Rupnik il vagabondo trova casa in una diocesi slovena
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Per l'ex-gesuita si prospetta l'incardinazione a Capodistria, con la benedizione del Nunzio. Del resto non pende su di lui alcuna condanna, malgrado i ripetuti abusi. Tutto "risolto", con gran sollievo del protagonista e dei Gesuiti, liberati dalla patata bollente.
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Ha trovato casa. Non è l’happy-end di Lilli e il Vagabondo, ma l’esito, peraltro scontato, della vicenda Rupnik, che vagabondo lo è di professione. La notizia si è fatta strada ieri: sarebbe il vescovo di Capodistria, mons. Jurij Bizjak, ad aver aperto le braccia all’ex-gesuita, accogliendolo ad experimentum nella sua diocesi. Il Nunzio apostolico in Slovenia dal 2019, mons. Jean-Marie Speich, avrebbe sciolto ogni eventuale remora del vescovo sloveno: dopotutto Rupnik è un bravo ragazzo, sul quale non pende alcuna condanna; insomma, un focoso ma innocuo latin lover, il cui amore spirituale e “trinitario” sarebbe rimasto incompreso e ripudiato dalle sue spasimanti, ancora troppo iliche.
E purtroppo il Nunzio una parte di verità l’ha detta: Rupnik è libero da ogni condanna, il Papa gli ha tolto la scomunica, sempre il Papa ha impedito un processo e i suoi ex-superiori della Compagnia di Gesù lo hanno liberato da ogni restrizione, dimettendolo dall’ordine. Ma l’altra parte della verità è che Rupnik ha abusato sessualmente di una ventina di religiose, e di molte di più ha abusato psicologicamente; si è fatto ripetutamente beffe di tutti e tre i voti religiosi. Dettagli di cui né il Vescovo ricevente, né il Nunzio hanno pensato di tener conto.
Esito, dicevamo, scontato. Perché i volponi dei Gesuiti hanno finto di strapparsi le vesti di fronte all’insubordinazione di Rupnik, alla sua mancanza di volontà nel collaborare, alla sua spocchiosa superiorità ostentata nei confronti delle vittime, scegliendo la “peggiore” delle punizioni: dimetterlo dall’Ordine. Per la serie: ma noi, poveri, più di così, che cosa potevamo fare? Chi mai avrebbe pensato che Rupnik potesse trovare un vescovo che lo accogliesse, tra i soli 5300 vescovi cattolici nel mondo, e restare così impunito e a piede libero?
Ovviamente i Gesuiti potevano e dovevano chiaramente domandare la dimissione dallo stato clericale di Rupnik (vedi qui), se non altro in forza delle reiterate e gravi disobbedien<e del religioso e della sua ostinazione, ma non l’hanno voluto fare. Ripetiamo: non è che non hanno potuto; non hanno voluto. E rimangono i maggiori responsabili dell’impunità di Rupnik e di quanto potrà continuare a combinare. A partire dal Delegato per le Case internazionali a Roma, padre Johan Verschueren.
Secondo Silerenonpossum, che ha dato la notizia, «a Borgo Santo Spirito è arrivata tutta la documentazione e qualcuno ha storto il naso. “Difatti – riferiscono – Rupnik non ha chiesto di esercitare lì il suo ministero ma di voler continuare a tenere esercizi spirituali e fare i mosaici”». Rupnik ha chiaramente chiesto di continuare a fare quello che ha sempre fatto: il clericus vagans o vagabundus, anche se formalmente accolto, e in futuro incardinato, in una diocesi nella quale non metterà mai piede.
E sempre da Borgo Santo Spirito ci sarebbe stata questa reazione: «Quando abbiamo ricevuto la comunicazione del vescovo di Capodistria noi ci siamo limitati a comunicargli il documento con la dimissione di Rupnik dalla Compagnia di Gesù. Più di così non possiamo fare. È chiaro che se il nunzio e il vescovo procedono con questa convinzione vuol dire che c’è Qualcuno che protegge Rupnik che è ben più importante di questa curia».
È incredibile come i Gesuiti tentino ancora di difendere la propria “verginità” in questa scandalosa faccenda. Primo: si è visto che sono stati proprio loro a offrire su un vassoio d’argento questa libertà a Rupnik, rifiutandosi di richiedere al Dicastero per il Clero la dimissione dallo stato clericale e procedendo alla dimissione dall’Ordine, cosa che Rupnik attendeva trepidante. Salvo poi far finta di essere dispiaciuti – padre Verschueren in testa – per non averlo potuto ridurre allo stato laicale.
Ma c’è un secondo punto più importante: tutta la proprietà del Centro Aletti appartiene ai Gesuiti (anche se c’è più di un sospetto che il Vicariato di Roma, ossia l’altro amicone di Rupnik, il cardinale De Donatis, stia manovrando per l’acquisto) e lì continuano a vivere indisturbate la Campatelli e le altre sorelle, le loro attività proseguono senza problemi e, udite udite, continua a starvi anche il reverendo don Rupnik. L’ex-gesuita fa la spola tra il Centro Aletti, dove lo si può incontrare a pranzo, a cena e in altri momenti della giornata, e la “depandance” del Centro Aletti, ossia la Casa di Spiritualità Maria Consolatrice, a Santa Severa, nella diocesi suburbicaria di Porto-Santa Rufina.
Santa Severa, ubicazione incantevole vista mare, è il luogo dove Rupnik è sempre stato di casa: lì va a predicare gli Esercizi, lì ha mosaicizzato ed affrescato tutto quello che poteva: la chiesa, il refettorio, la cappella, l’atrio, la sala conferenze e persino una pietra del giardino (vedi qui). Non abbiamo notizie dei bagni, ma è meglio non indagare.
Dunque, per l’ennesima volta, i Gesuiti hanno Rupnik sotto il loro naso, gli permettono di stare nelle loro proprietà e non muovono un’unghia. Così come hanno fatto in tutti gli anni in cui lo avevano teoricamente sottoposto a restrizioni, mentre lui andava e veniva, come e quando gli pareva, e faceva quello che voleva. Incluso essere titolare di un’azienda con centinaia di migliaia di euro, senza che il povero padre Verschueren si accorgesse di nulla.
Rupnik e i Gesuiti, nonostante il divorzio, continuano a condividere la stessa profonda identità, che poco ha a che fare con l’eredità di Sant’Ignazio: impuniti e impenitenti. Il vagabondo trova dunque casa; e di Lilli potrà averne quante ne vorrà.
«Io, abusata, denuncio padre Rupnik per salvare altre donne»
«Rupnik e sr. Ivanka Hosta sono pericolosi, vanno fermati definitivamente». «Molte sorelle ancora pagano le conseguenze degli abusi subiti, non abbiamo mai avuto nessun aiuto, né materiale né psicologico». «I vescovi devono capire che occultare il male distrugge la Chiesa». Intervista esclusiva della Bussola a Fabrizia Raguso, una delle vittime del gesuita sloveno e tra le prime a dar vita alla Comunità Loyola.
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A due giorni dall'incontro tra il Papa e la direttrice del Centro Aletti la diocesi capitolina parla di «vita comunitaria sana e priva di particolari criticità». Grandi assenti le donne abusate, che continuano a restare senza voce.
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