Sibilla Barbieri suicida in Svizzera, la solita strategia radicale
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L’attrice, malata oncologica terminale e consigliera dell’Associazione Luca Coscioni, si è tolta la vita con il suicidio assistito in Svizzera. Oggi l’autodenuncia di chi l’ha accompagnata: la solita messa in scena per ampliare l’eutanasia.
I radicali, come tutti i rivoluzionari di professione, non si fermano mai. Sul versante eutanasia non sono soddisfatti di avere una legge, la 219/2017, che permette di praticare l’eutanasia tramite alcune modalità, di avere una sentenza, la n. 242/2019 della Corte Costituzionale (qui un approfondimento), che ha legittimato l’aiuto al suicidio in alcuni casi, legittimazione che ha portato già alcuni nostri connazionali a morire tramite suicidio assistito. Ovviamente grazie all’interessamento dell’onnipresente associazione radicale Luca Coscioni. Loro vogliono tutto, ossia una legge che consenta l’eutanasia sempre e comunque, senza troppi paletti. È per questo motivo che continuano con azioni plateali, sicuri che i media, per la maggior parte anch’essi tanatofili, rilanceranno le loro gesta.
L’ultima in termini di tempo è quella che ha riguardato l’attrice e regista Sibilla Barbieri, malata oncologica terminale. La Barbieri, consigliera dell’Associazione Luca Coscioni, si era rivolta all’Asl Roma 1 per accedere all’aiuto al suicidio. A settembre l’Asl però aveva risposto che, nonostante il parere positivo del comitato etico, la signora Barbieri mancava di uno dei requisiti richiesti dalla Consulta: non era dipendente da nessun presidio medico salvavita. A dare retta alla stessa Associazione Luca Coscioni, invece, le cose parrebbero essere differenti: la Barbieri «era […] dipendente da ossigenoterapia e da farmaci per il dolore che, se interrotti, avrebbero portato velocemente a una morte dolorosa», si può leggere sul sito dell’associazione. Difficile pensare infatti che un paziente terminale non sia sostenuto da cure che se interrotte lo porterebbero presto a morire. Vero è che ogni caso fa a sé, ma a riprova di quanto appena indicato, ricordiamo l’ultimo caso in cui una Asl aveva dato semaforo verde per accedere al suicidio assistito: riguardava proprio una paziente oncologica, la signora Gloria.
Negli ultimi giorni l’Asl, poi, aveva aggiunto che «che le condizioni attuali [della Barbieri] non sono coerenti con sofferenze fisiche intollerabili». La qual cosa ha una sua ragionevolezza dato che la stessa era sottoposta a cure per il dolore.
Rifiutata la richiesta dall’Asl romana, i radicali si sono molto probabilmente domandati se era meglio dal punto di vista mediatico insistere per vie legali con l’Asl oppure recarsi come al solito in Svizzera. Hanno optato per la seconda soluzione e così il figlio della Barbieri e l’ex senatore Marco Perduca hanno accompagnato quest’ultima in una clinica svizzera dove ha trovato la morte. Perduca è «iscritto all’Associazione Soccorso Civile, che a oggi conta oltre 50 persone pronte ad assumersi il rischio di conseguenze penali per aiutare persone malate a porre fine alle proprie sofferenze». Una task force che fa del mancato rispetto delle leggi italiane il suo obiettivo principale. Un’associazione che quindi ha uno statuto dichiaratamente sovversivo.
E infatti è stato annunciato che oggi, martedì 7 novembre, il figlio della Barbieri e Perduca andranno ad autodenunciarsi presso i carabinieri: il reato supposto quindi sarebbe quello di aiuto al suicidio, dato che l’Asl avrebbe provato che mancava un requisito per non incorrere nelle pene previste dall’art. 580 del Codice penale. Ad autodenunciarsi sarà anche Marco Cappato perché legale rappresentante dell’Associazione Luca Coscioni e forse anche perché non potrebbe mancare nel suo palmares di autodenunce anche quest’ultimo aiuto al suicidio, sicuro che naturalmente non accadrà nulla né a lui né agli altri due attori di questa triste vicenda. È solo una messa in scena per dar megafono alle rivendicazioni eutanasiche, spettacolo fintamente giuridico che ricalca un copione ormai rodato: un cittadino è costretto ad espatriare perché le leggi italiane sono ingiuste e spietate, scatta l’autodenuncia e la denuncia agli enti ritenuti negligenti. Infine tutti vengono assolti, felici e contenti, e qualche giudice tira invece le orecchie al Parlamento per l’eccessiva inerzia. Se non ci fosse di mezzo un morto auto-ammazzato ci sarebbe da sbadigliare.
Altro tassello che non poteva mancare è la denuncia da parte dei familiari contro la sanità laziale. Insomma a colpi di denunce e autodenunce e di rilanci di media compiacenti, i radicali si stanno avvicinando all’obiettivo prefissato. E quale sarebbe? Una legge nazionale sull’eutanasia. Tappa intermedia sono le leggi regionali sull’eutanasia denominate Liberi subito. E su questo fronte i radicali si stanno dando da fare. Si può leggere infatti sul loro sito: «Finora Regione Abruzzo, Veneto, Emilia Romagna e Toscana, hanno ritenuto che le norme contenute nella proposta di legge rientrino nelle loro competenze e siano rispettose della Costituzione italiana. Oltre a queste anche Sardegna, Puglia e Marche hanno depositato la pdl, ma tramite l’iniziativa di alcuni consiglieri regionali, così da rendere non necessaria la raccolta firme. Analoga proposta verrà depositata in Basilicata e Lazio, grazie all’azione dei Comuni. Piemonte e Friuli Venezia Giulia invece hanno visto il deposito della proposta popolare ma attendono ancora l’ammissibilità. Nelle prossime settimane raccolte firme analoghe partiranno in Toscana e Lombardia».
La strategia è evidente: tentare di far varare delle norme regionali che liberalizzino l’eutanasia – e poco importa che ratione materiae le regioni siano incompetenti – per poi fare pressing sul Parlamento per avere una legge nazionale su questa materia. In questo senso, più cadaveri si accumuleranno per suicidio assistito in Italia e in Svizzera, più velocemente i radicali taglieranno questo traguardo.
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