Roma Medievale. Il volto perduto della città
Roma è "caput mundi’"non solo in età repubblicana e imperiale, ma anche tra VI e XIV secolo. Lo testimoniano le 160 opere, tra le quali tanti mosaici e affreschi, che è possibile ammirare lungo il percorso dell'eposizione visitabile a Palazzo Braschi fino al 5 febbraio 2023.
Roma è "caput mundi" non solo in età repubblicana e imperiale, ma anche tra VI e XIV secolo. Nel Medioevo infatti la Città Eterna è il «faro d’Europa, una città verso la quale convergono re e pellegrini, intellettuali e prelati provenienti dalle regioni più lontane, attoniti davanti alle testimonianze dell’antichità intessute con quelle della cristianità, alle grandi basiliche sfavillanti di mosaici e arredi preziosi, cresciute sulle tombe dei martiri».
Articolata in nove sezioni, la mostra Roma Medievale di Palazzo Braschi a Roma – curata da Anna Maria D’Achille e Marina Righetti e visitabile fino al 5 febbraio 2023 – si snoda attraverso 160 opere, tra le quali tanti mosaici e affreschi, che contribuiscono a ricostruire «il volto perduto della città», quel volto troppo spesso celato tra «i fasti delle rovine antiche e lo splendore dei palazzi rinascimentali e delle piazze e chiese barocche».
Il visitatore è invitato a compiere un viaggio ideale verso Roma, una delle mete per eccellenza del pellegrino medievale desideroso di entrare a contatto con le prime testimonianze del cristianesimo e le reliquie dei martiri. Indossata la cappa benedetta prima della partenza e un cappello a falda larga, il pellegrino, chiamato "romeo" in virtù della sua meta, prendeva con sé il bastone per il viaggio e una bisaccia per portare cibo, acqua, messale e per accogliere i doni di carità di quanti incontrava lungo il cammino lungo e faticoso. Chi si recava a Roma poteva procurarsi le quadrangulae, placchette di piombo e stagno con le immagini dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Egli poteva inoltre rifocillarsi o esser curato, se infermo, negli hospitalia, il cui nome allude proprio all’iniziale scopo di tali strutture.
Tappe obbligate per ottenere l’indulgenza plenaria, a partire dal primo Giubileo del 1300 indetto da Bonifacio VIII, le quattro grandi basiliche papali – di cui la mostra ricostruisce accuratamente le tracce medievali – sono la meta di ogni pellegrino per le reliquie dei Santi Apostoli e della mangiatoia di Gesù, ancora oggi a Santa Maria Maggiore, prima basilica dedicata alla Vergine che custodisce anche la celebre icona della Salus populi romani e il primo presepe della storia realizzato da Arnolfo di Cambio.
Dell’antica San Pietro in Vaticano si ammirano, sulla base della ricostruzione proposta, un affresco del quadriportico coi volti di Pietro e Paolo e i mosaici superstiti di una fenice e di papa Innocenzo III collocati nel catino absidale. In un disegno acquerellato si scorge il pontefice Bonifacio VIII che si affaccia dalla Loggia delle Benedizioni della basilica lateranense. Dello stesso papa sono esposti anche i raffinati paramenti sacri, in particolare casula e piviale ornati di grifi, pappagalli e aquile. Dalla basilica di Santa Croce in Gerusalemme è stato invece riportato alla luce un prezioso ciclo di affreschi dei Patriarchi risalente al 1150.
Un acquerello del 1823 è una "foto istantanea" della veduta di San Paolo fuori le Mura durante l’incendio che la devastò in quello stesso anno. Mentre, sempre nel 1823, Francesco Diofebi dipinge su tela i danni provocati dal medesimo incendio. L’abbazia benedettina di San Paolo custodisce un vero gioiello artistico dell’Europa altomedievale che è possibile ammirare: la Bibbia carolingia di Carlo il Calvo, databile tra l’866 e l’875. Nella miniatura su cui è aperta si vede l’imperatore con la moglie, mentre nella fascia superiore le quattro virtù cardinali sono affiancate ai lati da due angeli.
Nella sezione dedicata ai papi spicca la custodia d’argento sbalzato e dorato a forma di croce del tempo di papa Pasquale I (817-824), decorata con un ciclo cristologico. Sono ancora esposti, tra i pochi reperti superstiti dell’antica abbazia medievale di Montecassino, parte del rotolo dell’Exultet e un lezionario per la festa di San Benedetto. Mirabile è anche la miniatura con l’incipit della Messa in onore di San Giorgio di un codice trecentesco.
Tra gli oggetti liturgici spicca un coltello eucaristico del 1170 (si tratta di uno strumento usato per tagliare il Pane consacrato, a ricordo della lancia che trafisse il costato di Cristo, tuttora in uso nella liturgia orientale) proveniente dall’Abbazia di Sant’Andrea a Vercelli e appartenuto a Gaula Bicchieri, cardinale e legato pontificio, mentre merita uno sguardo contemplativo il grande crocifisso del XIII secolo proveniente dall’aula capitolare dell’Istituto Angelicum.
Nella sezione dedicata alle icone mariane c’è spazio per la Madonna della Catena di S. Silvestro al Quirinale, che rievoca la prodigiosa guarigione di un indemoniato, le cui catene furono poi lasciate alla stregua di un ex voto accanto alla tavola dipinta ed è possibile contemplare sia una Vergine con Bambino del 1100 di Pietro di Belizo e Belluomo, sia una Vergine con Bambino del 1300 custodita nella chiesa di S. Maria sopra Minerva.
La mostra evoca anche storie di vita quotidiana tra botteghe, artisti e artigiani nel Medioevo, attraverso i reperti provenienti dalla Crypta Balbi; evidenzia l’importanza del Tevere che ha caratterizzato l’assetto urbanistico della Città Eterna e si sofferma sulle diverse ‘torri dei Barones’, di cui forse la più celebre è la Torre delle Milizie.
La Vita Nili – una biografia agiografica di San Nilo di Rossano, fondatore dell’Abbazia cattolica di rito greco-bizantino di Grottaferrata –, insieme ai codici della Bibbia della comunità ebraica più antica al mondo testimoniano infine come Roma sia stata e continui a essere un crogiuolo di popoli e tradizioni culturali differenti.
Al termine del percorso espositivo, a conclusione dell’ideale passeggiata nello spazio sacro di una chiesa medievale, al visitatore è consegnata una mappa che circoscrive ben trenta siti, perlopiù chiese, in cui è possibile scorgere ancora oggi le gloriose vestigia (in specie affreschi, mosaici, sculture e architetture) di un’epoca che ha fatto della bellezza una strada privilegiata per contemplare le meraviglie del Creatore operate in maniera sublime nella creazione e in modo ancor più mirabile nella redenzione.