Trattato pandemico Oms, gruppi pro vita in allerta
L’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato la bozza base per un trattato sulle pandemie, che andrebbe a rafforzare i poteri dell’agenzia Onu. Resta il nodo della sovranità degli Stati. E i gruppi pro vita sono in allerta, perché il documento rischia di essere usato per promuovere gender e aborto, in nome della sanità.
Nella seconda metà di luglio l’Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato una bozza di 19 pagine per un possibile trattato di «prevenzione, preparazione e risposta» a eventuali nuove pandemie. Il documento di lavoro - fin qui passato piuttosto in sordina, a dispetto del suo potenziale peso sulle future politiche delle nazioni - ha già messo in allerta i gruppi pro vita, specialmente quelli che seguono più da vicino le attività dell’Onu e delle sue agenzie. La bozza è stata approvata dall’Organo negoziale intergovernativo (guidato da sei delegazioni di Stati) dell’Oms: i negoziati per definire il progetto dovrebbero iniziare a dicembre di quest’anno, quando si prevede che il dibattito si accenderà; si punta a un’adozione definitiva del trattato entro il 2024.
La prima preoccupazione è che il trattato accresca ulteriormente il potere di una classe di burocrati internazionali, a discapito della sovranità dei singoli Stati e influendo praticamente su ogni campo sociale, in nome della sanità. Una preoccupazione comprensibile alla luce dei processi in moto da anni - prima ancora del Covid 19 - e che è solo in parte mitigata da quanto si esplicita fin dal primo punto del preambolo, in cui si riafferma «il principio della sovranità degli Stati nella cooperazione internazionale per affrontare questioni di salute pubblica». (p. 3)
D’altro canto, nel cuore della bozza, si spiega che si intende «rafforzare il ruolo centrale dell’Oms quale autorità che dirige e coordina il lavoro sanitario internazionale» (p. 12). Si rischia dunque che gli equilibri si spostino in un senso ancora più globalista del recente passato, avallando limitazioni sempre più dure delle libertà personali. Quanto visto in due anni e mezzo di Covid, per l’appunto, non lascia tranquilli.
La bozza prevede tra l’altro di istituire un meccanismo di controllo reciproco tra gli Stati, che in sostanza contribuisca ad assicurare il rispetto delle politiche sanitarie stabilite dall’Oms. Simili meccanismi di controllo sono già presenti nell’ambito delle Nazioni Unite: vedi il sistema della «Revisione periodica universale» che manifesta quanto sia relativa oggi la concezione dei «diritti umani», essendo usato non di rado per esercitare pressioni sugli Stati che non si adeguano a garantire l’aborto e le rivendicazioni Lgbt. Non a caso, riguardo a tale previsione della bozza, l’istituto Ordo Iuris - che riunisce giuristi polacchi inclini a difendere i princìpi non negoziabili - ha commentato via newsletter che «non ci vuole molta fantasia per prevedere che questo diventerà un altro strumento di pressione sulla Polonia». Il discorso vale chiaramente per ogni singolo Stato che difende norme ispirate dalla morale naturale, in particolare in tema di famiglia e difesa della vita fin dal concepimento.
Lo stesso documento di lavoro contiene un linguaggio che «potrebbe essere usato per promuovere l’aborto e l’ideologia di genere», come osserva il Friday Fax, pubblicazione dell’istituto di ricerca C-Fam, specializzato nel seguire le attività dell’Onu e nel fare lobbismo pro vita. La bozza dell’Oms - va precisato - non cita mai esplicitamente termini quali «aborto», «diritti Lgbt», «diritti sessuali e riproduttivi», «orientamento sessuale e identità di genere»; termini che creano disaccordo tra gli Stati membri. Ma con un linguaggio più sottile e tollerato - che fa leva su concetti come l’uguaglianza di genere, la non discriminazione, il rispetto della diversità, ecc. - lascia comunque spazio a quelle forze nazionali e internazionali che vorranno usare il trattato pandemico per favorire la loro agenda politicamente corretta. Questi ultimi concetti vengono intesi diversamente da Paese a Paese, hanno anche una loro apparenza semantica positiva, ma non c’è dubbio che in Occidente li si usa spesso come parte di un vocabolario che funge da grimaldello culturale e politico per legittimare aborti, “nozze gay”, fecondazione artificiale et similia.
Del resto, la bozza, nel parlare dell’impatto delle pandemie, richiama la necessità di raggiungere «gli Obiettivi di sviluppo sostenibile e la copertura sanitaria universale»: non è un mistero che tra gli Oss dell’Agenda 2030, intrisa di ambientalismo, figuri anche - alla voce «uguaglianza di genere» - il traguardo di «garantire accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti in ambito riproduttivo», con cui si sottintende l’aborto. Il che conferma le preoccupazioni già espresse sopra e che i gruppi pro vita dovranno cercare di disinnescare.
Va poi ricordato che l’Oms, fin dai primi mesi del 2020, ha spinto perché gli Stati considerassero «essenziale» l’aborto, nonostante il Covid. È stata esperienza diffusa nei Paesi occidentali - Italia compresa - vedere rimandati tanti interventi ospedalieri, ma non gli aborti, che si sono continuati a praticare per via chirurgica o anche sono stati promossi attraverso un’ulteriore irresponsabile liberalizzazione delle pillole abortive, spedite a domicilio. Nelle sue ultime linee guida in materia, la stessa Oms ha abbracciato l’approccio radicale dell’aborto fino alla nascita (vedi qui e qui), inchinandosi anche al linguaggio transessualista. Come fidarsi, dunque?
Tornando alla bozza, altro punto che si può prestare a interpretazioni controverse è quello che, riferendosi ai «diritti delle popolazioni vulnerabili», parla di contrastare le disuguaglianze nonché le «leggi e barriere normative che potrebbero impedire loro di accedere ai servizi sanitari» (p. 8). Scrive al riguardo Stefano Gennarini del Friday Fax: «Questa è una frase concepita dalla lobby globale dell’aborto per fare riferimento eufemisticamente a leggi che limitano o regolano l’accesso ai servizi per l’aborto».
Riguardo all’accennato, possibile, estesissimo impatto di un simile trattato pandemico, la bozza chiede di tener conto di «misure per collaborare attraverso un approccio onnicomprensivo dell’intero governo, di molteplici portatori d’interessi e dell’intera società», così da affrontare «gli impatti socio-economici delle pandemie, inclusi (ma non limitati a) quelli di crescita economica, occupazione, commercio, trasporti, disuguaglianza di genere, istruzione, insicurezza alimentare, nutrizione e cultura» (p. 14).
La bozza accenna anche alle disuguaglianze in termini di accesso ai vaccini. E, in linea generale, prevede poi «misure per fornire una comunicazione globale tempestiva ed efficace, basata sulla scienza», così da contrastare «la disinformazione e le notizie false» (p. 16). Queste potrebbero dirsi intenzioni in sé ben espresse, ma se si pensa alle numerose contraddizioni dell’Oms in tempo di Covid e ai modi in cui sono state bistrattate e anche censurate voci di persone serie - uomini di scienza inclusi - che avanzavano critiche rispetto alla narrazione dominante, rimane il pericolo che un trattato con queste premesse, una volta approvato, finisca per favorire forme di gestione totalitarie perfino più gravi di quelle messe in atto in mezzo mondo dal 2020 in poi.