Non risposte e ombre: il gesuitismo dei gesuiti su Rupnik
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La Bussola ha chiesto a padre Verschueren perché la Compagnia di Gesù non avesse proceduto ad avviare l'iter di dimissione dallo stato clericale di Rupnik. Le risposte mostrano una cinica prudenza gesuitica e confermano che i gesuiti hanno voluto scientemente evitare la strada della laicizzazione dell'artistar, per difendere la credibilità dell'ordine e non infastidire il Papa.
La recente Lettera di p. Johan Verschueren sulla vicenda che ha condotto alla dimissione di don Marko Ivan Rupnik dalla Compagnia di Gesù, ha volutamente scansato diverse questioni spinose. Lo “spettacolo” di chi osserva la vicenda legata a Marko Ivan Rupnik risulta curioso sotto molti punti di vista: la casa generalizia di Borgo S. Spirito cerca di difendere la credibilità del proprio ordine e di non infastidire il papa; mentre da Casa Santa Marta ci si è dimostrati molto zelanti nell’essere garantisti con Rupnik. Le vittime? La difesa della fede? Dopo tutto, qualcosa deve pur essere sacrificato nella cinica prudenza gesuitica.
P. Verschueren ha dichiarato nella Lettera di aver «sempre desiderato come Superiore Maggiore (…) poter avviare un processo che potesse garantire l’accertamento giudiziale dei fatti, il diritto alla difesa e le pene sanzionatorie conseguenti (o la possibile assoluzione)», trovando però ostacoli, evidentemente insormontabili in «diversi motivi, tra cui gli attuali limiti delle normative relative a situazioni simili, non lo hanno permesso».
L’affermazione non ha convinto Ed Condon ‒ ammesso che abbia persuaso qualcuno ‒, uno dei fondatori di The Pillar e canonista. In sostanza, Condon si domanda per quale ragione i vertici dei gesuiti abbiano rinunciato a fare la scelta più ovvia per chi dichiara di essere tanto smanioso di avviare un processo: richiedere al Dicastero per il Clero la dimissione dallo stato clericale per Rupnik proprio in virtù delle sue reiterate disobbedienze alle restrizioni imposte dall’Ordine prima nel giugno 2019 e poi nel luglio 2021. Restrizioni che erano state adottate nella logica di impedire che l’ex-gesuita potesse recidivare i gravi comportamenti che la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva segnalato alla Compagnia nel giugno 2021 e che la stessa Compagnia aveva ritenuto credibili, tanto da chiedere un processo penale, che poi non si è tenuto a causa della nota prescrizione.
Spiega Condon: «Se è vero che Rupnik non poteva essere perseguito canonicamente per i suoi abusi sessuali su religiose nei decenni precedenti, a causa della prescrizione, l'ordine dei Gesuiti avrebbe potuto scegliere di perseguire la sua laicizzazione in qualsiasi momento per azioni commesse a partire dal suo comportamento rilevato almeno dal 2019».
Abbiamo così chiesto al delegato DIR di spiegare perché la Compagnia non abbia fatto questo passo. Inoltre, abbiamo domandato perché la stessa richiesta non sia stata avanzata di fronte al riconoscimento della veridicità del reato canonico che aveva fatto scattare la scomunica latae sententiae nel maggio 2020.
P. Verschueren ha risposto “a piacere”. Ha spiegato che quest’ultimo fatto era all’epoca «un caso isolato», del quale Rupnik si era pentito. Tutto lasciava dunque pensare a «un’unica “scivolata” morale”». Inoltre, non era stata la donna coinvolta a fare denuncia e non c’era uno scandalo pubblico. Questi elementi hanno portato la Compagnia di Gesù a ritenere che non vi fosse né «una necessità ecclesiale né morale per entrare in una procedura di laicizzazione». I nuovi casi erano del tutto diversi: problema ricorrente, scandalo pubblico, nessun pentimento; ma «purtroppo quelle trasgressioni denunciate sono tutte prescritte – inoltre giuridicamente non provate (per mancanza di processo)».
Il vulnus più evidente della risposta è il fatto che p. Verschueren decida di non rendere ragione del perché la richiesta di “riduzione allo stato laicale” non sia stata avanzata a causa delle sistematiche disobbedienze alle restrizioni, violazioni per le quali «i casi di laicizzazione vengono portati regolarmente al Dicastero per il Clero», spiega Condon; il quale aggiunge: «Quando i sacerdoti si rifiutano di attenersi a queste istruzioni canoniche, possono essere legalmente accusati di tali violazioni e, se necessario, laicizzati tramite appello al dicastero». Già, ma come si fa a fare una richiesta del genere, dal momento che sono stati proprio loro, i vertici della Compagnia di Gesù, quelli che hanno imposto restrizioni a partire dal giugno 2019, ad autorizzare Rupnik a tenere la prima predica quaresimale alla Curia Romana il 6 marzo 2020?
Abbiamo dunque riproposto la domanda a p. Verschueren ‒ perché anche i gesuiti a volte possono dimenticare di rispondere senza dolo ‒, chiedendo altresì se la Compagnia di Gesù avesse preso le misure adeguate per comprendere se il caso dell’assoluzione del complice, che evidentemente ha a monte un peccato contro il sesto comandamento, fosse realmente un caso isolato oppure il primo gravissimo campanello d'allarme di altri fatti analoghi. Infine, abbiamo chiesto se, sulla decisione di non chiedere la laicizzazione del confratello, abbiano influito indicazioni dirette o indirette del Santo Padre.
P. Verschueren ha fatto la singolare e infelice scelta di metterla sul personale, dimostrando così palesemente che la Compagnia di Gesù non ha scientemente voluto percorrere la strada della dimissione dallo stato clericale, pur avendo la possibilità di farlo, a prescindere dalla questione della caduta in prescrizione. E che il papa in qualche modo c’entra, eccome; altrimenti sarebbe bastato smentire. D’altra parte, è la legge del “non c’è due senza tre”: Rupnik era stato salvato per due volte per intervento diretto di papa Francesco, nonostante il “fedelissimo” Jacopo Scaramuzzi, su Repubblica, avesse buttato la responsabilità sul Cardinal Ladaria (ne abbiamo parlato qui), e deve averlo fatto anche per la terza, facendo capire che non avrebbe mai permesso che il suo protetto potesse essere sanzionato con la laicizzazione.
Dapprima, il gesuita si è stizzito di non essere stato ringraziato per le sue precedenti risposte, ringraziamenti che invece gli sono stati rivolti previamente nelle email del 15 luglio e in quella del 26 luglio. Poi rivendica la sua libertà di dare o non dare informazioni a chi gli pare; infine, manifesta la sua noia a «ripetere le stesse cose già tante volte dichiarate», in quanto «sono state pubblicate dappertutto». E dire che gli avevamo dato la possibilità di dire una cosa nuova!
E questo sarebbe il modo di «approfondire i temi», dopo che la dimissione di Rupnik dalla Compagnia di Gesù sarebbe stata definitiva, a cui lo stesso Veschueren aveva dato disponibilità nella Lettera del 15 giugno?
Un’altra questione aperta rimane il destino delle proprietà di Via Paolina. Il delegato DIR ha dichiarato il «fermo desiderio della Compagnia di Gesù» di «prendere distanza anche giuridica dal Centro Aletti, uscendo formalmente dall’Associazione Pubblica di Fedeli che porta lo stesso nome e trovando il modo migliore di rescindere rapporti di partnership con il Centro».
Abbiamo fatto notare a P. Verschueren che il Palazzo Aletti è di proprietà dei gesuiti, per espressa volontà della vedova del sig. Ezio Aletti, la dott.ssa Anna Maria Gruenhut Bartoletti, che l’aveva donata all’Ordine con la clausola che divenisse sede di un centro culturale internazionale. Ci è stato risposto che il legame tra la Compagnia di Gesù e il Centro Aletti, «incluso il comodato per l’utilizzo della casa», è oggetto di una «revisione totale», che necessiterà di adeguati tempi giuridici.
Speriamo non siano biblici. I gesuiti dovranno chiarire cosa intendono fare di quello stabile e come onorare la clausola di donazione. E dovranno anche risolvere una questione: che il Centro Aletti, con cui non si vuole più avere a che fare, possa continuare a portare un nome che richiama chiaramente una stretta relazione con i gesuiti. Ma chiarire, per p. Verschueren, è l’atto più contro natura che esista.