Un cuore che batte, ultimi giorni per una firma che vale
Ascolta la versione audio dell'articolo
Il prossimo 7 novembre è l’ultimo giorno utile per firmare “Un cuore che batte”, la proposta di legge di iniziativa popolare che mira a limitare l’aborto. Una proposta che ha incontrato tanto fuoco amico. Ma che è giusto firmare e spieghiamo perché.
Meno sette. Mancano solo sette giorni per poter sottoscrivere nel proprio comune di residenza la proposta di legge di iniziativa popolare Un cuore che batte (ne abbiamo già parlato qui, qui e qui). Il testo della proposta di legge è il seguente: «All’art. 14 Legge 22 Maggio 1978, n. 194, contenente “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, si aggiunge il seguente: “comma 1-bis. Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria della gravidanza ai sensi della presente legge, è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso”».
Come avevamo appuntato a suo tempo, questa proposta di legge presenta delle criticità, ossia è perfettibile come tutte le proposte, ma è in sé buona. La raccolta firme è stata ostacolata non tanto dal fuoco nemico, bensì da quello amico. In testa ci fu Avvenire, il quale bocciò l’iniziativa soprattutto perché non verrebbe mai varata (qui la nostra replica). Ma chi ha promosso la raccolta firme, con sano realismo, è ben cosciente che la proposta non vedrebbe mai la luce. La raccolta firme, come già appuntavamo, persegue altri scopi: non dare per scontato che la Legge 194 sia immodificabile, denunciarne la sua iniquità in un momento in cui anche alti prelati la difendono (come il cardinal Matteo Maria Zuppi e monsignor Vincenzo Paglia), risvegliare le coscienze sull’identità del nascituro, creare dibattito, giocare d’attacco uscendo dal pressing abortista e molto altro. Lo scopo è quindi eminentemente culturale, non giuridico-politico.
Parlavamo del fuoco amico. Diverse sono le critiche che vengono mosse da alcuni settori del mondo pro-life al progetto di legge. La prima: non possiamo far leva sui sensi di colpa della donna al fine di impedirle di abortire. Meglio mostrare la bellezza della vita e dell’essere madri. Risposta: benedetti sensi di colpa. Inoltre, i sensi di colpa non escludono che si possa parlare della bellezza della vita e della maternità. Il senso di colpa è la retta coscienza che parla al cuore della persona per ammonirla dall’evitare un male; è il deterrente, spesso ultimo ma efficace, per astenersi da azioni malvagie; è la voce di Gesù che ci guarda in faccia e provoca la nostra coscienza dicendoci: «Quello che devi fare fallo al più presto!» (Gv 13, 27). Se togliamo l’occasione perché il senso di colpa si manifesti, il senso di colpa si trasformerà nel rimorso di coscienza che non solo durerà assai più, ma graverà sul cuore della donna molto di più del senso di colpa e sfocerà spesso in quel coacervo di dolori della psiche e del corpo che va sotto il nome di sindrome post-abortiva. Allora mostrare il feto e far ascoltare il battito impedisce non solo al bambino di morire, ma anche alla madre di morire dentro.
C’è un interessante libretto sull’aborto dal titolo Una chat per la vita (Edizioni Ares). Raccoglie, soprattutto ma non solo, le testimonianze di donne che hanno abortito o che volevano abortire e che hanno scritto ad una chat realizzata dal Movimento per la Vita di Varese. La sofferenza insopprimibile delle prime è la cruda testimonianza che l’aborto è l’uccisione del figlio da parte della madre. L’angoscia, la paura e il panico delle seconde, frutto della profonda divisione interiore, è il monito che si sta levando la mano sopra non un bambino qualsiasi, ma sopra loro figlio. La frase più ricorrente nel libro scritto dalle volontarie del Movimento per la Vita all’indirizzo di queste donne che camminano tremanti sul baratro dell’aborto è la seguente: «Il bambino c’è già!».
Pochissime sono le madri che uccidono i figli già nati. Molte di più quelle che lo hanno ucciso prima della nascita. Perché? Essenzialmente per due motivi. Innanzitutto perché il mainstream ha persuaso molte che l’aborto non è un assassinio, ma solo una interruzione di una gravidanza di un essere umano non ancor ben formato. Le donne non sono intimamente convinte di questo, ma lo usano come pretesto e come scusante. In secondo luogo, perché il figlio che deve ancora nascere non lo hanno visto, sentito, toccato, annusato. Più facile uccidere senza guardare negli occhi la vittima. Allora è quanto mai opportuno far ascoltare alla madre quel cuore che batte, perché se lo ascolterà sentirà che non batte, bensì bussa, bussa alla porta del suo cuore chiedendo di entrare, di essere accolto, chiedendo che il suo cuore batta all'unisono con quello del figlio.
Come già appuntavamo alcuni mesi or sono, far ascoltare il cuore del bambino salva moltissime vite, fa la differenza: «Nel 2011 il Texas licenziò una legge che obbligava la donna a queste due procedure [mostrare l’ecografia del feto e far ascoltare il battito cardiaco]: nel 2005 gli aborti furono 85mila, nel 2008 84mila, nel 2011 (anno del varo della legge) 73mila, nel 2014 55mila e poi si stabilizzarono (qui i dati ufficiali). Contra facta…».
Sempre in merito all’obiezione che sarebbe perverso e controproducente far leva sui sensi di colpa materni, viene da rispondere che se la legge non vedrà mai la luce, come sostengono correttamente anche i suoi detrattori, perché preoccuparsi dei sensi di colpa della donna? Senza poi ricordare che la donna, stante l’obbligo del medico di proporre la visione, potrebbe benissimo rifiutarsi di vedere e ascoltare. Perché la proposta prevede solo l’obbligo in capo al medico di far vedere e ascoltare, non l’obbligo in capo alla donna di vedere e ascoltare. Sarebbe una sua libera scelta. Ma se è libera perché imputare a chi vuole questa legge il suo senso di colpa?
Un’altra censura che in modo ricorrente viene avanzata contro questa proposta rimanda al fatto che è una proposta divisiva all’interno del mondo pro-life. Vero è che occorre prestare attenzione a non creare divisioni, ma questo non può essere un assoluto morale, soprattutto quando in ballo ci sono milioni di vite e quando un’ampia fetta del mondo pro-life sopravvive in un’inerzia accidiosa, non vuole farsi nemici tra chi in realtà è già nostro nemico (vedi i radicali) e tra gli uomini di Chiesa, scende spesso a compromessi, si nasconde dietro il paravento della prudenza. Diciamo che in questo caso la proposta Un cuore che batte concretizza nell’azione una divisione già esistente a livello di pensiero tra chi non accetta l’aborto e lo combatte e chi non lo accetta ma non lo combatte. E poi, per andare tutti d’accordo, perché si dovrebbe per forza sposare l’impostazione attendista di alcuni? Perché non potrebbe valere il contrario? «Andiamo tutti d’accordo firmando questa legge!», così si potrebbe obiettare.
La quarta critica a questa proposta di legge: non si raggiungeranno mai 50.000 firme e dunque nella partita contro i pro-choice il fronte pro-life segnerebbe un clamoroso autogol. È una profezia che si autoavvera: se non facciamo nulla per raggiungere la meta, è agevole poi dire che la sconfitta era stata ampiamente prevista. Confidiamo invece che il traguardo delle 50.000 firme verrà tagliato – e spetta soprattutto a te che stai leggendo ora contribuire a tale risultato – ma qualora non si raggiungesse la colpa non ricadrebbe sui proponenti, né tantomeno e per paradosso su chi ha firmato, ma soprattutto su quei pro-vita che hanno osteggiato la firma, depotenziando l’iniziativa. Facile dunque pontificare successivamente sulla prevedibile poca presa dell’iniziativa, quando si è fatto di tutto per affossare la stessa o non si è fatto nulla per promuoverla.
Infine, l’ultima obiezione potrebbe suonare così: un progetto di questa portata doveva raccogliere l’adesione di tutte le realtà importanti del mondo pro-vita così da coordinare gli sforzi. Risposta in sintesi. Innanzitutto, la realtà più importante pro-life oggi esistente in Italia ha aderito all’iniziativa e si tratta dell’associazione Pro Vita & Famiglia. La più importante perché testimonia con i fatti il suo impegno costante per la tutela della vita. In secondo luogo, i proponenti l’iniziativa hanno bussato alle porte di moltissimi, ma quando hanno capito che alcuni avrebbero manipolato il testo della proposta legislativa per renderlo più morbido, o per inoculare in esso prospettive concettuali proprie del mondo abortista, hanno fatto bene a richiudere quella porta che era stata loro aperta.
Detto tutto ciò, il 7 novembre è l’ultimo giorno possibile per sottoscrivere questa proposta presso gli uffici elettorali dei vostri comuni di residenza. E dunque andate a firmare. Magari non vi saranno grati gli abortisti e alcuni pro-vita un po’ confusi, ma di certo ve ne saranno grati i bambini già abortiti. Il cuore dei figli nel ventre delle loro madri siamo certi che batte. Così speriamo anche il vostro.
«Chi vuole l'aborto ascolti prima il battito del cuore»
Depositata in Cassazione una proposta di legge di iniziativa popolare per emendare la legge 194, introducendo l'obbligo del medico di far vedere il nascituro e fare sentire il battito alla donna intenzionata ad abortire. La legge è firmata da molte associazioni pro-life ma non dalle due più legate alla Cei: Movimento per la Vita e Difendiamo i nostri figli. Un'iniziativa importante, anche se non sfonderà in Parlamento, perché segna un nuovo approccio non più solo difensivo.
- VIDEO: L'Espresso, diritto all'aborto a suon di blasfemie, di Riccardo Cascioli
Un cuore che batte, la raccolta firme può fare la differenza
In corso la raccolta firme, ne servono 50.000 entro il 7 novembre, per la proposta di legge di iniziativa popolare che mira a ridurre gli aborti. Si firma nel proprio comune di residenza. Un’iniziativa per una svolta pro vita.
Il "Cuore che batte"? No, Avvenire preferisce la 194
Con un autorevole editoriale, il quotidiano dei vescovi italiani boccia la proposta di legge popolare che vuole limitare la portata letale della Legge 194. E ripropone la vecchia strategia rivelatasi fallimentare.
- Ancora più convinto di firmare per la legge, di Benedetto Rocchi