Ru486, il Lazio si adegua. I pro-vita giochino d’attacco
Anche la Regione guidata da Zingaretti ha recepito le nuove linee guida sulla Ru486, emanate nel 2020 da Speranza, con day hospital, aborto pure nei consultori e fino alla nona settimana. Come reagire? Il problema non si risolve con il ricovero ordinario, che implica sempre l’uccisione del bambino, ma bisogna chiedere di abrogare la 194.
Nell’agosto del 2020 il ministro della Salute Roberto Speranza pubblicò delle nuove linee guida sulla somministrazione della pillola abortiva RU486. Le novità, rispetto alle linee guida del 2010, erano sostanzialmente due. La prima: l’aborto tramite questo preparato chimico poteva iniziare in ospedale o in consultorio o in ambulatorio e finire con l’espulsione del feto a casa, in ufficio, sul tram. Non c’è più quindi l’obbligo, previsto tuttora dalla 194, del ricovero ordinario per permettere l’espulsione del feto in ospedale e per monitorare le condizioni di salute della donna, bensì il tutto può avvenire in regime di day hospital somministrando alla madre la prima pillola. La procedura è in antitesi con la 194 almeno per due motivi: la legge prevede che tutto l’iter abortivo avvenga in ospedale; consultori e ambulatori non sono luoghi idonei per abortire. Seconda novità: si può abortire con la RU486 fino alla nona settimana e non più solo fino alla settima settimana come era previsto con le precedenti linee guida.
Come avevamo già sottolineato a suo tempo, questa procedura - oltre a sopprimere il nascituro, che è l’aspetto più grave di tutta questa faccenda - espone la donna a seri rischi per la sua salute.
Marche e Piemonte, seppur in modi diversi, non si sono adeguate perfettamente alla nuova disciplina ministeriale. Di orientamento nettamente differente altre regioni, come Emila Romagna, Toscana, Liguria, Lombardia, che già prima della pubblicazione di queste nuove linee avevano in un certo qual modo anticipato il loro contenuto.
Ora è il turno della Regione Lazio, guidata da Nicola Zingaretti, che ha recepito in toto le linee guida del 2020 e dunque la RU486, in tutta la regione, potrà essere somministrata anche fuori dagli ospedali. Marta Bonafoni e Alessandro Capriccioli, rispettivamente capogruppo della Lista Civica Zingaretti e di + Europa Radicali, scrivono in una nota che sono felici della decisione della Regione che ha tenuto «insieme, come ribadisce anche la determina - frutto di un lungo e approfondito lavoro svolto da una commissione tecnica composta da mediche e professioniste - il piano della qualità della prestazione sanitaria con quello dei diritti delle donne. Separando una procedura medica dal giudizio morale che ancora oggi l’accompagna». Interessante venire a sapere che le procedure mediche, in specie quelle volte alla soppressione di una persona, debbano essere avulse da ogni giudizio morale. Frase in sé poi contraddittoria perché sia Bonafoni che Capriccioli esprimono eccome un giudizio morale su tale «procedura medica», un giudizio morale di approvazione.
Bonafoni e Capriccioli aggiungono che le aziende ospedaliere «dovranno anche mettere in campo un percorso di formazione alla RU486 su tutti gli operatori coinvolti, “anche i medici ginecologi obiettori” - specifica la determina - perché se ci sono complicazioni tutti hanno il dovere di intervenire per soccorrere la donna». Ecco un ennesimo attacco all’obiezione di coscienza tentando di arruolare i medici obiettori in qualità di collaborazionisti, con la scusa di aiutare le donne che - non poche, ci dicono gli studi - devono tornare in ospedale per complicazioni. Un’ammissione implicita, tra l’altro, della pericolosità della RU486.
Infine, dopo un accenno polemico a regioni come le Marche perché pro-life, anzi no: perché di destra, ossia fasciste («dalle Marche arriva l’ennesimo becero attacco della destra contro la 194»), ecco una stoccata a Pro Vita & Famiglia, associazione rea di aver affisso in varie città italiane alcuni manifesti che ricordano la pericolosità della RU: «I provita - scrivono Bonafoni e Capriccioli - non cessano di riversare nelle nostre città i loro manifesti».
In che modo fermare iniziative come quella del Lazio che presto, assai probabilmente, sarà imitata anche da altre Regioni? Dobbiamo smetterla di giocare in difesa come quando battagliamo per il ricovero ordinario così da non avere il day hospital. A noi importa che il bambino viva, non che muoia a seguito di un ricovero di tre giorni. Perché abortire in ospedale o in consultorio o a casa, tramite un’operazione chirurgica o con una pillola, dopo tre giorni o dopo mezz’ora poco cambia, rimane sempre un aborto, rimane sempre un’uccisione di una persona innocente.
Dato che il limite dell’illecito morale si sta spostando sempre più in là, abbiamo dimenticato il punto da dove eravamo partiti e quanta strada abbiamo percorso nel male. Siamo qui a tentare di spuntare le zanne del mostro, quando invece dovremmo tentare di ucciderlo. Abbiamo perso di vista il nocciolo della questione: aborto mai. E come arrivare a questo risultato? Un modo, non l’unico ma oggi sicuramente necessario, è chiedere l’abrogazione della legge 194, così come ogni anno chiedono, tra gli altri, anche i partecipanti della Marcia per la Vita. Solo così non saremo più schiacciati in difesa e inizieremo a giocare in attacco. Solo così l’utopia inizierà a farsi speranza realizzabile, non certo domani, ma forse dopodomani. Solo così potranno iniziare a cambiare le coscienze collettive, il sentito comune. Solo così il vento girerà a favore della vita.
Ritorniamo a chiedere l’abrogazione della 194 e vedrete che l’attenzione, le risorse, le forze dei pro-choice non potranno più essere rivolte a difendere le linee guida del ministro Speranza, bensì costoro saranno costretti a difendere la 194. Cosa che invece, ahinoi, fanno sempre più spesso molti cattolici per evitare il peggio che, poi, puntualmente si avvera.