Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
I "CUSTODI" DELLA TRADIZIONE

Una data di scadenza per la Messa in rito antico

A Chicago è confermata la sospensione delle celebrazioni pubbliche dell’ICRSS, cambia l'aria ad Arlington e laddove la "Messa in latino" prosegue è condizionata a un termine. Si tenta di accelerare le tappe verso l'estinzione di un rito che si voleva già sepolto 50 anni fa, ma è più vivo e ostinato dei suoi detrattori.

Ecclesia 12_08_2022

Dal 1° agosto a Chicago l’Istituto di Cristo Re chiude, ma non per ferie. Lo scarno avviso sulla sospensione delle Messe pubbliche sembra dunque confermare i rumors sulla volontà del cardinale Blaise Cupich, in linea con l’intento dichiarato già pochi mesi dopo la promulgazione di Traditionis Custodes: «Prendo sul serio il mio dovere di promuovere il ritorno a una forma unitaria di celebrazione della liturgia», cioè di farla finita col rito antico. Del resto, l’arcivescovo di Chicago coltiva un’ostilità di lunga data verso la liturgia tradizionale, come ha documentato anche il vaticanista Marco Tosatti. Nel 2002 vigevano le concessioni di San Giovanni Paolo II che ne raccomandava «un’ampia e generosa applicazione», ma Cupich, allora vescovo di Rapid City, aveva proibito il Triduo pasquale alla locale comunità tradizionale, che pertanto si adattò a celebrare... sul marciapiede.

Lo hanno voluto loro, replica l’arcidiocesi che attribuisce la decisione all'Istituto di Cristo Re. Stando al comunicato riportato da più di una fonte: «Il 31 luglio il santuario di Cristo Re ha comunicato all’arcidiocesi che avrebbe sospeso la celebrazione della Messa e degli altri sacramenti. È stata una loro scelta». Tuttavia, Jennifer Blackman, della Coalition to Save the Shrine, riferisce che avrebbero potuto continuare solo assoggettandosi alle (restrittive) linee-guida promulgate il 25 dicembre 2021 che tra le altre cose imponevano a ogni sacerdote incaricato della cura spirituale dei fedeli legati al rito antico di «dimostrare che li sta guidando verso l’uso comune dell’unica lex orandi del rito romano», oltre a vietare le Messe tradizionali nei momenti chiave dell’anno liturgico. Vi si è uniformata, per esempio, la parrocchia di San Giovanni Canzio, ma in questo caso si tratta di un istituto già di suo biritualista (e che celebra anche in forma ordinaria con rara sacralità) e senza nascondere di aver appreso le nuove norme «con non poca tristezza».

Per l’Istituto di Cristo Re si tratterebbe di venir meno alla propria ragion d’essere, essendo fondato appositamente allo scopo di custodire il rito antico che, pertanto, è parte integrante del suo carisma. Osserva LifeSiteNews che «tra i punti che avrebbero dovuto sottoscrivere – ciascun sacerdote individualmente – c’era anche quello per cui il Novus ordo è la sola autentica espressione del rito romano». Ma questa formulazione (derivante da Traditionis custodes) equivale a dichiarare che lo stesso Istituto di Cristo Re dovrebbe estinguersi o subire una metamorfosi. Inoltre, il cardinal Cupich pretendeva che chiedessero un permesso di celebrare la Messa tradizionale per due anni, ma che lui avrebbe potuto revocare in qualsiasi momento. Quanto agli altri sacramenti, salvo rari casi, l'uso dell'antico Rituale romanum è già proibito. Aggiungiamo pure che la chiesa, già devastata da due incendi e a rischio chiusura, era stata ceduta dall’arcidiocesi all’Istituto che, insieme alla comunità locale, si era assunto l’onere della ricostruzione. Per dover rinunciare oggi alle celebrazioni pubbliche...

In questo contesto assume particolare significato la recente visita del cardinale Raymond Burke all’Istituto in Wisconsin. Domenica scorsa il porporato, da sempre vicino alle realtà tradizionali, ha celebrato la Messa al St. Mary’s Oratory di Wasau. LifeSiteNews riporta alcuni stralci dell’omelia, in cui Burke paragona i tempi presenti al «popolo eletto prima del crollo di Gerusalemme», e sottolinea che «il veleno del pensiero mondano colpisce la vita della Chiesa, distogliendo i cuori da Cristo, dal rispetto della verità della dottrina cristiana e dal culto di Dio in spirito e verità». «L’apostasia appare dolorosamente nelle vite di quanti si proclamano devoti cattolici ma al tempo stesso disprezzano la tradizione apostolica». Ed esorta non cedere «allo scoraggiamento e alla tentazione di abbandonare la lotta quotidiana per difendere il Signore e la sua Chiesa anche dai nemici interni alla Chiesa stessa».

Intanto, all’esterno della nunziatura di Washington si protesta a suon di rosari (il 6 agosto è stato il secondo sabato consecutivo, seguendo un’analoga iniziativa francese davanti alla nunziatura di Parigi). Come in altre diocesi statunitensi, anche qui un decreto del cardinal Gregory ha annunciato a partire da settembre restrizioni alla celebrazione della liturgia tradizionale, tra cui il divieto per Natale e Pasqua e l’immancabile obiettivo di “rieducare” tutti all’unica forma liturgica ammessa, ovvero quella riformata.

Drastica inversione di rotta ad Arlington, in Virginia, dove a gennaio il vescovo Michael Burbidge aveva dichiarato che le celebrazioni potevano continuare in tutte le ben 21 (!) parrocchie interessate. Il blog Messainlatino l’aveva infatti censita tra le situazioni (allora) favorevoli anche dopo Traditionis Custodes. Ma dopo aver chiesto al Dicastero per il Culto Divino la dispensa (legata al noto divieto di celebrare nelle parrocchie stabilito dal motuproprio) il 29 luglio  ha emesso un nuovo documento per cui a partire da settembre ne resteranno soltanto 8. Un numero “elevato” rispetto alla media generale, ma comunque ridotto di due terzi e con le ormai prevedibili restrizioni: per tutte c’è il divieto di celebrare durante la Settimana Santa e il Triduo e per tre di esse viene stabilito un limite di due anni.

La “data di scadenza” è la vera novità in questi provvedimenti americani che si ripetono a grandi linee (essendo accomunati dall’unica ispirazione romana). I due anni del permesso richiesto da Cupich, i due anni delle parrocchie di Arlington, e addirittura una data precisa – il 20 maggio 2023 – per la diocesi di Savannah, fanno pensare a una fase successiva dell’applicazione di Traditionis Custodes: dalla dichiarazione di intenti alla dichiarazione di guerra, affinché il rito antico non si estingua in un generico futuro ma nel giro di pochi anni e forse meno. Con manovre concrete per azzopparlo sin da subito (divieto a Pasqua e Natale) e un contentino per chi si adegua (Messe riformate ma in latino, dimenticando che non è solo questione di lingua ma è un’intera spiritualità a spingere verso questo rito, come voler obbligare i certosini a farsi francescani o viceversa). E bisogna ammettere che l’applicazione di Traditionis Custodes è molto meglio organizzata e ben più ostinata, sia nell’Urbe che nell’orbe, di quella del precedente Summorum Pontificum.

Le disposizioni americane sembrano concretizzare l’intento della Santa Sede, radicalmente mutato rispetto ai due pontificati precedenti, ma identico a quello di cinquant’anni fa: adoperarsi affinché la liturgia tradizionale sparisca dalla faccia della terra. Ci provarono allora, quasi sul punto di riuscirci, ma quell’«introibo ad altare Dei» che ha continuato a riemergere come un fiume carsico appare più ostinato di chi vorrebbe sopprimerlo.