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"Mi manda Francesco"

Zuppi a Pechino: ultima tappa della missione di pace

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L'inviato del Papa è nella terra del Dragone per allentare le tensioni russo-ucraine, sotto l'occhio di Washington più che di Roma (malgrado le parole di Crosetto). Un test anche sui rapporti tra Cina e Santa Sede.

Ecclesia 14_09_2023

Mi manda Francesco. Il cardinale Matteo Maria Zuppi, inviato speciale del Papa nella missione voluta per tentare di allentare le tensioni del conflitto russo-ucraino, è atterrato ieri a Pechino per un colloquio con Li Hui, rappresentante speciale del governo cinese per gli affari eurasiatici. Dopo Kiev, Mosca e Washington, la capitale cinese era la quarta tappa fissata nel programma dell’arcivescovo di Bologna.

Le recenti polemiche per le parole rivolte dal Papa ai giovani cattolici russi hanno reso ancora più complicato il compito di Zuppi che però va avanti. La scelta di parlare con la Cina non era scontata ma è comprensibile dal momento che si tratta dell’interlocutore inevitabilmente più ascoltato da Mosca.

L’esito del viaggio consentirà anche di farsi un’idea del peso che il regime di Pechino attribuisce alla Santa Sede. Un’accoglienza fredda e sottotono potrebbe confermare l’idea, già sperimentata con la sistematica violazione dell’Accordo Provvisorio sulla nomina dei vescovi, che alle autorità cinesi non interessi granché avere buone relazioni con la Santa Sede. Ma la collocazione cronologica di questa spedizione, che ha luogo dopo il colloquio con Joe Biden dello scorso luglio, è piuttosto significativa perché fa immaginare che l’apertura di questo canale con Pechino sulla questione russo-ucraina non abbia incontrato l'ostilità di Washington. Anzi, se – come è presumibile che sia – Zuppi aveva informato il Presidente statunitense della sua intenzione di recarsi anche nella capitale cinese senza trovare resistenze, allora potrebbe esserci lo sguardo attento di Washington su questa tappa dell’agenda del cardinale.

Zuppi può vantare un’esperienza nella mediazione internazionale che lo rende presumibilmente consapevole delle implicazioni politiche del suo viaggio. Prima di salire sul volo, il cardinale si è trattenuto a colloquio nell’ambasciata italiana a Berlino con il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Non stupisce che il governo italiano presti attenzione alla visita del presidente della Cei in una fase delicata in cui viene dato come imminente l’addio dell’Italia al memorandum sulla Via della Seta.

Tuttavia, quella di Zuppi è una missione esclusivamente della Santa Sede in cui Roma può fare al massimo da spettatrice proprio come qualunque altro Stato non coinvolto. Dal Vaticano traspare la volontà di non far passare l’immagine di una diplomazia italiana nelle vesti di “badante” di quella pontificia. Un’immagine, peraltro, che non corrisponderebbe a verità. Questa premura è sorta all’indomani delle parole pronunciate dal ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto alla Festa del Fatto Quotidiano. L’attuale inquilino di Palazzo Baracchini ha rivendicato a sé un ruolo decisivo nell’organizzazione della missione di Zuppi a Kiev, sostenendo di aver fatto “pressioni” sul presidente Volodymyr Zelensky. Un’esternazione che ha fatto mugugnare non poco in Segreteria di Stato e che è costata una tirata d’orecchie a Crosetto da parte di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio in cui si è formato proprio Zuppi. L’ex ministro del governo Monti, intervistato sempre dal quotidiano diretto da Marco Travaglio, ha riconosciuto a Crosetto di essere «una brava persona» ma «in genere le questioni di sicurezza dovrebbero rimanere riservate, anche a posteriori».

La dichiarazione alla Festa del Fatto, pronunciata a pochi giorni dal volo di partenza di Zuppi per Pechino, è stata considerata un peccato di vanità del ministro della Difesa sia nella diplomazia “parallela” di Sant’Egidio che in quella ufficiale della Segreteria di Stato. Uno scivolone personale che però non mette in discussione l’apprezzamento riservato da questi due mondi per la politica estera dell’attuale governo italiano e il giudizio positivo sul lavoro finora compiuto da Antonio Tajani, interlocutore privilegiato di entrambe. Nell’intervista rilasciata a Giampiero Calapà, Andrea Riccardi ha voluto puntualizzare che «la missione del cardinale Zuppi credo sia stata possibile attraverso la diplomazia della Santa Sede». Ma il fondatore di Sant’Egidio non crede: sa. Insomma, il messaggio è chiaro: l’oliata macchina della diplomazia pontificia non ha certo bisogno della spinta di un ministro italiano – che peraltro non sta alla Farnesina – per potersi mettere in moto.

Intanto la missione iniziata proprio nella capitale ucraina conosce la sua ultima tappa in Cina. Nella terra del Dragone lo status di inviato papale potrebbe essere persino un handicap per il cardinale perché alla questione russo-ucraina aggiunge i risvolti del dossier sulla nomina dei vescovi e sulla condizione dei cristiani cinesi. Al tempo stesso, però, qualora non si rivelasse un insuccesso potrebbe accelerare l’instaurazione di relazioni diplomatiche tra Repubblica popolare cinese e Santa Sede che ad oggi, occorre ricordare, ancora non esistono formalmente.



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