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Disturbi alimentari? Niente cura, ma suicidio assistito

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Non più solo malattie incurabili, anche anoressia, bulimia, obesità tra i motivi che spingono a chiedere la morte. E i medici assecondano il paziente, col solito pretesto del "migliore interesse".

Vita e bioetica 31_08_2024

I disturbi alimentari sono un problema ben noto da tempo in Medicina. Le manifestazioni più importanti di questi disturbi sono l’anoressia e l’obesità derivante dall’eccesso di introduzione di cibo. Sono patologie affrontate soprattutto a livello psicologico e psichiatrico. Tuttavia, secondo una linea di pensiero che si sta facendo progressivamente spazio in Medicina, ovvero l’abbandono terapeutico, qualcuno comincia a pensare che, anziché curare i pazienti affetti da tali disturbi, sia meglio eutanasizzarli. È quello che si legge in uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychiatry. 
L’autore dell’articolo, Jason Osborne, ci rivela che in molti Paesi del mondo è stato introdotto il “suicidio assistito” per persone affette da anoressia o obesità che ne facciano richiesta.

Lo studio ha identificato almeno 60 casi di pazienti negli Stati Uniti, nei Paesi Bassi e in Belgio che si sono avvalsi del suicidio assistito perché soffrivano di un disturbo alimentare. In circa un terzo di questi casi era stata allegata una relazione psichiatrica descrittiva del caso e del razionale clinico che era stato utilizzato per giustificare il suicidio assistito.
Tutti i 19 pazienti con queste relazioni erano donne, di cui sei di età inferiore ai 30 anni, sette di età compresa tra i 30 e i 50 anni e altre sei di età superiore ai 50 anni. A undici delle donne (61%) era stata diagnosticata l'anoressia, mentre una persona era stata descritta come obesa e cinque avevano disfunzioni senza diagnosi specifiche.
Lo studio definisce la cosiddetta «morte assistita» come «la pratica degli operatori sanitari di prescrivere o somministrare farmaci letali per porre fine alla vita di un paziente su sua richiesta volontaria, soggetta a criteri di ammissibilità e misure di salvaguardia».
Il termine "morte assistita" è spesso usato sia per comprendere in senso lato il "suicidio assistito", sia l'eutanasia attiva; il primo coinvolge i pazienti che ingeriscono autonomamente i farmaci letali forniti loro, mentre l'eutanasia vede un operatore sanitario somministrare direttamente farmaci letali.
Il suicidio assistito e/o l'eutanasia sono attualmente disponibili in 33 giurisdizioni in tutto il mondo, tra cui Svizzera, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Colombia, Canada, Germania, Spagna, Portogallo, Nuova Zelanda, Austria, Ecuador, tutti e sei gli Stati dell'Australia e in dieci Stati e un distretto negli Stati Uniti.
I razionali clinici forniti sono stati classificati in tre classi: irrimediabilità, terminalità e richiesta volontaria. Lo studio ha rilevato che nel 95% dei casi i pazienti sottoposti a suicidio assistito avevano scelto volontariamente di morire.

Morire per non morire di anoressia. Morire perché obesi. Non stiamo parlando di malattie incurabili, di cancri, ma di disturbi dell’alimentazione. Malattie affrontabili, curabili, ma la Medicina della cura sta diventando sempre più un optional. Anziché prendersi cura, è molto più facile eliminare il sofferente. Qualcuno potrebbe obiettare che queste eliminazioni erano in demand, su richiesta dei pazienti stessi, ma il problema è che se una persona è indotta a credere che il suo problema non abbia soluzione, e che la vita da anoressica o da obeso non abbia senso, né scopo, e che sia meglio “smettere di soffrire”, l’eutanasia finirà per essere non solo una soluzione ammissibile e lecita, ma perfino auspicabile. Se il dolore psichico viene equiparato a un dolore fisico insopportabile, se viene introdotta anche in psichiatria l’idea di “terminalità”, assisteremo a un dilagare della cultura di morte, all’abbandono terapeutico, ad una società sempre più dominata dall’eugenetica.

A tale deriva etica dovrebbe fortemente opporsi la Chiesa, ma da quanto si è potuto leggere nel recente Piccolo lessico del fine vita curato dalla Pontificia Accademia per la Vita di monsignor Paglia, non vi è traccia di una preoccupazione in tal senso, al di là di una formale presa di distanza – in nome del magistero precedente – dall’eutanasia, ma là dove si fanno aperture nei confronti della sospensione di idratazione e alimentazione si può accettare pratiche de facto eutanasiche.
Come sempre, “nel migliore interesse” del paziente, che si rinuncia a curare, e al quale si garantisce la “non sofferenza”, a scapito della vita stessa. 



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