«Superare l'Isee, seguiamo il modello francese»
Dopo l'aumento strutturale dell'Assegno Unico, il ministro di Famiglia e Natalità Eugenia Roccella spiega alla Bussola che «mai fino ad ora un governo aveva stanziato per la famiglia 1 miliardo e mezzo». «Dobbiamo sganciare l'assegno dall'Isee, che va riformato, ma non da subito perché l'emergenza ora sono le bollette»; Risorse e sostegno alla maternità: «Ci ispiriamo al modello francese».
- VIDEO: CURIAMO IL TUMORE DELLA DENATALITÀ CON LA TACHIPIRINA, di Riccardo Cascioli
Ministro della famiglia e natalità Eugenia Roccella, la manovra di bilancio ha segnato una prima grande novità sul fronte delle politiche famigliari che sono apparse per la prima volta protagoniste.
Abbiamo destinato un miliardo e mezzo, una cifra mai stanziata prima d’ora.
Dica la verità: in passato questo ministero è sempre stato il ministero “Cenerentola”.
Sì, è vero, infatti il Governo sta dando un segnale e lo vedremo presto anche con il potenziamento di questo ministero come peso politico. Certamente l’aver aggiunto già dal nome la natalità è stata una novità sorprendente, che delinea già un programma di governo.
La Finanziaria ha visto l’aumento dell’assegno unico strutturale per alcune categorie di famiglie, ad esempio quelle numerose. Come proseguirete?
Quello che vorremmo in prospettiva è sganciare dall’Isee l’assegno in modo che sia proprio universale.
In effetti l’Isee è un sistema che crea ancora molte diseguaglianze sotto l’aspetto patrimoniale, ma anche nel calcolare il peso dei figli. Che tempi vi siete dati?
Su questo vorrei essere chiara: se dobbiamo proseguire con il sostegno sulle bollette non sarà facile fin da subito superare del tutto l’Isee.
Eppure, è una delle vostre priorità...
È vero, ma non dobbiamo dimenticare che anche gli interventi sulle bollette sono per le famiglie, anche il Sole 24 Ore ce l’ha riconosciuto recentemente, che sono il primo intervento a loro favore.
Una sorta di vorrei, ma non posso?
Questa è una delle crisi peggiori dal dopoguerra, la situazione non ci consente nell’immediato di fare stravolgimenti, ma il bilancio lo tracceremo a fine legislatura. Certo, sull’Isee credo che fin dalla prossima manovra saranno possibili piccoli correttivi. Se poi, domani, dovessero scendere i prezzi dell’energia, allora si libereranno molte altre risorse.
Qual è il modello che perseguite? Ungheria, Polonia, Francia?
Senza schiacciarci troppo sull’idea di un unico modello, l’esempio più prossimo al quale ispirarci probabilmente è quello francese.
Anche quello ungherese, però non è male...
Sì, ma dobbiamo guardare anche a Paesi che sono simili a noi anche come numero di popolazione e per cultura; in questo senso la Francia, che ha incominciato con Mitterand le politiche di natalità e sostegno della maternità, ha molto da insegnarci.
La Francia destina alla famiglia risorse pari al 3% del pil. Noi appena l’1%…
Tutto questo l’ha portata ad avere a lungo un tasso di natalità di 2 figli per donna, cioè molto vicino al cosiddetto tasso di sostituzione che è 2,1 figli per donna, anche se ora pure la Francia sta conoscendo una flessione demografica. Il modello francese non è solo nelle risorse destinate, ma anche nel come favorisce una rete di sostegno alla maternità.
Che cosa intende dire?
Ad esempio, che bisogna favorire quelle reti di trasmissione delle competenze materne che una volta avveniva spontaneamente di donna in donna: questa linea di trasmissione si è molto indebolita e va ricostruita attraverso un welfare di prossimità. Mi spiego meglio: in Italia spesso ormai si diventa madri senza aver mai aver tenuto in braccio un bambino prima. Le neo-mamme non hanno esperienza e quindi sono incerte, in cerca di aiuto e consigli, e come riferimento hanno soltanto il pediatra. Si possono invece avere servizi di assistenza domiciliare, o anche online, con altre figure, per esempio l’ostetrica che ti dice cosa fare se il bambino ha una colica, o qualcuno che ti porti la spesa a casa, o una baby sitter che ti permetta dei momenti di libertà. L’obiettivo è non fare sentire la mamma sola, che è uno dei grandi ostacoli ad una piena realizzazione della maternità.
In campagna elettorale avete difeso la necessità di riformare anche il fisco a misura delle famiglie. Con la manovra c’è stato un primo esempio di quoziente famigliare per il bonus 90%. A quando una riforma?
Su questo Giorgia Meloni ha detto fin da subito che dove sarà possibile si inserirà il criterio del fattore famiglia, che io preferisco al quoziente, ma anche lì abbiamo indicato una direzione e le priorità. Abbiamo dovuto scegliere per esempio tra gli aiuti alla famiglia o altri provvedimenti magari più universalmente popolari. E abbiamo scelto la famiglia.
Uno degli handicap del PNRR è che non contempla misure per fronteggiare l’inverno demografico perché non sono considerate strutturali. C’è uno spazio di modifica?
Non credo, il PNRR è fortemente avviato, ci sono aggiustamenti da fare, ma non è possibile cambiare gli obiettivi. Il PNRR va prima di tutto attuato e corretto lì dove ci sono problemi di attuazione. Ma c’è un aspetto del PNRR che va nella direzione dell’aiuto alla maternità.
Quale?
Il mio ministero sta lavorando alla certificazione della parità di genere per le imprese, che è uno degli obiettivi PNRR. Si tratta di un sistema per il quale le aziende ricevono benefit se rispettano una serie di requisiti di pari opportunità che riguardano la presenza delle donne, ma anche il sostegno alla maternità e la conciliazione dei tempi.
Perché in Italia gli aiuti alle famiglie diminuiscono con l’aumentare dell’età dei figli, diversamente da come accade all’estero?
Il nostro problema è quello di avere ragazzi che stanno fin troppo a lungo in famiglia, dobbiamo aiutarli nell’autonomia.
D’accordo, ma un 18enne oggi è completamente a carico dei genitori perché studia, neanche se volesse non potrebbe rendersi autonomo da loro.
Il nostro scopo deve essere aiutare i giovani a uscire di casa e a loro volta mettere su una propria famiglia. E’ per questo che nella legge di bilancio abbiamo previsto la decontribuzione per l’assunzione dei giovani, i mutui agevolati per le giovani coppie, la riduzione dell’Iva sui beni di prima necessità per l’infanzia. L’obiettivo è evitare che i ragazzi restino in casa fino a 30 anni e facilitare loro la ricerca del lavoro e dell’autonomia.
Un 20enne che studia non è un bamboccione, però...
Io penso che si possano studiare altri provvedimenti che per esempio favoriscano il merito, come le borse di studio. L’aiuto alla famiglia, che ci sta molto a cuore, non deve essere confuso con l’assistenzialismo.