Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
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Tutti i perché del rimpasto nel governo ucraino

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Il governo di Kiev cambia i connnotati ed esce di scena persino il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba. Un ricambio spiegato da Zelensky con l'esigenza di "energie nuove", in un momento in cui la sua popolarità è ai minimi termini.

Esteri 06_09_2024
IMAGOECONOMICA VIA PRESIDENT.GOV

Tutte le fonti ucraine e molti ambienti in Occidente tendono a sminuire il peso del rimpasto che in queste ore ha cambiato i connotati al governo ucraino. Mikhahilo Minakov, senior advisor sull'Ucraina al Kennan Institute del Wilson Center, ha detto all’AGI che più che di rimpasto occorrerebbe parlare di una «rotazione» dei quadri del governo, «altamente preparata» e frutto di un lungo dibattito interno all'amministrazione Zelensky e con i partner occidentali iniziato a febbraio. «Il dibattito interno all'amministrazione ucraina e le discussioni con i partner occidentali» hanno portato alla decisione di «lasciare in carica il primo ministro, Denys Shmyhal, e procedere solo con dei cambiamenti cosmetici», sostiene l'analista.

Anche l’uscita di scena del ministro più importante, Dmytro Kuleba, che ha lasciato il ministero degli Esteri, sarebbe stata preparata con cura da Zelensky.  Il suo successore è il viceministro Andriy Sybiga, diplomatico fedelissimo a Zelensky trasferito sei mesi or sono dall’ufficio di presidenza per preparare la transizione. Per Minakov, Kuleba rimarrà nel governo con nuovo incarico (si parla di ambasciatore presso la NATO a Bruxelles) ma il punto chiave è che il ricambio di diversi ministri incrementa il potere del presidente e del suo staff guidato dal potente Andrii Yermak, assicurando il controllo del Parlamento e del Governo nonostante il calo di popolarità di Zelensky.
Il giornale on line statunitense Politico segnala come possibile causa delle dimissioni di Kuleba gli scontri con Yermak per gli stretti rapporti tra il ministro e diversi leader occidentali a cui Kuleba ha continuato fino a ieri a chiedere armi per colpire la Russia.

Meglio non dimenticare però anche un altro aspetto che potrebbe aver portato alla rimozione di Kuleba, poco pubblicizzato anche in Europa perché “scabroso” dal momento che tocca il delicato tema del nazismo in Ucraina. Il governo polacco aveva chiesto nei giorni scorsi a Kiev di riconoscere la strage di 100 mila civili polacchi (e di riesumarne i corpi per dar loro decente sepoltura) compiuta tra il 1943 e il 1944 nell’area di Volinia (Galizia) dai militari dell’esercito nazionalista ucraino (UPA) di Stepan Bandera, alleato del Terzo Reich.
Una pulizia etnica feroce che ha visto la tortura, lo stupro e il massacro per lo più di donne e bambini colpevoli solo di essere polacchi. Kuleba ha risposto picche e a Varsavia non l’hanno presa bene anche perché Bandera è oggi il “padre della patria” dell’Ucraina di Zelensky a cui si intitolano statue e piazze e di cui i bambini a scuola imparano canzoni celebrative. Forse non casualmente, nei giorni scorsi il vicepremier e ministro della Difesa polacco, Kosiniak-Kamys, ha detto che la Polonia «ha trasferito donazioni multimiliardarie sotto forma di attrezzature militari all’Ucraina. Oggi abbiamo ceduto tutto quello che potevamo».

Non si può quindi escludere che la rimozione di Kuleba sia stato il prezzo da pagare per non compromettere ulteriormente i rapporti con la Polonia, da cui peraltro transitano tutte le armi occidentali dirette in Ucraina.
Per l'ex ambasciatore alla Nato e consigliere scientifico dell'Ispi, Stefano Stefanini, tra i «vari fattori» che hanno determinato il rimpasto di governo vi sono «elementi di tensione e nervosismo» ma quest'operazione politica «riflette soprattutto il logorio che avverrebbe in qualsiasi Paese dopo quasi due anni e mezzo di guerra». Intervista dall'Adnkronos, Stefanini ritiene che il rimpasto nasca anche dalla volontà di Zelensky di presentarsi con una squadra «più affiatata» nella prospettiva di «un possibile negoziato con la Russia e di una possibile cessazione delle ostilità dopo le elezioni americane».

A Kiev ieri Olga Stefanishyna è stata rimossa dall’incarico di vice primo ministro per l'integrazione europea ed euro-atlantica e nominata ministro della Giustizia dal parlamento ucraino che ha votato anche altre nomine: Vitalii Koval ministro della Politica agraria e dell'Alimentazione, Herman Smetanin alle Industrie strategiche, Nataliya Kalmykova agli Affari dei veterani, Mykola Tochytsky ministro della Cultura (anche lui proveniente dall’ufficio del presidente Zelenskyi), Matviy Bidny ministro della Gioventù e dello Sport, Svitlana Grynchuk all’Ambiente e Oleksiy Kuleba allo Sviluppo delle comunità e dei territori.

La Commissione europea ha fatto sapere che «segue da vicino» gli sviluppi in merito al rimpasto di governo in corso in Ucraina come ha dichiarato il portavoce del Servizio europeo per l'Azione esterna, Peter Stano. «Stiamo seguendo molto da vicino ciò che sta accadendo in Ucraina, anche gli sviluppi interni del panorama politico, e abbiamo preso nota del recente rimpasto di governo che ha toccato diverse posizioni chiave». L’impressione però è che in Europa siano stati tutti (o quasi) colti di sorpresa dall’iniziativa di Zelensky a giudicare dall’assenza di dichiarazioni circostanziate.

Le ragioni reali del rimpasto potrebbero essere diverse e già in passato Zelensky aveva rimosso figure di spicco come il ministro della Difesa Oleksy Reznikov, coinvolto in scandali legati alla corruzione o il capo delle forze armate, o come il generale Valery Zaluzhny, a cui venne attribuito il fallimento della controffensiva estiva ucraina ma che era il candidato super favorito per le elezioni presidenziali poi annullate da Zelensky.

Guardando ai fatti da un punto di vista cronologico la prima notizia che tre ministri avevano rassegnato le dimissioni è stata diffusa dal Parlamento di Kiev e solo dopo la Presidenza ha dovuto far sapere che ci sarebbe stato un rimpasto di governo. Tra le diverse opzioni da valutare non si può escludere la volontà di Zelensky di rimuovere ministri che godevano di popolarità in Ucraina e rispettati all’estero per ridurne prestigio e visibilità sostituendoli con suoi fedelissimi.
In un’Ucraina ultra-corrotta si può ritenere che siano stati sostituiti ministri che si sono già arricchiti grazie ai loro incarichi per lasciare spazio ad altri fedelissimi del presidente ma finora rimasti nell’ombra o quasi.

Possibile anche che alcuni ministri abbiano annunciato le loro dimissioni in contrasto con il presidente dopo che l’attacco al territorio russo nella regione di Kursk ha lasciato molto esposto il fronte del Donbass, sollevando molti malumori tra parlamentari e militari. Verosimile quindi che in diversi vogliano «lasciare la barca prima che affondi». Oppure, seguendo le valutazioni dell’ambasciatore Stefanini, è possibile che il rimpasto prepari la gestione di negoziati con la Russia rimuovendo chi era stato in prima linea politica in questi anni di guerra.
Del resto appare chiaro l’attacco al territorio russo è stato attuato con il diretto coinvolgimento degli anglo-americani. Fonti militari hanno detto al New York Times che c’è stato un supporto di intelligence all’operazione ucraina, ma questo avviene in fase di pianificazione che quindi ha coinvolto britannici e statunitensi. E poi chi sono video in cui appaiono uomini con l’uniforme ucraina che parlano in inglese. L’attacco a Kursk, per molti ucraini un azzardo suicida, sembra infatti essere un’operazione tesa a guadagnare tempo per evitare un tracollo militare prima del voto negli USA. Una disfatta militare dell’Ucraina potrebbe avere effetti gravi sui consensi del Partito Democratico, l’amministrazione Biden e per Kamala Harris.

Zelensky ha spiegato il rimpasto con l’esigenza di «energie nuove» ma appare paradossale che a dirlo sia il presidente il cui mandato è scaduto a maggio, che non intende indire elezioni e che dopo aver messo fuori legge 11 partiti di opposizione (accusati di essere filo-russi) ha di fatto esautorato anche il Parlamento. Anche la sua popolarità è ai minimi termini: secondo un sondaggio era “risalito” a un misero 15 per cento di consensi dopo l’attacco a Kursk a inizio agosto.
 



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