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La decisione

Adozione post-separazione, i privilegi dell’essere gay

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Una donna lesbica ottiene dal Tribunale di Trento l’adozione dei tre figli dell’ex compagna, avuti attraverso l’eterologa. Una decisione contraria alla legge, che nega l’adozione dopo la separazione anche alle coppie eterosessuali.

Editoriali 19_06_2024
ImagoEconomica

Davvero essere gay è un privilegio nel nostro Paese. Leggete qui. Nel 2004 Irene e Carolina (nomi di fantasia) si conoscono e vanno a vivere insieme. Nel 2010 Irene diventa mamma tramite fecondazione artificiale eterologa avvenuta all’estero. Diventerà mamma altre due volte sempre grazie alla provetta. Nel 2016 le due donne si uniscono civilmente e nel 2023 si separano. Uno dei tre figli ha deciso di andare a vivere con Carolina.

Quest’ultima, dopo la separazione e in accordo con Irene, chiede al Tribunale di Trento di poter adottare tutti e tre i figli di Irene, madre biologica dei bambini. Il presidente del Tribunale dei minori, Giuseppe Spadaro, ha accolto la richiesta a motivo della «continuità affettiva» esistente tra i minori e la richiedente, continuità affettiva che non deve essere interrotta perché altrimenti andrebbe a ledere gli interessi dei bambini. Questi ultimi avranno pure il doppio cognome.

Nelle motivazioni si può leggere che il concetto di famiglia «prescinde dal successo della relazione di coppia». Un’affermazione tanto sbagliata che può apparire giusta. Infatti, se una coppia eterosessuale si sposa e poi si separa, rimane sposata e quindi rimane famiglia. Ma in questo caso il significato è un altro: famiglia, secondo i giudici, è qualsiasi affetto verso qualsiasi persona. Quindi se una donna vuol bene ai figli di un’altra, questa relazione affettiva è famiglia.

Ma proseguiamo citando sempre le parole di Spadaro: «Come le unioni tra persone eterosessuali anche quelle tra persone dello stesso sesso possono sciogliersi, ma la cessazione di tale rapporto di coppia non comporta certamente l’interruzione del legame genitori-figli». Verissimo, ma il problema sta nel fatto che quei tre bambini non sono figli della donna che ne ha chiesto l’adozione. Il Tribunale ha dunque acconsentito alla stepchild adoption, ma non in costanza di rapporto, bensì dopo la separazione.

Un paio di riflessioni. La prima che abbiamo già articolato più volte. Come già avevamo sottolineato «l’art. 44 della Legge n. 184/1983, come novellato dalla Legge n. 149/2001, prevede l’adozione in casi particolari se il minore è orfano di padre e di madre, nel caso di famiglie ricostituite, nel caso di minore disabile e nel caso di “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”. Nel primo, terzo e quarto caso è consentita l’adozione anche a coppie conviventi, dunque, per ipotesi, anche a coppie gay. Molti tribunali hanno interpretato in modo illegittimo il requisito dell’impossibilità dell’affidamento preadottivo a favore delle coppie gay, sia conviventi che unite civilmente. L’applicazione di tale requisito a queste coppie è illegittimo per il semplice motivo che non solo mancava la condizione dell’impossibilità dell’affidamento preadottivo, ma che non era mai stato nemmeno praticato l’affidamento».

Dunque, avremmo già un primo motivo per dire che la decisione del Tribunale di Trento non è condivisibile. Ciò detto, dobbiamo amaramente ammettere che la stepchild adoption per coppie gay, sia conviventi che unite civilmente, è pratica ormai diffusa e benedetta dalla giurisprudenza (cfr. Cassazione nel 2022 e  Corte costituzionale nel 2021 e nel 2022). Qui però abbiamo fatto un passo in avanti. L’adozione è stata concessa dopo la separazione, non in costanza di rapporto. Soluzione vietata alle coppie eterosessuali. Andiamo infatti a verificare quali siano i requisiti per poter adottare indicati dall’art. 6 della legge 184/83 (come modificata dalla legge 149/2001): «L’adozione è permessa ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o che raggiungano tale periodo sommando alla durata del matrimonio il periodo di convivenza prematrimoniale, e tra i quali non sussista separazione personale neppure di fatto e che siano idonei ad educare, istruire ed in grado di mantenere i minori che intendano adottare».

Abbiamo visto che l’art. 44 della medesima legge permette, in casi particolari, di scavalcare il requisito del matrimonio. Ma non sussiste nessuna eccezione riguardo all’obbligo che la coppia non sia separata, nemmeno di fatto. Dunque una coppia separata non può adottare. Qualora la coppia decidesse di separarsi durante l’affidamento preadottivo, la procedura per l’adozione potrebbe comunque completarsi: ma l’affidamento – lo sottolineiamo – sarebbe già iniziato. Non è questo il caso della coppia lesbica trentina. Le due donne si sono separate e solo successivamente si è fatta domanda di adozione.

Dunque, una facoltà negata alle coppie eterosessuali viene concessa ad una coppia omosessuale. Chi sono i veri discriminati?