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Al conclave partita a tre, Prevost favorito dall'inizio

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La ricostruzione più verosimile sul primo scrutinio vede il futuro Leone XIV alla pari con Parolin e con i conservatori compatti su Erdo. Subito tramontata la candidatura del secondo, onore delle armi al terzo. Elezione rapida, decisivo il lungo pre-conclave.

Ecclesia 05_06_2025 English

Le speculazioni sul conclave non finiscono con l'elezione del Papa. L'obbligo di segretezza su quanto avviene in Sistina, garantito dalla minaccia della scomunica latae sententiae per chi osa violarlo, impedisce a chiunque di confermare o smentire le ricostruzioni circolate.

La verità resta sigillata nella relazione stilata dal camerlengo destinata all'archivio e che solo il Pontefice regnante può autorizzare ad aprire. Questa inevitabile incertezza sull'esito degli scrutini ha incoraggiato, nel recente passato, operazioni dirette in qualche modo a colpire o a rafforzare il Papa eletto.

Il caso più eclatante si ebbe nel 2005 quando su Limes venne pubblicato il diario di un anonimo cardinale elettore secondo cui Joseph Ratzinger sarebbe stato eletto con 84 voti, solamente 7 in più della maggioranza richiesta. Non certo nell'intenzione del bravo Lucio Brunelli che pubblicò giustamente quel diario, ma chi passò quei numeri per renderli pubblici voleva probabilmente dare l'idea che Benedetto XVI fosse un Papa debole, non scelto da tutti ma soltanto da un parte del sacro collegio. L'esperto Roberto Regoli ricorda che sul conclave del 2005 esistono narrazioni contrastanti e persino una versione che vorrebbe Ratzinger aver sfiorato per poche unità il 100% dei consensi al quarto scrutinio.

Quasi un mese dopo l'elezione di Leone XIV, continuano a fioccare i presunti retroscena sugli eventi della Sistina. C'è chi "spara" versioni con sicurezza e spesso le fa coincidere con i propri desiderata. Un "giochetto" prevedibile di fronte all'elezione di una figura come Robert Francis Prevost, difficilmente catalogabile in una casella piuttosto che nell'altra.

Un'analisi di quello che potrebbe essere successo in Sistina, in ogni caso, si può fare soltanto tenendo conto dell'andamento delle congregazioni generali, della credibilità di certi "spifferi" e soprattutto del buon senso. Quest'ultimo, ad esempio, porta ad escludere che Pietro Parolin possa aver raggiunto o anche soltanto sfiorato i 50 voti alla prima votazione. Non c'è dubbio che il Segretario di Stato sia entrato in conclave con i galloni del favorito. Se si fosse garantito un simile tesoretto già al primo scrutinio, la sua candidatura sarebbe andata ad oltranza ed invece così non è stato. In realtà, le voci più attendibili sembrano convergere sul fatto che la performance del porporato veneto sia apparsa sotto le aspettative sin dal primo voto.

Da quello che si sa, possiamo immaginare che l'ultimo conclave sia stato sin dall'inizio una partita a 3. Oltre a Parolin, a risuonare più volte in Sistina già dal tardo pomeriggio del 7 maggio sono stati i nomi dell'ungherese Péter Erdő e di Prevost stesso. Questo vuol dire che più della metà dei cardinali elettori ha rinunciato al suffragio d'omaggio che tradizionalmente viene dato al proprio confratello preferito nella prima occasione. Si è preferito subito scrivere un nome competitivo, ufficializzando in qualche modo le tre candidature in piedi.

Secondo quanto da noi raccolto (e che mai troverà conferma), sembra che il primo scrutinio si sia concluso con quest'esito: 25 voti a Erdő, 25 a Prevost e 24 a Parolin. Non deve sorprendere se su alcuni nomi piuttosto che su altri si sia trovata subito un'intesa tra gruppi di elettori: è vero, infatti, che il conclave è durato poco ma è vero anche che il pre-conclave, invece, è stato più lungo del solito. C'è stato, insomma, tempo per conoscersi, parlarsi e organizzarsi. Stando così le cose, gli elettori sarebbero tornati a Santa Marta consapevoli del tramonto di qualsiasi possibilità per Parolin.
Un altro dato emerso nel primo giorno di conclave sarebbe stata la compattezza dei cosiddetti conservatori, consci di essere minoritari all'interno del collegio ma al tempo stesso determinati a far valere il loro peso.

L'altro elemento rilevante: tanto debole è apparso il nome di Parolin, quanto forte quello di Prevost. Una sorpresa solamente parziale perché il profilo dell'agostiniano era già stato attenzionato durante le congregazioni generali, messo in cima alle preferenze da diversi latinoamericani e come seconda o terza scelta da altri influenti cardinali. Immaginando il nuovo Papa non si guarda il passaporto, ma in presenza di una serie di contrappesi derivanti dalla sua storia di missionario in Perù la nazionalità statunitense per la prima volta ha smesso di essere uno svantaggio, anzi si è tramutata in risorsa. Il Papa "amerikano" ma non troppo è stato considerato un'opportunità per rivitalizzare il rapporto col cattolicesimo a stelle e strisce deteriorato dai dodici anni di Bergoglio e un contraltare non ostile alla presidenza ingombrante di Donald Trump.

La sera del 7 maggio l'agostiniano di Chicago deve essere tornato a Santa Marta con la sensazione che per lui, come scrisse Angelo Roncalli all'alba del conclave del 1958, «l'acqua si stava facendo bollente». Su di lui non esistevano le obiezioni che rendevano impossibile un'insistenza su Parolin. Forte del curriculum da pastore invocato nelle congregazioni, Prevost era anche l'unico dei prefetti bergogliani insieme a Lazarus You Heung-sik ad essere apprezzato anche dai conservatori. Come spesso accade nei conclavi, anche questa volta si è pensato prima a chi non eleggere e poi la scelta su chi eleggere è divenuta quasi naturale. La convergenza sullo statunitense dei voti andati in prima battuta ad Erdő è stata con ogni probabilità favorita dai connazionali Raymond Leo Burke,Timothy Dolan e James Harvey.

Dopo la performance iniziale, inevitabile anche il passo di lato di Parolin e dei "suoi". Già nel secondo giorno, pertanto, si erano create le condizioni per quell'onda lunga che ha portato Prevost ad incassare più di 100 voti al quarto scrutinio, secondo quanto riferito in un'intervista dal cardinale malgascio Désiré Tsarahazana. Il sacro collegio è uscito dalla Sistina inaspettatamente più unito e le prime mosse di Leone XIV hanno confermato agli elettori di aver fatto la cosa giusta.

Dopo dodici anni difficili e ormai ridotti al minimo, i conservatori hanno fatto una figura lusinghiera in conclave e sono stati bravi a convergere su una candidatura "estranea" ma inattaccabile. Chissà che ora Leone XIV non possa dare un riconoscimento a questa componente fortemente ridimensionata negli anni di Francesco, magari chiamando Erdő (o Eijk) in Curia. Così come non sorprenderebbe se Parolin venisse confermato come Segretario di Stato almeno in questo primo anno di pontificato.

C'è da augurarsi che il clima di concordia respirato in Sistina continui a regnare nella Chiesa. A giudicare da questo primo mese di pontificato, pare proprio che i cardinali conclavisti abbiano seguito le istruzioni date da Albino Luciani prima di essere eletto. L'allora cardinale patriarca diceva nel 1975: «Uno scritto di san Bernardo venne utilizzato una volta in un modo ben curioso. Avvenne durante un conclave per l’elezione del Papa e i cardinali erano molto indecisi sulla scelta. Uno di essi domandò la parola e fece la seguente riflessione: “Cari colleghi, il criterio da usare in questo momento venne esposto già con chiarezza e limpidezza da san Bernardo nella lettera tale e tale. Vi si legge: ‘Se qualcuno è sapiente, ci dia buone lezioni; se ha pietà, preghi per noi; se è prudente, questi ci governi’. Inchiniamoci dunque davanti a quelli che tra noi sono sapienti e hanno pietà, ma eleggiamo colui che è dotato di prudenza”».



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