Xi e Biden, sorrisi e piccole intese. Ma la guerra fredda continua
Ascolta la versione audio dell'articolo
Primo viaggio di Xi Jinping negli Usa dal 2017, primo incontro al vertice dopo un anno di tensioni fra Usa e Cina. Raggiunti solo accordi su droga e comunicazioni fra militari. Libertà di religione assente.
L’incontro fra il presidente cinese Xi Jinping e il presidente americano Joe Biden, a San Francisco, ai margini del vertice Apec, ieri (15 novembre) è sembrato più un cerimoniale fine a se stesso che un dialogo costruttivo. Però il fatto stesso che si sia tenuto l’incontro al vertice delle due superpotenze è da considerarsi un successo della diplomazia.
Sia il presidente americano che il suo omologo cinese non si presentavano al massimo della forma. Xi Jinping, in particolare, ha licenziato i ministri degli Esteri e della Difesa e condotto una purga nei ranghi militari che ha colpito soprattutto le Forze missilistiche strategiche. La crisi politica si accompagna alla crisi economica. Non solo non vi sono segnali di una vera ripresa, dopo il crollo della produzione dovuto al Covid e alle politiche di rigidissimo lockdown, ma vi sono almeno tre segnali di crisi sistemica: alta disoccupazione giovanile, fuga di capitali e scoppio della bolla immobiliare. Va decisamente meglio l’economia degli Usa, visto che la politica anti-inflazione ha portato ai suoi primi buoni risultati senza ricadute gravi sull’occupazione. Ma la popolarità di Biden resta ai livelli minimi dall’inizio del suo mandato, per la sua mancanza di carisma (e la preoccupazione che non sia più nelle condizioni di ricoprire il suo ruolo) e per la sua incapacità di affrontare gravi problemi quali l’immigrazione incontrollata dal Sud e la crescente criminalità. Si avvicina l’anno elettorale e la politica è polarizzata come non mai.
Entrambe le parti avevano dunque l’esigenza di presentare buoni risultati alla loro opinione pubblica. In Cina, soprattutto, la stampa del Partito Comunista ha improvvisamente cambiato atteggiamento nei confronti dei nemici americani. Tanto da attirarsi critiche e ironie sui social network cinesi. Il Giornale del Popolo, ad esempio titolava sulla necessità della relazione bilaterale con gli Usa: «stabilizzare e migliorare (i rapporti, ndr) invece che scivolare nel conflitto e nella rivalità».
Xi Jinping è stato accolto a San Francisco, per la prima volta negli Usa dal 2017 (allora il presidente era Donald Trump), da Joe Biden accompagnato dal Segretario di Stato Antony Blinken e dalla Segretaria al Tesoro Janet Yellen. L’incontro si è tenuto nella villa di Filoli, a una cinquantina di chilometri dalla città californiana ed è durato circa due ore. Il presidente cinese avrebbe voluto far precedere il summit da un incontro con gli imprenditori e gli amministratori delegati delle grandi aziende americane, che ha sempre considerato come degli interlocutori più amichevoli rispetto al governo. Ma nelle trattative che hanno preceduto l’incontro, gli americani hanno stabilito che prima dovesse avvenire il vertice fra i presidenti e solo poi il meeting economico con le aziende.
Cosa si è deciso nel vertice? Nessun accordo è stato raggiunto. Tuttavia le due parti ritengono “più vicino” un accordo sulla lotta al traffico di Fentanyl, fra Cina, Messico e Usa, e la ripresa delle comunicazioni dirette fra le forze armate americane e quelle cinesi.
La questione del Fentanyl è la più importante per gli Stati Uniti. La Cina esporta sostanze chimiche in Messico che i cartelli usano per sintetizzare il Fentanyl, un farmaco anti-dolorifico regolarmente usato nella medicina, ma che, se tagliato con altre sostanze e assunto in dosi sbagliate, diventa una droga potente 50 volte più dell’eroina e 100 volte più della morfina. I cartelli della droga messicani la contrabbandano negli Usa, dove spopola e sta creando una vera e propria piaga sociale. Nel 2021 si registravano 100mila morti per overdose di questa droga. La Cina ha sempre mantenuto un atteggiamento molto ambiguo nei confronti di questo traffico. Ufficialmente vieta le droghe ed esporta solo sostanze legali al Messico. Di fatto, potrebbe essere direttamente coinvolta nel traffico. E non sarebbe una novità nelle guerre orientali. La Cina ha infatti subito più volte la penetrazione del traffico di oppio, come mossa preliminare di un’invasione di eserciti stranieri, da ultimo il Giappone, fra il 1931 e il 1937. Potrebbe aver imparato la lezione e averla applicata agli Usa, il nuovo nemico. Un accordo sulla lotta al traffico clandestino del Fentanyl sarebbe dunque un gesto distensivo.
La seconda questione è però la più urgente da risolvere. Le comunicazioni dirette fra le forze armate cinesi e americane si sono interrotte da quando Nancy Pelosi, allora speaker della Camera, si era recata in visita a Taiwan il 2 agosto 2022. Da allora in poi (anche se l’escalation contro Taiwan era già in corso da mesi) i cinesi hanno moltiplicato le provocazioni anche contro navi e aerei statunitensi, soprattutto nel Mar Cinese Meridionale. Le tensioni sono ulteriormente aumentate quando un pallone spia è stato avvistato e abbattuto sui cieli degli Usa il febbraio scorso. Ripristinare le comunicazioni dirette fra i comandi delle due parti è fondamentale per evitare incidenti militari (il modo più diretto per far scoppiare una guerra).
«Per due grandi Paesi come la Cina e gli Stati Uniti, voltarsi le spalle non è un’opzione», ha detto Xi. «Non è realistico che una parte rimodelli l’altra. Il conflitto e lo scontro hanno conseguenze insopportabili per entrambe le parti». I due presidenti hanno mostrato (alle loro opinioni pubbliche, soprattutto) il massimo della distensione possibile. Ma i problemi veri restano: Cina e Usa sono su posizioni opposte sul conflitto in Ucraina, sul conflitto in Medio Oriente e soprattutto rischiano lo scontro diretto su Taiwan. Che la Cina vorrebbe inglobare, non solo formalmente.
La grande assente del vertice: la repressione delle religioni in Cina. Nei comunicati e nelle dichiarazioni non compare neppure. Gli unici a ricordarlo sono stati manipoli di manifestanti tibetani e uiguri, di fronte al consolato cinese di San Francisco. Di solito gli Usa peroravano pubblicamente, negli incontri con le controparti cinesi, la causa della libertà di religione. Questa volta, in agenda, c’erano: riscaldamento globale, intelligenza artificiale, commercio e sicurezza. E l’invito di Xi Jinping affinché Usa e Cina rispettino reciprocamente “differenti culture, storie, sistemi sociali”, indica la sua chiara volontà di non rispettare le religioni che considera “straniere”, fra cui il cristianesimo.
Aggiornamento del 16 novembre: non erano passate neppure poche ore dalla conclusione del vertice che Biden ha aggiunto la sua ennesima gaffe, rendendo precario il tutto. Nella conferenza stampa successiva al summit, alla domanda di un giornalista se considera Xi Jinping un dittatore, il presidente Usa ha risposto: «Bè è un dittatore, nel senso che gestisce un Paese che è un Paese comunista ed è basato su una forma di governo totalmente diversa dalla nostra». Che è vero. Ma non opportuno nel momento in cui il suddetto dittatore è in visita negli Usa. Immediata la reazione cinese. Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha definito la risposta di Biden "estremamente sbagliata".