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Suicidio assistito: sulla vita non si scende a compromessi

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Il mantra è sempre quello: una legge sul fine vita si dovrà pur approvare, purché sia "equilibrata". Gli squilibri verranno da soli: è facile prevedere un boom di suicidi assistiti e una pressione sociale indiretta su malati e anziani che si sentiranno spinti a farsi "da parte". 

Editoriali 23_11_2024
Photo Mauro Scrobogna /LaPresse

I fautori del suicidio assistito per tutti giocano la loro partita su più tavoli: quello giudiziario, che ha portato alla sentenza della Corte Costituzionale sulla punibilità dell’aiuto al suicidio e che vede ancora alcuni giudici tentare di allargare lo spiraglio aperto ad altre ipotesi; quello referendario, con la raccolta delle firme per il referendum sull’omicidio del consenziente; quello delle Regioni, sollecitate ad approvare progetti di legge per forzare la mano al Parlamento nazionale; e, appunto, quello legislativo, per giungere alla legge auspicata dalla Corte Costituzionale. Mentre la via giudiziaria ha raggiunto i suoi scopi, la via referendaria è stata bloccata dalla Corte Costituzionale – che ha accusato i promotori di avere sostanzialmente mentito sul contenuto della proposta quando raccoglievano le firme – mentre i tentativi di usare le Regioni sono più volte falliti, perché i consiglieri regionali hanno compreso che la materia non è di loro competenza, convinti da argomenti giuridici inattaccabili sostenuti da numerose associazioni. Ed ecco che il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, si smarca dalla sua maggioranza auspicando una legge nazionale (qui).

I lavori parlamentari sul tema proseguono e, davanti alla Commissione affari sociali del Senato, si tengono audizioni sul tema della “morte medicalmente assistita”. Il disegno di legge Bazoli è stato riproposto e si ha il timore che, in fondo, venga percepito come un disegno “equilibrato” (perché, ovviamente sono stati presentati disegni di legge molto più “spinti”); insomma: un “buon compromesso”. Del resto – si dice a mezza voce – una legge prima o poi si deve approvare, lo ha ribadito anche il Presidente della Corte Costituzionale!
Non entro nella valutazione politica, che non mi spetta: ritengo che sulla vita non si devono fare compromessi, che portano a risultati disastrosi, come la storia degli ultimi decenni ha dimostrato ampiamente. Per di più, il Parlamento non è affatto obbligato ad approvare una legge. Cerco, piuttosto, di spiegare perché il disegno di legge Bazoli non sia affatto un compromesso accettabile e, tanto meno, un disegno di legge “equilibrato”.
Il suicidio assistito diventa un diritto soggettivo, che può essere fatto valere davanti a un giudice. Ovviamente non troverete la parola “diritto” nel disegno di legge, ma solo la parola “facoltà”; ma, nascosta in un lunghissimo articolo, leggerete la frase: “resta ferma comunque per la persona che abbia richiesto la morte volontaria medicalmente assistita la possibilità di ricorrere al giudice”, se il medico ritiene che non sussistano i presupposti per il suicidio; quindi: avvocati, udienza, ordine del giudice di procedere.

Perché è importante questo passaggio? Oggi, le persone che aiutano altre a suicidarsi possono essere assolte penalmente, ma si tratta di episodi singoli; se venisse approvata la legge, la società e le sue strutture saranno obbligate ad eseguire il suicidio assistito (o ordinato dal giudice): “Gli enti ospedalieri pubblici autorizzati sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dalla presente legge adottando tutte le misure, anche di natura organizzativa, che si rendano necessarie. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione”; anche i sanitari saranno obbligati ad eseguire il suicidio assistito, salvo che esercitino l’obiezione di coscienza. Insomma: la responsabilità per l’aiuto al suicidio non sarà più del singolo che lo ha posto in essere, ma sarà condivisa dall’intera società, con i propri rappresentanti e con la spendita del denaro pubblico.

La responsabilità collettiva, dell’intera società, per le azioni di morte procurata è simbolicamente rappresentata da quanto avverrà negli ospedali pubblici.
In base all’art. 10 del disegno di legge, il Ministro della salute dovrà “individuare i requisiti delle strutture del Servizio sanitario nazionale idonee ad accogliere le persone che fanno richiesta di morte volontaria medicalmente assistita”; e, poiché gli enti ospedalieri pubblici sono tenuti a garantire l’espletamento delle procedure di suicidio assistito “adottando tutte le misure, anche di natura organizzativa, che si rendano necessarie”, sarà inevitabile vedere, all’ingresso degli ospedali, accanto all’indicazione dei vari reparti (Chirurgia, medicina generale ecc.) anche quella del reparto: “Morte volontaria medicalmente assistita”. Avverrà – lo si comprende dall’art. 5, comma 7 del progetto, secondo cui il decesso deve avvenire presso il domicilio del paziente “o, laddove ciò non sia possibile, presso una struttura ospedaliera” – che alcune persone entreranno in ospedale esclusivamente per suicidarsi, aiutate da medici e infermieri. Quante – viene da chiedersi – verranno da una RSA?

È facile prevedere che altri pazienti, ricoverati in reparti “ordinari”, ad un certo momento verranno fatti salire su una barella e trasferiti in “quel” reparto, dove entreranno vivi e usciranno morti. Nella mente dei proponenti, l’ospedale è il luogo in cui si somministra la morte.
Ma non crediate che sia l’unico luogo: siamo nell’epoca della libera iniziativa privata! Il disegno di legge n. 104 permette che il suicidio assistito venga eseguito in strutture private, anche a fini di lucro; non vieta, cioè, l’installazione delle “cliniche della morte” esistenti in altri Paesi che, spesso a caro prezzo, aiutano le persone a suicidarsi. Non solo: il medico che riceve la richiesta di “morte volontaria medicalmente assistita” e che dovrebbe avviare la procedura può far parte della struttura che, poi – a pagamento – darà corso al suicidio assistito e può essere anche un dipendente! Il rischio di abusi è evidente: la clinica della morte potrebbe facilitare in tutti i modi la procedura e, quindi, “aiutare” coloro che fanno pressione sulle persone anziane o malate perché chiedano il suicidio assistito. Del resto, il controllo del Comitato per la valutazione clinica, istituito presso le ASL, non prevede nemmeno come obbligatorio un contatto personale diretto con l’interessato che – dice il disegno di legge – può essere sentito “anche telematicamente”.

Esiste, quindi, il timore che coloro che chiederanno il suicidio non saranno davvero “liberi” (una persona che chiede di morire è libera?); ma, per questo rischio, il disegno di legge Bazoli presenta una norma sorprendente: stabilisce che il medico e il personale che abbia dato corso al suicidio e tutti coloro che abbiano agevolato in qualsiasi modo la persona nella procedura “qualora essa sia eseguita nel rispetto delle disposizioni della presente legge” siano esenti da responsabilità penale anche per la condotta di istigazione al suicidio, non solo per l’aiuto! Sono due condotte differenti: l’istigazione al suicidio avviene nel momento in cui il soggetto decide di morire, mentre l’aiuto al suicidio nella fase di esecuzione del suicidio. Con un colpo di spugna, la libertà effettiva di chi è stato aiutato a morire diviene irrilevante: il soggetto è morto, la procedura è stata rispettata, la questione è chiusa: qualsiasi pressione o istigazione non rileva più.

E le cure palliative, che per la Corte Costituzionale sono un “prerequisito” per la liceità del suicidio assistito? Il disegno prevede che la persona debba essere “previamente coinvolta in un percorso di cure palliative e le abbia esplicitamente rifiutate”. Peccato che questa previsione si trasformi in una casella che il medico che darà corso alla procedura – ricordiamo: anche un medico dipendente della struttura privata a scopo di lucro – dovrà riempire: “il rapporto deve indicare se la persona è a conoscenza del diritto di accedere alle cure palliative e specificare … se ha esplicitamente rifiutato tale percorso assistenziale”. Il tutto deve avvenire rapidamente: 30 giorni per il parere del Comitato per la valutazione clinica, trasmissione “tempestiva” alla ASL che deve verificare le modalità con cui avverrà il suicidio: tempi che non hanno niente a che vedere con le “vere” cure palliative, con le quali il soggetto sofferente viene preso in carico nella sua umanità, con le modalità e i tempi più opportuni.

L’effetto di una legge come questa sarebbe un aumento esponenziale di suicidi assistiti, così come è avvenuto in numerosi altri Paesi. Ricordiamo che la stessa Corte Costituzionale ha segnalato che “esiste la possibilità che, in presenza di una legislazione permissiva non accompagnata dalle necessarie garanzie sostanziali e procedimentali, si crei una ‘pressione sociale indiretta’ su persone malate o semplicemente anziane e sole, le quali potrebbero convincersi di essere divenute ormai un peso per i propri familiari e per l’intera società e di decidere così di farsi anzitempo da parte”, così come la “possibilità che vengano compiute condotte apertamente abusive da parte di terzi a danno della singola persona”.
Che società vogliamo diventare? Davvero i parlamentari chiuderanno gli occhi e fingeranno di approvare un “buon compromesso”?



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