Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
il conflitto

Pace giusta? Significa ristabilire l'ordine naturale

Ascolta la versione audio dell'articolo

Il concetto di pace giusta assume vari livelli di significato, ma solo nell'ordine da ristabilire trova la sua applicazione. Anche se non ristabilisce la situazione ex ante, ma persegue le finalità. Come ad esempio nell'autodeterminazione dei popoli. 

Editoriali 05_08_2024

La acute tensioni internazionali sfociate nel nostro tempo in devastanti conflitti armati condotti con ogni mezzo suscitano un grande desiderio di pace, di una pace “giusta”. Ma cosa significa pace “giusta”? Questa espressione è stata ed è sulla bocca dei molti. Il presidente Mattarella, ricevendo il presidente del Brasile il 15 luglio scorso, ha detto: «Abbiamo concordato sull’importanza di adoperarsi sul primo piano perché si giunga a una pace, che non può che essere una pace giusta perché sia duratura e quindi basata sul diritto internazionale, sul rispetto degli altri Stati, e sul rispetto delle regole dell’Onu». Papa Francesco, correggendo e spiegando il suo contestato invito all’Ucraina di issare bandiera bianca e mettersi a trattare, aveva detto: «Mentre rinnovo il mio vivissimo affetto al martoriato popolo ucraino e prego per tutti, in particolare per le numerosissime vittime innocenti, supplico che si ritrovi quel po’ di umanità che permetta di creare le condizioni di una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura».

La parola pace ha molti significati di diverso livello. Quando si parla di “pace giusta” in espressioni di questo tipo, si fa riferimento prima di tutto alla pace intesa come conclusione di una guerra e come sua soluzione giuridicamente regolata dei rapporti tra gli Stati in lotta, che si accordano per cessare le ostilità e regolare di conseguenza i loro rapporti futuri in modo duraturo. La pace così intesa assume un significato tecnico-giuridico che però l’aggettivo “giusta” ricollega con la giustizia, che non è un’idea tecnica.

La giustizia, e quindi la pace giusta, richiede il ristabilimento di un ordine che la guerra ha distrutto. La pace diventa così opus justitiae, sia come prevenzione della guerra nella costruzione quotidiana della vita sociale e politica dei popoli su un ordine naturale indisponibile ai poteri costituiti, sia come soluzione dei conflitti armati e riparazione del disordine da essi creato. La guerra nasce sempre dal disordine e crea disordine, la pace è il ripristino dell’ordine. Certamente la pace giusta ha anche elementi tecnico-giuridici, ma non si riduce mai ad essi, perché incapaci di giustificare in modo adeguato l’aggettivo “giusta”. Questo è anche il motivo per cui sempre la pace dipende da uomini pacifici e da uomini giusti. Non solo non bastano la tecnica e il diritto, non solo serve anche la morale, oltre ciò serve anche specificatamente la virtù della giustizia e lo spirito della vera pace. Né il pacifico né il pacifista possono essere attori di pace, solo il pacificatore lo può essere e non si riesce ad essere pacificatori in senso solo tecnico o giuridico.

Ora, la necessità di ripristinare l’ordine distrutto dalla guerra presenta molte difficoltà e non può essere inteso solo come un ritorno allo status quo ante. La pace giusta riguarda la giustizia che è dare a ciascuno il suo, sicché una simile pace dovrebbe ridare ad ognuno quello che ha ingiustamente perso. È però impossibile ridare la vita a chi è stato ucciso e il lavoro o la casa a chi li ha perduti. Essa ha anche umiliato dei popoli e costretto altri al disonore, ma anche questa macchia è difficile da cancellare perché iscritta nella carne. La guerra lascia immensi strascichi di odio, non solo tra i contendenti ma anche all’interno dei due campi in lotta: la guerra esterna ha sempre anche effetti interni di guerra civile. Anche su questo punto è impossibile ristabilire l’ordine precedente il quale, del resto, non per questo può automaticamente considerarsi completamente giusto, altrimenti non avrebbe condotto alla guerra. La guerra ha poi sempre una dimensione internazionale e cambia in profondità i rapporti geopolitici e il sistema delle alleanze per cui tornare indietro non si può. Dopo una guerra, qualsiasi guerra niente è come prima.

Spesso questa idea di ripristinare l’ordine infranto si presta a visioni riduttive che non arrivano al fondo del problema. Per esempio, è diffusa in Occidente l’idea che questo ritorno sarebbe favorito dalla diffusione di sistemi democratici di tipo liberale. È la vecchia illusione di Kant di una “pace perpetua”. Di recente, però, alcune guerre sono nate proprio dal presupposto di esportare la democrazia. Non è nemmeno consigliabile affidarsi ciecamente all’ONU, data la fragilità complessiva di questa istituzione internazionale e il fatto che alcune delle principali recenti guerre sono state avallate proprio dall’ONU. La stessa cosa vale per l’Unione Europea e bene ha fatto il premier ungherese Orban a procedere per proprio conto in una prospettiva di pace per l’Ucraina. Anche il riferimento al diritto internazionale può essere un appiglio scivoloso se non bene impostato. Questo, infatti, non è ormai più inteso come il “diritto delle genti” avente alla base il diritto naturale, ma come un diritto positivo internazionalmente riconosciuto, il che ne cambia la natura rendendola modificabile nel tempo.

Ci sono però due punti che possono illuminare a proposito della pace giusta. Il primo riguarda proprio il concetto di ordine da ripristinare. Per tale espressione, come si è visto, non si può intendere la situazione ex ante di fatto esistente.  La si deve invece intendere come un ordine naturale finalistico, i cui fini sono e rimangono attuali anche dopo il conflitto e possono indicare alcune linee di condotta. Per esempio, prendiamo il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Esso vale, fatte le debite distinzioni, per il popolo ucraino davanti all’invasione russa, ma vale anche per il popolo ucraino manovrato dalle potenze occidentali, ma vale anche per le popolazioni russofone del Donbass a lungo discriminate dal popolo ucraino. Non si tratta allora di tornare a come era prima, ma di far valere le linee forza di un finalismo di ordine naturale, ossia evidente a tutti, se si ha la volontà di vederlo così come risulta essere.

Il secondo spunto deriva dalla constatazione che tra guerra e pace, se le due parole non vengono assunte in chiave assoluta, non c’è contraddizione completa, ma esiste una posizione intermedia come una tregua o un armistizio. La tregua non è guerra e non è nemmeno pace, la stessa cosa vale per un armistizio. Non si può parlare in questo senso di una pace “giusta”, perché i suoi termini diplomatici e giuridici non sono ancora stati definiti secondo i principi di giustizia di cui sopra. Però si tratta di una pace possibilmente giusta.