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INNO SACRO

Veni Creator, il canto dello Spirito

Nella solennità di Pentecoste, e non solo, sentiamo risuonare il Veni Creator Spiritus, un inno molto bello e denso teologicamente, attribuito a san Rabano Mauro, in cui il dolce Consolatore viene implorato di essere luce per il nostro intelletto e sostegno nella prova. Accanto a quella nel repertorio gregoriano, ci sono state diverse versioni di questo inno in musica polifonica.

Ecclesia 23_05_2021

 

Non c’è dubbio sul fatto che esistono dei brani musicali che tradizionalmente vengono associati a certe feste liturgiche e che anche per questo hanno conosciuto, almeno in passato, una grande notorietà. Fra questi esempi possiamo annoverare l’inno Veni Creator Spiritus, che nella sua melodia gregoriana ancora possiamo sentire risuonare in varie occasioni e non solo intorno alla solennità di Pentecoste. È in effetti usato in tutte quelle occasioni in cui si invoca l’assistenza dello Spirito Santo per qualche occasione particolare.

Il canto del Veni Creator Spiritus è indicato per l’Ufficio divino durante la Pentecoste, anche se a volte ci capita di ascoltarlo durante la Messa, dove è invece prescritta la sequenza Veni Sancte Spiritus. È attribuito a san Rabano Mauro, vescovo di Magonza nel IX secolo e grande protagonista della cultura carolingia. L’inno, nell’ottavo modo gregoriano, ha un testo molto bello e denso teologicamente, in cui sembra quasi l’autore faccia a gara con sé stesso per trovare appellativi adeguati allo Spirito Santo, chiamandolo “dolce consolatore, dono del Padre altissimo, acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell’anima, dito della mano di Dio...”. In una strofa si chiede allo Spirito di essere luce per l’intelletto e di infondere amore nei nostri cuori, rafforzando i nostri corpi deboli con la Sua ferma virtù. Il cardinale e predicatore della Casa pontificia Raniero Cantalamessa dice: «Nell’inno più famoso allo Spirito Santo, il Veni Creator, composto all’inizio del sec. IX, si chiede allo Spirito Santo di “accendere una luce nella mente” (accende lumen sensibus). (La parola sensus non indica qui i sensi esterni, ma, come spesso nel latino ecclesiastico, la mente, l’intelligenza, il pensiero)». Insomma, si chiede allo Spirito Santo di illuminare la nostra mente e sorreggere il nostro cuore.

Ci sono state, accanto a quella nel repertorio gregoriano, tante versioni di questo inno in musica spesso polifonica. Per me una delle più belle è quella di Domenico Bartolucci (1917-2013), già maestro della Cappella Sistina e cardinale. Una versione per soprani, tenori primi e tenori secondi, baritoni e bassi, quindi a cinque voci miste. Si ascoltava spesso questa versione dell’inno nelle cerimonie papali, una versione che prende spunto dalla melodia gregoriana in cui vengono fatte cadere alcune note (le “male note”, cioè note non essenziali per l’impalcatura melodica, un uso in voga fin dal Rinascimento). È molto bello il modo in cui le voci scure, le voci maschili, fanno quasi da sfondo al canto dei soprani che nella Cappella Sistina era affidato all’innocenza vocale dei pueri cantores.

L’uso tradizionale di vestire polifonicamente le melodie gregoriane ha visto in Domenico Bartolucci un maestro grandissimo, del resto in obbedienza a quanto aveva detto il Vaticano II che riserva al gregoriano un posto preminente e a quanto ancora prima aveva comandato san Pio X nel suo motu proprio sulla musica sacra: “Il canto gregoriano fu sempre considerato come il supremo modello della musica sacra, potendosi stabilire con ogni ragione la seguente legge generale: tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nella ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana, e tanto è meno degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme”. Una legge che il Maestro toscano aveva veramente rispettato in modo sommo.

Esistono molte composizioni in onore dello Spirito Santo, che spesso si ascoltavano per la Pentecoste. Lo Spirito Santo ha ispirato musicisti e artisti vari in tutte le epoche. In un’omelia per il suo venticinquesimo anniversario di consacrazione episcopale, contemplando la colomba del Bernini nella Basilica di san Pietro, Pio XII disse: «Or ora, mentre ai piedi di questo Altare, fra i pensosi ricordi che commovevano e inondavano l’animo Nostro, indossavamo i sacri paramenti per prepararCi a celebrare il Sacrificio eucaristico, il Nostro sguardo, sollevandosi, contemplava risplendente dall’alto di questo meraviglioso baldacchino, in mezzo a raggi d’oro, l’immagine della colomba con le ali aperte, evangelico e confortante simbolo dello Spirito Santo Paraclito, che sta sopra la Chiesa e vi spira e diffonde i multiformi carismi della sua grazia e la copia della sua pace spirituale. È un simbolo che parla». Certo, un simbolo che parla in ogni tempo, come nell’inno di cui abbiamo parlato, in cui il dolce Consolatore viene implorato di essere luce per il nostro intelletto e sostegno nella prova.