A inventare nuovi peccati si rischia l'autogol
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Mea culpa sul creato o sulla sinodalità? L'ideologia rasenta il ridicolo, ma noi la prendiamo tra il serio e il faceto offrendo qualche suggerimento per la "confessione" pre-sinodale del 1° ottobre.
Insieme allo sconcerto, la lista dei “nuovi peccati” di cui si chiederà perdono durante la liturgia penitenziale pre-sinodale suscita ilarità, nella misura in cui mostra quanto sia sottile il confine tra l’ideologia e il senso del ridicolo. Confine sempre più spesso varcato man mano che questa sinodalità si mostra talmente autoreferenziale da rasentare il farsesco, come ha già evidenziato ieri Stefano Fontana. Senza contare che, portando il discorso alle estreme conseguenze, a “nuovi peccati” corrisponderebbero “nuovi comandamenti” (altrimenti cosa si infrangerebbe?), e così facendo si rischierebbe un altro peccato, quello di hybris (che per i greci era l’orgogliosa tracotanza di chi non si ferma neanche di fronte agli dèi). Se invece così non è, i peccati vecchi o nuovi che siano, sono già inclusi nel decalogo: e allora perché evidenziarne solo alcuni e non altri? In base alle tendenze ecclesiali del momento se non alla consonanza col mondo, magari tacendo ciò che maggiormente lo urta ed evidenziando quelli che invece vedono l’unanime riprovazione di quel che resta del trono e dell’altare? C’è il rischio concreto che ogni stagione ecclesiale si faccia la sua liturgia penitenziale. Ma nel frattempo, lo ammettiamo, ha preso la mano anche a noi. E allora contribuiamo volentieri suggerendo qualche integrazione alla lista affinché la corale confessione del 1° ottobre sia più fruttuosa e completa.
Innanzitutto, il peccato della “dottrina usata come pietre da scagliare contro” si potrebbe agevolmente integrare con il peccato della “pastorale usata come pietre da scagliare contro” la dottrina, frantumando quelle poche certezze che fino a qualche tempo fa si cercavano nei sommi pastori. Certezze progressivamente diluite dall’evangelico “sì sì no no” (Mt 5,37) al più moderno “sì ma anche no”. Si dirà che le situazioni vanno valutate “caso per caso”, ma sorge il sospetto che alcuni casi siano più casistici degli altri, laddove ai primi si concedono zone grigie e benedizioni sia pure non liturgiche, mentre ai secondi si riserva un’ampia gamma di aggettivi che va da fariseo a pelagiano, passando per rigido.
Veniamo dunque al “peccato degli epiteti” che non ferisce una singola categoria ma l’insieme di cattolici “normali”, quelli imperfetti che si sforzano di entrare per la porta stretta tra le difficoltà della vita. Tante volte la tristezza o la fragilità o semplicemente la mediocrità prevalgono, ma invece di venire incoraggiati al bene, eccoli apostrofati da anni come “cattolici all’acqua di rose”, “cattolici al peperoncino” o “all’aceto” e via etichettando. Se si facesse un catalogo degli epiteti papali, non solo il mondo intero non basterebbe a contenerli, ma i futuri storici si faranno l’idea che la peggior stirpe esistita al mondo sia proprio quella dei cattolici: non c’è da dubitarne, lo dice il loro capo visibile in Terra. Tanto più se al disprezzo sistematico verso i cattolici si affianca la compiacenza verso i maître a penser di questo mondo, vivi (Fabio Fazio, Emma Bonino) e defunti (Eugenio Scalfari, Giorgio Napolitano).
Non si può dimenticare la ferita provocata a famiglie, giovani sacerdoti, consacrati e aspiranti tali tacciati di indietrismo e colpiti anche nei fatti dalla volontà di estinguere il rito antico (in realtà “nuovo” per molti di loro, trattandosi di una gioiosa riscoperta più che di nostalgismo). A partire dal 2021 si sono visti parrocchie vietate, Messe cancellate o delocalizzate, in nome della lotta senza quartiere a un’intera e venerabile liturgia da eliminare neanche fosse un morbo contagioso. Nell’“ospedale da campo” questi “appestati” non ricevono sorte migliore dei lebbrosi al tempo di Gesù. Anche il “todos, todos, todos” ha i suoi limiti.
Si preghi in riparazione del “peccato contro l’estetica e l’arte sacra” (d’altra parte si sa che l’accusa di indietrismo va a braccetto con quella di estetismo) che nel corso dei decenni ha visto innalzare nuovi edifici di culto la cui temperatura spirituale è pari a quella di un centro commerciale o eliminare altari storici e costruire improbabili mense posticce; o commissionare nuovi paramenti perché ci si vergogna di indossare quelli antichi, pur essendo questi già esistenti e quindi a costo zero (costa molto di più travestirsi da “Chiesa-dei-poveri”).
Una preghiera per i cattolici cinesi, che pochi anni fa si sentirono dire da un autorevole prelato che è proprio la Repubblica Popolare a realizzare meglio di chiunque altro i principi della dottrina sociale della Chiesa. Vallo a spiegare a quei vescovi così “sotterranei” che di tanto in tanto qualcuno di loro risulta scomparso da anni: bastava aderire all’Associazione Patriottica...
Ancora, una liturgia penitenziale per chi pensava di convertirsi ma pochi giorni fa si è sentito dire che in fondo le religioni «sono lingue, cammini per arrivare a Dio» e allora, se uno vale l’altro (perché il messaggio che passa è questo, con buona pace di ogni possibile ermeneutica), chi me lo fa fare? Tanto vale restare dove si è, con tanto di benedizione multireligiosa.
Si potrebbe inserire altresì una richiesta di perdono per la derisione delle famiglie numerose, che nel 2015 vennero paragonate ai conigli; e parimenti si potrebbe chiedere perdono ai conigli, usati come paragone negativo. Per par condicio si dovrebbe chiedere perdono anche alle famiglie che i bambini non li fanno perché preferirebbero il cagnolino, come è stato ripetuto ad abundantiam e forse generalizzando fin troppo; e parimenti chiedere perdono al cagnolino, per la stessa ragione dei conigli. A meno che i peccati contro conigli e cagnolini non rientrino già nei peccati contro il creato. Ed ecco innescarsi il cortocircuito che ci spinge a fermarci qui.
Forse conviene tenersi il (e attenersi al) vecchio decalogo, ché a inventare nuovi peccati si rischia l’autogol.
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