Omogenitorialità, le contraddizioni della Cassazione
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La Cassazione rigetta il ricorso di due lesbiche che chiedevano di essere registrate entrambe come “mamme” dopo l’eterologa all’estero. Ma la stessa corte suggerisce la stepchild adoption. Che però, per le coppie omosex, è una strada illecita.
La Cassazione cassa l’omogenitorialità. Anzi, no. Cerchiamo di vederci chiaro, partendo dai fatti. Una coppia di lesbiche se ne va all’estero e accede alla fecondazione artificiale eterologa: l’ovocita proviene da una delle due donne e invece il seme maschile da un “donatore” ben retribuito. Il bambino nasce in Italia nel 2018. Il sindaco trascrive il bambino come figlio di entrambe. Atto contrario alla legge perché per il nostro ordinamento giuridico un bambino deve avere i genitori di sesso differente. Ed è sostanzialmente per questo motivo che il Ministero dell’Interno ha chiesto nel gennaio scorso di interrompere le trascrizioni di figli di coppie gay. La Procura fa dunque ricorso al Tribunale per cancellare la trascrizione e il Tribunale accetta il ricorso. La coppia si oppone e dopo aver perso in Appello ricorre in Cassazione e anche lì perde.
Gli ermellini hanno bocciato il ricorso per due motivi. Il primo: la Legge 40/2004 permette l’accesso alla fecondazione artificiale se la coppia è infertile o sterile oppure se – e questa è un’aggiunta della Corte costituzionale – la coppia è portatrice di una patologia trasmissibile alla prole. Nessuno di questi due requisiti concerne la coppia lesbica, la quale non è sterile per motivi patologici, ma perché i rapporti omosessuali sono per loro natura sterili.
Il secondo motivo per cui i giudici di Roma hanno respinto il ricorso sta nel fatto che l’accesso alla provetta è precluso dalla legge alle coppie omosessuali, anche quando la pratica è stata effettuata all’estero, come nel caso presente. Questo perché, come già accennato, per la legge italiana è vietata l’omogenitorialità: un bambino può e dovrebbe avere un papà e una mamma, non due papà e due mamme, anche quando il processo della filiazione passa dalle mani di un tecnico di laboratorio.
Ma ecco che la Cassazione entra subito in contraddizione con se stessa laddove suggerisce alla coppia di rivolgersi all’istituto della stepchild adoption: che la donna, non madre biologica, adotti il figlio di quest’ultima. Infatti l’adozione in casi particolari – scrivono i giudici – permette «da un lato, di conseguire lo “status” di figlio e, dall’altro, di riconoscere giuridicamente il legame di fatto con il “partner” del genitore genetico che ne ha condiviso il disegno procreativo concorrendo alla cura del bambino sin dal momento della nascita».
Perché è in contraddizione? Perché su un primo fronte dicono “no” all’omogenitorialità nata da provetta e su un secondo fronte dicono “sì” all’omogenitorialità nata da stepchild adoption. Il legislatore che ha varato la Legge 40 – norma che nel complesso rimane intrinsecamente iniqua – ha vietato l’accesso alla fecondazione extracorporea alle coppie omosex proprio per evitare che il figlio cresca con due padri o due madri. Non è tanto l’accesso in sé alla provetta il fattore scriminante, ma il fatto che tale accesso avrebbe poi permesso ad una coppia gay di togliere la figura paterna o materna al minore. La Cassazione invece pare volutamente scordarsi della ratio alla base di questo divieto e ragiona in modo formalistico: vietata la provetta alla coppia gay perché così è scritto nella legge, ma, se trovate un’altra strada per diventare genitori, non c’è problema alcuno. E la strada è quella della stepchild adoption ormai sdoganata dai giudici in modo illecito, sia perché la legge sull’adozione non permette di far ricorso alla stepchild adoption in queste situazioni sia perché, come già annotato, la stepchild assegnerebbe al minore due figure genitoriali dello stesso sesso e questo è illegittimo.
In merito al primo aspetto, l’art. 44 della Legge n. 184/1983, come novellato dalla Legge n. 149/2001, prevede l’adozione in casi particolari se il minore è orfano di padre e di madre, nel caso di famiglie ricostituite, nel caso di minore disabile e nel caso di «constatata impossibilità di affidamento preadottivo». Nel primo, terzo e quarto caso è consentita l’adozione anche a coppie conviventi, dunque, per ipotesi, anche a coppie gay. Molti tribunali hanno interpretato in modo illegittimo il requisito dell’impossibilità dell’affidamento preadottivo a favore delle coppie gay, sia conviventi che unite civilmente. L’applicazione di tale requisito a queste coppie è illegittimo per il semplice motivo che non solo mancava la condizione dell’impossibilità dell’affidamento preadottivo, ma che non era mai stato nemmeno praticato l’affidamento.
La soluzione dell’adozione in casi particolari è stata benedetta già dalla Cassazione nel 2022 e dalla Corte costituzionale nel 2021 e nel 2022. Anche il Tribunale di Milano nel giugno scorso aveva suggerito questo stratagemma ad una coppia gay maschile che aveva fatto ricorso all’utero in affitto. Come nel caso recente, i giudici dicono “no” ad una pratica perché vietata dalla Legge 40 – la maternità surrogata – ma sì ad un’altra – la stepchild adoption – che produce il medesimo effetto di quella vietata: l’omogenitorialità.
I giudici appaiono quindi volutamente schizofrenici: da una parte sono consapevoli che non possono così palesemente legittimare pratiche che la legge vieta (l’utero in affitto e l’accesso alla provetta per le coppie gay) e dall’altra però vogliono legittimare l’omogenitorialità che rimane però il motivo ultimo del divieto delle due pratiche appena indicate. Ecco quindi la soluzione della stepchild adoption.
Infine una domanda: ma se l’omogenitorialità tramite stepchild è permessa, perché rimane vietata quella che deriva da fecondazione artificiale e dall’utero in affitto? Non è contraddittorio? State pur certi che, più prima che poi, i giudici – in primis quelli della Corte costituzionale – daranno risposta a tale quesito legittimando sia l’una che l’altro.
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