Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Pietro Canisio a cura di Ermes Dovico
A 30 ANNI DALLA REDEMPTORIS CUSTOS

«Vi spiego quant’è grande il Custode del Redentore»

«La paternità è lo strumento che Dio ha messo in mano a san Giuseppe per servire Gesù, appunto come padre». «San Giuseppe è prima di tutto un contemplativo». «Purtroppo oggi nei libri di dogmatica e nei seminari la sua figura è assente». Intervista a padre Tarcisio Stramare, teologo che ha collaborato con Giovanni Paolo II alla Redemptoris Custos, l’esortazione apostolica sulla missione di san Giuseppe di cui oggi ricorre il 30° anniversario.

Ecclesia 15_08_2019

«Purtroppo nei libri di dogmatica, nei seminari e nelle università cattoliche, la figura di san Giuseppe è oggi assolutamente assente. Ma come si può fare teologia della Santa Famiglia e quindi della famiglia se manca san Giuseppe?». A parlare è padre Tarcisio Stramare, religioso degli Oblati di San Giuseppe e guida, all’interno di questa stessa congregazione, del Movimento Giuseppino, che ha il preciso fine di diffondere la conoscenza e il culto del padre putativo di Gesù.

Tra i maggiori studiosi di josefologia, padre Tarcisio, che a quasi 91 anni conserva una lucidità da fare invidia e ha di recente pubblicato il ponderoso volume San Giuseppe. Fatto religioso e teologia (Shalom, 2018), è stato uno dei teologi ad aver collaborato con san Giovanni Paolo II alla stesura della Redemptoris Custos («Il Custode del Redentore»), l’esortazione apostolica incentrata sul ruolo e la missione di san Giuseppe nella vita di Gesù, dunque al servizio del mistero della Redenzione.

In occasione del 30° anniversario della Redemptoris Custos - che cade proprio oggi, nella solennità dell’Assunta - la Nuova Bussola ha intervistato padre Tarcisio.

Padre Tarcisio Stramare, lei ha collaborato con Giovanni Paolo II alla Redemptoris Custos: a 30 anni di distanza perché è importante riscoprire gli insegnamenti di questa esortazione apostolica?
Ho collaborato molto soprattutto sull’impianto teologico perché questo è quello che manca quando si parla di san Giuseppe. Al di là dei pur buoni discorsi sulle virtù o delle predichette che riducono san Giuseppe a un brav’uomo, ciò che manca, e che tuttavia è essenziale, è la sua presenza nel piano dell’Incarnazione. Basterebbe seguire lo schema del Concilio sulla Rivelazione, che comprende tre elementi: fatti, parole e il mistero in essi contenuto. Si tratta di approfondire quale parte ha avuto san Giuseppe in questo mistero. La sua prima funzione è quella di minister salutis, cioè di «ministro della salvezza», dove per «salvezza» si intende evidentemente quella offerta agli uomini da Gesù. A quest’opera del Redentore gli uomini possono partecipare come servi del piano di Dio: la Madonna vi partecipa in un modo assoluto, innanzitutto servendo Gesù come madre; e, accanto a lei, san Giuseppe lo ha servito come padre.

È questo il punto di partenza per comprendere il ruolo di san Giuseppe nella Redenzione?
Sì, al n° 8 della RC è infatti scritto che «San Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità». Quindi, la paternità è lo strumento che Dio ha messo in mano a san Giuseppe per servire Gesù, appunto come padre. Nella RC si approfondisce proprio la paternità come principio teologico per guardare a san Giuseppe, un principio che chiaramente «passa attraverso il matrimonio con Maria, cioè attraverso la famiglia» (RC, 7).

Nella RC si mette più in luce, dunque, il suo servizio paterno verso Gesù?
Esatto. Ora, anche noi serviamo Gesù, però non direttamente bensì attraverso la Sua Chiesa, mentre Giuseppe l’ha servito direttamente. Lui, con la Madonna, ha potuto toccare con mano la carne di Gesù, quindi la Sua umanità. E com’è stato custode e padre di Gesù in terra, così oggi continua la sua missione paterna di protettore della Chiesa. Per questo la prima parte della RC parla della sua paternità rispetto a Gesù e l’ultima parte della sua protezione verso la Chiesa. Si ribadisce così che la Chiesa deve rivolgersi a san Giuseppe e anche imitarlo: la Chiesa deve cioè imparare a servire Gesù, come l’ha servito Giuseppe insieme con Maria. È importante sottolineare questo suo ruolo insieme con Maria, che purtroppo è spesso trascurato anche da alcuni mariologi, come se la Madonna non si fosse mai sposata.

Lei prima ha usato un’espressione, «ministro della salvezza», che è contenuta nella RC e appartiene a san Giovanni Crisostomo.
Il Crisostomo è un Padre e dottore della Chiesa. Questo ci ricorda che i Padri della Chiesa e gli scrittori ecclesiastici si sono sempre occupati della figura di san Giuseppe, quindi non è vero quando si dice che di lui “non si sa niente”… I Padri parlano in lungo e in largo di san Giuseppe perché nelle loro omelie spiegavano il Vangelo; e il primo Vangelo che spiegavano era quello di Matteo, che all’inizio si sofferma proprio su Giuseppe.

Nella RC si parla anche dell’importanza di Giuseppe in relazione al lavoro umano, avvicinato al mistero della Redenzione. Può spiegarci questo passaggio?
Il punto è che Gesù ha «assunto» tutte le realtà umane e, tra queste, una realtà primordiale è il lavoro. Gesù ha quindi «assunto» anche il lavoro, per purificarlo e santificarlo. Ora, san Giuseppe, da ministro della salvezza, ha accostato Gesù al lavoro, gli ha insegnato a lavorare, lo ha messo in contatto con il lavoro perché lo santificasse, affinché fosse Lui, come per le altre realtà umane, il Redentore di tutto.

Subito dopo aver parlato del suo essere lavoratore, la RC sottolinea il primato della vita interiore in san Giuseppe.
Giovanni Paolo II ne evidenzia il silenzio, non come silenzio fine a se stesso bensì visto proprio come contemplazione. Perché san Giuseppe non era solo un lavoratore che poi magari è stanco morto e nemmeno pensa a Dio… lui era soprattutto un contemplativo. Nella RC c’è questo capitoletto in cui si spiega bene come contemperare azione e contemplazione. Si tratta di un passaggio fondamentale perché san Giuseppe non è una figura ‘facile’ che si può liquidare come modello di uomo povero e silenzioso. Purtroppo in campo teologico non lo guarda quasi più nessuno, nei manuali di teologia non è nemmeno nominato, né tantomeno si capisce come lui sia intimamente legato ai misteri dell’Incarnazione e della Redenzione.

Sempre a proposito di contemplazione, che cosa ha da dirci la grande devozione che una contemplativa e riformatrice del Carmelo come santa Teresa d’Avila aveva verso san Giuseppe?
Ci dice che san Giuseppe è appunto prima di tutto un modello di contemplazione. Ogni giorno aveva davanti a sé la Verità, e certamente era incantato dalla Verità, che è Gesù. Se manca la contemplazione anche l’azione diventa… mera azione e basta. Contemplare significa essere afferrato dalla Verità. Per fare un esempio: in base all’amore tu lavori, perciò più sarà forte l’amore per la tua famiglia più sarà motivato il tuo lavoro. La contemplazione è Amore ed è attraverso di essa che il lavoro può legarsi all’Amore. Contemplare vuol dire amare, e amare vuol dire conoscere: se ami, allora fai con impegno, con sacrificio di te. San Giuseppe ha dato tutta la sua vita a Gesù perché lo amava.

Guardando agli ultimi due secoli, come facendo da contraltare alla secolarizzazione crescente, i Papi - da Pio IX che lo ha dichiarato patrono universale in poi - hanno promosso molto la devozione a san Giuseppe. Eppure oggi nella stessa Chiesa non si ‘vede’ il ruolo di san Giuseppe: si può fare un parallelo con il fatto che la paternità, al livello più generale della società, sia sotto attacco?
Certamente, infatti oggi c’è bisogno di questo tema della paternità ed è necessario tirar fuori san Giuseppe e parlarne! Se pensiamo al matrimonio, come si può fare teologia della famiglia senza la Santa Famiglia? Sì, si dice che è un modello, ma tutto finisce lì. Così si fa solo moralismo, non teologia. C’è bisogno di capire che la famiglia è parte integrante dell’Incarnazione e della Redenzione e che nella Santa Famiglia, con Gesù, ci sono appunto Maria e Giuseppe. Nella RC si accenna a un argomento che tratto in alcuni capitoli del mio ultimo libro e cioè dell’appartenenza di san Giuseppe alla stessa unione ipostatica. Perché l’Incarnazione del Verbo avviene attraverso quest’unione che richiede la presenza di Maria e Giuseppe, mica sono personaggi di contorno. Fanno parte dell’essenza dell’Incarnazione, perché Dio si è incarnato in una famiglia. È questa la grandezza che bisogna mettere in luce.