pensare a una riconquista da parte ucraina di tutti i territori persi in questi quasi 4 anni, a meno di non coinvolgere direttamente i Paesi della Nato nella guerra contro la Russia, vale a dire gettarsi in una guerra mondiale. Oppure scommettere su un crollo improvviso della Russia come accaduto 35 anni fa per l’Unione Sovietica, cosa di cui però non si vedono segni, malgrado da tre anni  in Occidente la propaganda – dall’effetto delle sanzioni alle malattie gravi di Putin - descriva sempre la Russia sull’orlo del disastro.

Bisogna anche ammettere che gli aiuti militari dati da Unione Europea e Stati Uniti all’Ucraina in questi anni non potevano avere l’obiettivo di rovesciare le sorti della guerra (ci sarebbe voluto ben altro), ma quello – nel migliore dei casi - di logorare la Russia, renderle la vita difficile, scoraggiandola da altre avventure militari. Il tutto a spese degli ucraini, che hanno pagato con il sangue di decine e decine di migliaia, se non centinaia di migliaia, di militari e civili, e con ingenti distruzioni e milioni di profughi. E a spese di noi europei che paghiamo il prezzo economico più alto del conflitto, tra investimenti in armi e aumento dei costi dell’energia.

Ora, grazie anche al cambio di presidenza negli Stati Uniti, si cerca di trovare una soluzione negoziata che, come volevasi dimostrare, quanto ai territori non potrà essere molto diversa da quello che Mosca pretendeva fin dall’inizio.

Una resa dunque alla legge del più forte? In parte sì, e non c’è da rallegrarsene: qualunque siano i motivi del contenzioso, l’aggressione e l’invasione di un altro Paese non può mai essere giustificata. Ma bisogna anche riconoscere che le guerre non scoppiano all’improvviso per mano di un folle, sono invece l’esito di situazioni, di tensioni, provocazioni che non si è voluto o non si è stati in grado di disinnescare. E l’Ucraina non fa eccezione.

A chi però si straccia le vesti come se questo esito fosse la prima violazione nella storia del diritto internazionale, va ricordato che di situazioni del genere il mondo è pieno: da una parte i confini attuali di praticamente tutti i Paesi sono la stratificazione di territori persi e conquistati in tante guerre; dall’altra ci sono casi anche recenti di situazioni “ingiuste” che la comunità internazionale tollera perché un intervento armato provocherebbe guai ben peggiori o comunque non è nell’interesse dei Paesi che contano.
Pensiamo ad esempio a Cipro del Nord, invasa dai turchi nel 1974, entità proclamata nel 1983 e tuttora riconosciuta solo dalla Turchia, che oltretutto è un membro della Nato. O al Tibet, annesso nel 1950 dalla Repubblica Popolare Cinese, che continua ad avere un governo in esilio in India. Pensiamo anche a situazioni come quella delle due Coree, con un confine congelato al 38° parallelo dal 1953, dopo tre anni di una guerra che ha fatto temere un conflitto nucleare. E gli esempi potrebbero continuare.

Bisogna poi dire che da quel che sta emergendo, un eventuale accordo non sarebbe propriamente una resa incondizionata dell’Ucraina: è vero, i territori sono persi (circa il 20% del territorio controllato fino al 2022) e ci sarebbe il divieto di ingresso nella Nato, ma si prevedono garanzie per la sicurezza e anche l’ingresso nell’Unione Europea, cosa questa da non sottovalutare: pur mantenendo il dialogo e l’associazione Bruxelles fino al 2020 ha sempre dovuto respingere l’ingresso di Kiev nella UE perché gli standard del Paese – in termini di economia, lotta alla corruzione, stabilità politica, istituzioni democratiche  - erano troppo lontani da quelli richiesti. E oggi la situazione è ancora peggiorata.

È anche interessante notare che l’approccio del presidente americano Donald Trump è quello di considerare la pacificazione in Ucraina parte di una prospettiva più ampia di relazioni con la Russia, che prevede ad esempio un accordo nelle ricerche sull’intelligenza artificiale e sul commercio di metalli rari, e che porrebbe fine all’isolamento internazionale di Mosca, con cui ridisegnare anche le rispettive sfere d’influenza. Possono certamente essere criticabili singoli punti dell’accordo, ma l’approccio di fondo è un buon esempio di come si debba puntare alla composizione degli interessi per evitare le guerre o ricomporre i conflitti. È una lezione che farebbe bene anche l’Unione Europea a imparare.

Soprattutto però questi tentativi di arrivare finalmente a una soluzione negoziata dimostrano che comincia a farsi strada un senso del realismo, ponendo come obiettivo principale lo stop alla guerra e al versamento di altro sangue.