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Aborto, Paglia tocca il fondo tifando per la 194: «Un pilastro»

Intervistato da Rai Tre, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita tocca il fondo della sua collaborazione formale al male definendo la legge 194 «un pilastro della società» e dicendo che non «è assolutamente in discussione». Siamo al ground zero della moralità, della fede: abbiamo un vescovo presidente di un’accademia nata per tutelare la vita che tutela una legge che distrugge la vita.
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Vita e bioetica 27_08_2022

250.000. Sono più o meno i vocaboli presenti nella lingua italiana. Sono tanti, eppure non sono sufficienti per commentare adeguatamente le parole di Mons. Vincenzo Paglia, presidente dell’Accademia Pontifica per la Vita, in merito alla legge 194, norma che ha legittimato l’aborto procurato nel nostro Paese.

Ieri, Rai 3, trasmissione Agorà – Estate. La conduttrice Giorgia Rombolà chiede a Mons. Paglia, uno degli ospiti presenti, cosa pensa dell’aborto che, a motivo soprattutto di un post di Chiara Ferragni, è entrato nel dibattito politico in vista delle elezioni. Paglia così risponde: “Penso che la legge 194 sia ormai un pilastro della nostra vita sociale”. Sic. Il miglior commento sarebbe una pagina bianca, ma ci corre l’obbligo e il disagio di dire qualcosa.

Abbiamo toccato il fondo, siamo ad un punto di non ritorno, al ground zero della moralità, della fede, della ragionevolezza e della coerenza. Abbiamo il presidente di un’accademia nata per tutelare la vita che tutela una legge che distrugge la vita. E’ come se il presidente dell’organizzazione ebraica Anti-Defamation League si dichiarasse a favore dell’olocausto. Sarebbe una contraddizione in termini, un vero e proprio ossimoro vivente. Se il rappresentante principale della principale istituzione vaticana sorta per contrastare, tra gli altri fenomeni sociali contrari alla vita, l’aborto, difende l’aborto significa che, dal punto di vista umano, siamo orami giunti all’interno della Chiesa ad un rovesciamento totale dei principi morali cattolici, ad una rivoluzione radicale della dottrina. Parafrasando Mons. Giacomo Biffi, potremmo dire che la barca di Pietro non affonderà, ma i suoi occupanti paiono già tutti morti affogati.

La legge 194 che ha permesso di uccidere, sì uccidere, più di 6 milioni di bambini, per Paglia è un pilastro, tanto fondamentale che, imbeccato sempre dalla conduttrice che gli chiedeva se la 194 fosse in discussione, il monsignore ha ribadito: “No, ma assolutamente, assolutamente!”. È la 194 a diventare un assoluto morale, non l’aborto. La 194 quindi non si tocca. Ci spiace dirlo, ma così parlano gli abortisti. Come è possibile difendere uno strumento di morte? Non dovrebbe farlo un ateo raziocinante. Ancor più non dovrebbe farlo un credente. Ancor più un cristiano, un cattolico. Ancor più un uomo di chiesa. Ancor più un vescovo o arcivescovo come nel caso di Paglia. Ancor più infine il responsabile della pastorale per la vita a livello mondiale. Richiamando una riflessione proprio della Pontificia Accademia della Vita sul tema della collaborazione (Riflessioni morali circa i vaccini preparati a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti, 5 giugno 2005), dobbiamo, ahinoi, concludere che Mons. Paglia con quelle parole ha espresso una collaborazione formale al male perché ritiene giusta una legge ingiusta, perché approva la ratio di quella legge: è legittimo uccidere i nascituri.

Paglia poi, seguendo un copione trito, spara la solita cartuccia: applichiamo le parti buone della 194, che sarebbero gli artt. 2 e 5, per incentivare la maternità, cioè per evitare aborti. Ne avevamo già parlato a suo tempo in un articolo del giugno del 2018 a cui rimandiamo per un maggiore approfondimento. In questa sede ricordiamo solo la sintesi dei motivi lì espressi per cui è impossibile affermare che la 194 dovrebbe essere applicata meglio per diminuire gli aborti: “La reale esiguità della portata degli obblighi di legge, l’impossibilità della sanzione in capo agli operatori sanitari che non fanno il loro dovere, il fatto che è il medico abortista a dover dissuadere la donna, fanno sì che la 194 può essere applicata benissimo e nello stesso non inceppare per nulla la macchina abortiva che uccide un bambino ogni cinque minuti. Quindi nella 194 non c’è reale prevenzione all’aborto, non perché gli artt. 2 e 5 vengono applicati male (difetto fenomenologico), ma per intrinseca struttura della 194 (difetto giuridico)”. Appare quindi strabiliante dichiarare che per combattere l’aborto occorre applicare meglio una legge che permette l’aborto. No, per combattere l’aborto, tra le altre cose, occorre abrogare la legge che permette di abortire. Anche un bambino ci arriverebbe.

Paglia infine nel suo intervento calca la mano sulla denatalità e sul fatto che è necessario incentivare le nascite (seguendo lo spirito tutto mondano che non bisogna mai parlare male di niente, ma solo bene di tutto, eccezion fatta per i populisti, i sovranisti, i tradizionalisti, i ricchi, etc.). Ma non sa Paglia che, dati alla mano, la prima causa di denatalità in molti paesi occidentali, Italia compresa, è proprio da rinvenirsi nell’aborto e dunque in quel pilastro sociale che è la 194? Un quinto di tutti i concepimenti finisce in un aborto volontario. Paglia vuole incentivare le nascite del 20%? Disincentivi l’aborto, non lo incoraggi parlando bene della 194. Come si fa a parlare bene di una legge che stermina i bambini a cataste e poi lamentarsi che nascono pochi bambini?

L’uscita di Paglia, che in una situazione normale dovrebbe essere accompagnato alla porta oggi stesso, somma sconcerto a sconcerto anche perché viviamo ora a livello mondiale un periodo, se non d’oro, di certo d’argento in merito alla tutela legale della vita nascente. Solo il giugno scorso la Corte Suprema Usa ha mandato in soffitta la sentenza Roe vs Wade che legittimò su tutto il territorio nazionale l’aborto. Là giudici laici combattono l’aborto e qui, invece, un vescovo a capo della Pontificia Accademia per la vita non combatte l’aborto ma lo difende. Perché difendere la 194 significa difendere l’aborto. E qualsiasi mistificazione retorica non potrà mai cancellare questa evidenza, questa equivalenza.

Secondo il Paglia pensiero quindi marce e raduni pro vita dovrebbero svuotarsi di significato, a meno che non si marcerà per difendere la 194  e, per paradosso, per sostenere la natalità.  L’abortista poi ringrazia perchè avrà infatti facile gioco ad obiettare al militante pro-life: “Se il vostro capo è favore della 194 perché tu invece la critichi? Lui non la mette in discussione e quindi la 194 è un confine invalicabile. Indietro non si torna”. Il discorso semmai si potrebbe spostare su quanti bambini riusciamo a far nascere al netto degli aborti: insomma quanti li faremo venire alla luce e quanti ne abortiremo perché entrambe le scelte sono legittime (lo dice implicitamente la 194).

Paglia non è nuovo a simili uscite dottrinalmente errate, ma questa volta ha superato se stesso perché è stato, purtroppo, di una chiarezza adamantina nel manifestare il suo pensiero eterodosso, che rimane suo e non certo della Chiesa. Vedasi a questo proposito l’Evangelium vitae: “Le leggi che, con l'aborto e l'eutanasia, legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti sono in totale e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita proprio di tutti gli uomini. […] Le leggi che autorizzano e favoriscono l'aborto e l'eutanasia si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di autentica validità giuridica. […] L'aborto e l'eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza”. (nn. 72-73. Cfr. altresì nn. 20, 59, 69).

Ritenere la 194 un pilastro della società – e Paglia non descriveva un giudizio comune meramente da lui riportato, ma esprimeva un giudizio proprio – non è un fungo velenoso che è spuntato nel bosco cattolico dalla sera alla mattina, ma è l’ultimo frutto avvelenato di una pianta che è viva e vegeta nella Chiesa da tempo. La pianta dell’eresia che spaccia l’errore come approfondimento e sviluppo dottrinale (ma una verità potrà mai diventare l’opposto di sé?). La pianta del dialogo a tutti i costi spinto così all’estremo che, con le braghe calate, pur di dialogare e non contraddire nessuno si arriva al punto di importare senza dazi le idee perverse del nemico. La pianta di un pastoralismo senza dottrina che porta ad abbracciare non solo il peccatore, ma anche il peccato. La pianta della misericordia senza giustizia, che cancella peccato e colpa, scusa tutti e tutto e accetta tutti e tutto. La pianta del relativismo ecclesiale in cui a posto della verità, anticaglia da buttare, si mette un pluralismo liquido ed indistinto. La pianta del discernimento che pone come regola l’eccezione. Infine la pianta dell’ateismo perché solo chi ha dimenticato Dio, chi è senza fede può essere a favore dell’aborto.

Lo Spirito Santo ha però, è il caso di dirlo, tanto spirito. Mentre Paglia parlava, il telespettatore poteva leggere sullo schermo in alto a destra il seguente avviso: “Questa sera ore 21.20 film Gli infedeli”.