Troia in fiamme (in attesa della genesi di Roma)
Il cavallo pieno di guerrieri greci entra a Troia, malgrado l’avvertimento di Cassandra. Ettore appare in sogno ad Enea, invitandolo a fuggire, perché la città è ormai conquistata. L’eroe troiano ha una missione, che sarà una sorta di nemesi. E in mezzo emerge il ruolo della letteratura.
Alla morte del sacerdote Laocoonte e dei figli si sparge nel campo troiano la convinzione che i fatti accaduti siano una punizione del Cielo per l’empietà compiuta nei confronti del cavallo. Si decide così di portare quel dono dentro le mura della città:
la macchina fatale sale le mura
piena di armi. Attorno ragazzi e vergini fanciulle
cantano inni e gioiscono toccare la fune con mano;
ella avanza e minacciando scorre in mezzo alla città.
Il cavallo tentenna per quattro volte sulla soglia della porta e per altrettante volte le armi producono un suono dalla cavità del ventre. I Troiani, ebbri, quasi impazziti, non vedono i segni, non odono i suoni, come «smemorati». La stessa Cassandra profetizza. Se ne ricorderà Foscolo nel carme Dei sepolcri, nella parte finale in cui il poeta descrive la Troade, Omero e la funesta distruzione della città. Con il vaticinio di Cassandra (vv. 263-295) si conclude il carme. Figlia di Priamo, Cassandra è condannata a predire la verità senza essere mai creduta, poiché non ha ricambiato l’amore di Apollo. Sarà Cassandra a profetizzare la distruzione di Troia e l’arrivo di Omero:
[…] Un dì vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l’ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno (Dei sepolcri).
La grande poesia ha la capacità di far rivivere il passato e i grandi eroi, nel contempo rende immortali anche episodi che storicamente hanno avuto una rilevanza del tutto secondaria. Chi si ricorderebbe della guerra di Troia se il genio di Omero non l’avesse resa imperitura? Chi farebbe memoria dei vinti se i versi non avessero dedicato loro uno spazio? Se la storia è scritta perlopiù dai vincitori, la poesia rende tributo all’umano, a qualunque popolo appartenga. Vinti e vincitori sono idealmente collocati sullo stesso piano, perché quel che conta è la fedeltà ai valori universali. Così, la poesia e, più generale, l’arte parlano al cuore di ogni uomo, non sono espressione di una parte o dei vincitori.
La conclusione dei Sepolcri sottolinea questa universalità della poesia:
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.
Anche Ettore è eroe sventurato, anche lui è «bello di fama e di sventura». Ma più in generale la condizione umana universale è destinata alla sconfitta e all’oblio. E proprio Ettore troveremo ora comparire in sogno ad Enea. Scesa ormai la notte e addormentatisi tutti i Troiani, i Greci riportano le navi dall’isola di Tenedo, e Sinone «apre furtivamente i Danai [Greci] rinchiusi nel ventre»: tra gli altri Tessandro e Stenelo, «il crudele Ulisse», Acamante e Toante, il pelide Neottolemo e Macaone, Menelao e lo stesso costruttore dell’inganno Epeo. I Greci sgozzano le guardie e, spalancate le porte, accolgono tutti i compagni.
Ad Enea, addormentato, appare quindi Ettore (vv. 268-297), triste e in lacrime, nell’aspetto che aveva quando fu sconfitto da Achille e, coperto di polvere e di sangue, fu trascinato dalla biga dell’eroe greco. Ettore sembra ancora vivo tanto che Enea gli chiede perché sia stato così tanto tempo lontano dal campo di battaglia. L’eroe troiano invita, però, il figlio di Anchise e di Venere a fuggire, perché ormai Troia è conquistata, è in fiamme e sta per crollare. Enea deve portare via con sé i Penati di Troia, insieme ai compagni che il fato gli assegna, e cercare una nuova patria per mare: infine, costruirà nuove mura.
In questo modo, la distruzione di Troia diventa la scaturigine della genesi di Roma che sorgerà per una sorta di nemesi (vendetta storica) che i Troiani compiranno nei confronti dei Greci. Tutto questo è voluto dal fatum. L’apparizione di Ettore ha un valore sacrale. La dimensione del sonno richiama la situazione raccontata da Ennio negli Annales, quando il poeta latino afferma che Omero gli è apparso in sogno rivelandogli di essersi reincarnato in lui dopo una serie di trasmigrazioni. In Omero è già presente il sogno, inteso come una sorta di fantasma, un’entità esterna autonoma rispetto alla nostra coscienza che riproduce parzialmente la realtà. Ennio ribalta, però, il rapporto tra anima e corpo già presente in Omero: per il poeta greco il corpo è l’essenza vivente dell’uomo e l’anima ne è una pallida effigie, mentre per Ennio l’anima immortale che trasmigra di corpo in corpo è la vera essenza che rimane. Se Omero consegna il testimone del poeta epico ad Ennio, allo stesso modo Ettore, eroe troiano che doveva difendere la patria troiana, affida ad Enea la missione di fondare una nuova patria.
Svegliatosi, Enea vede Troia in fiamme (vv. 300-317) e vuole combattere fino alla morte. Panto porta, però, la terribile notizia
È giunto il giorno estremo ed il momento ineluttabile
della Dardania. Fummo Troiani, fu Ilio e l’immensa
gloria dei Teucri; il crudele Giove tutto trasferì
ad Argo; i Danai dominano nella città incendiata.
L’alto cavallo stando in mezzo alle mura versa
armati e Sinone vincitore esultante sparge
incendi. Altri si presentano alle porte spalancate,
quante migliaia mai vennero dalla grande Micene.
Infuriano gli scontri. Muoiono tanti Troiani, ma anche i Greci subiscono ingenti perdite. Enea e i compagni ottengono un esito favorevole nei primi scontri. Si vestono con le armi sottratte ai greci uccisi per mescolarsi insieme ai Greci. Nel buio della notte riescono a far strage di molti nemici. Quando i Troiani vedono Cassandra incatenata, si gettano nella mischia, vestiti ancora con armi greche. Vengono trafitti dalle stesse frecce amiche che credono di colpire i nemici. I Troiani combattono in modo instancabile, senza paura di morire. Lo giura Enea stesso mentre sta raccontando alla regina cartaginese Didone:
O ceneri iliache e fiamma estrema dei miei,
chiamo a testimonio di non aver evitato nella vostra caduta
né frecce né alcuna situazione […].
Alla fine i Greci danno l’assalto alla reggia del re Priamo. Il greco Pirro (Neottolemo) trascina il re troiano fino agli altari e conficca la spada nel suo fianco. Ha fine così il suo regno, così come viene distrutta la città ormai in fiamme.