Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Innocenti a cura di Ermes Dovico
sinodo/IL TEMA DEL GIORNO

Rito amazzonico, scusa per frammentare il cattolicesimo

Rito Amazzonico? Perché, allora, non un rito bantu o pigmeo, fino a una completa frammentazione del Rito romano? Citare il Rito ambrosiano è uno sproposito perché esso crebbe proprio come effetto di una profonda assimilazione del Rito romano e di quelli orientali in chiave antiariana. Le paraliturgie di questi giorni svelano l'inganno di una ritualità costruita a tavolino e spacciata per amazzonica. Come ha ammesso l'organizzatrice dei rituali in Traspontina, che senza saperlo ha confermato il carattere idolatrico - da laboratorio - dell'operazione. 
-EN ESPAÑOL  II ENGLISH VERSION
- TERRA-SENZA-MALI? MA PER FAVORE... di Rino Cammilleri
- BESTIARIO SINODALE: SUORE DAL VOLTO AMAZZONICO E INTERFERENZE POLITICHE, di Riccardo Cascioli
- DOSSIER: SINODO DELL'AMAZZONIA

Ecclesia 25_10_2019

Non solo preti sposati e diaconesse. Diversi circoli minori hanno avanzato anche la richiesta di un “rito amazzonico”; l’espressione è stata utilizzata, racchiusa tra virgolette, dal Circolo italiano B, dal Circolo portoghese A, dal Circolo spagnolo E. Ma anche dove l’espressione non compare, l’idea è la stessa: “elaborare una liturgia propria” (Circolo portoghese B), o ancora “promuovere e vivere una liturgia inculturata [...] con segni e simboli propri”.

A sentir parlare di rito amazzonico, qualche preoccupazione dovrebbe sorgere. A livello più immediato, bisognerebbe almeno preoccuparsi del fatto che un rito amazzonico, potrebbe significare un rito bantu domani, e uno pigmeo o indonesiano, dopodomani, fino ad arrivare ad una completa frammentazione del Rito romano.

Qualcuno, per tranquillizzare le coscienze, ha fatto notare che nella Chiesa già esistono diversità di riti, anche nel mondo latino, dove il Rito ambrosiano è testimonianza di una tale pluriformità. Ecco, appunto, prendiamo proprio il Rito ambrosiano. Il “marchio” latino di questo rito è fuori discussione; e la profonda fedeltà all’antico Rito romano venne arricchita da particolarità che traevano linfa da almeno due radici. Anzitutto, una vis cristocentrica, in chiave decisamente antiariana; Sant’Ambrogio dovette lottare non solo con le idee, ma anche con la presenza in carne ed ossa dell’arianesimo a Milano, nella persona ingombrante di Aussenzio, definito “ecumenicamente” da Sant’Ilario di Poitiers un diavolo. E poi la radice orientale, grazie alla presenza di vescovi milanesi di origine greca, come i santi Anatalone e Calimero, ma anche al contatto che si aveva con i vescovi orientali, in particolare durante concili e sinodi. Il minimo che si possa dire, è che il Rito ambrosiano non nasce dal fatto che gli “ambrosiani” del tempo avevano bisogno di esprimersi con segni e simboli più affini alla propria sensibilità; né è il frutto di una riunione di liturgisti, che desideravano distinguersi dai “romani”. Esso cresce invece come effetto di una profonda assimilazione del Rito romano e di quelli orientali, e come volontà di rafforzare la fede in Cristo di fronte all’aggressione da parte degli ariani.

Ascoltando gli interventi ai briefing di questi giorni, come anche prestando attenzione alle esotiche para-liturgie, non si è propriamente avuta la sensazione di essere in presenza di una maggiore sottolineatura di aspetti del dogma minacciati. E nemmeno è sembrato che la proposta di un rito amazzonico sia mossa dal desiderio di meglio esprimere in quelle regioni l’unità cattolica che respira a due polmoni.

Esempio numero uno. La signora María del Mar Bosch, una delle responsabili dei “momenti di preghiera” che accompagnano il presente Sinodo, ha finalmente svelato l’arcano delle statuette che di recente hanno fatto un tuffo nel Tevere: «E' una donna incinta, che abbiamo utilizzato come segno personificato della nostra terra amazzonica e della casa comune in senso più lato – è simbolo di un’abbondanza foriera di vita e dei pericoli che la minacciano». Ha poi escluso che si tratti di oggetti legati ad elementi cultuali delle popolazioni amazzoniche: «Sono oggetti di artigianato locale, oggetti tipici dell’arredamento che – se pure fossero stati un tempo concepiti come qualcosa di simile – né vengono comunemente percepiti a mo’ di oggetti di culto né tanto meno sono stati intesi e proposti da noi in altro modo che quello appena esposto».

Questo chiarimento a qualcuno è bastato per poter imputare gli accusatori di idolatria: non erano idoli, quindi i riti legati a questi oggetti, non erano idolatrici. A chi scrive, invece, il chiarimento suggerisce esattamente il contrario. Perché l’idolatria non è solamente l’adorazione di statuine che hanno una precisa carta d’identità, in termini di storia delle religioni; idolo è tutto quello che l’uomo mette al centro della vita, al posto di Dio, e a cui si prostra in adorazione. Ora, personificare la terra amazzonica o la Terra in generale, pensare ad un “rituale” che colloca queste personificazioni al centro, che prevede la prostrazione davanti a tali personificazioni, che altro è se non un atto di idolatria? Ci si dice: non si è trattato di rituali idolatri indigeni. E’ vero; si è trattato però di rituali idolatri allogeni, creati a tavolino da una équipe, che hanno espresso l’adorazione della personificazione della Terra. E questa non sarebbe idolatria?

Esempio numero due. Sabato 12 ottobre, nella chiesa di Santa Maria in Transpontina, è stata celebrata la “Missa da Terra sem males”. Anche in questo caso siamo di fronte ad un’invenzione di sana pianta, stavolta del vescovo Pedro Casaldáliga Plà; presente alla celebrazione il neo cardinale Czerny, che pare non abbia avuto nulla da obiettare. Questa “Messa” è stata pensata per i “martiri” della terra amazzonica, o meglio, per i martiri “che noi cristiani abbiamo fatto”, secondo la spiegazione di Casaldáliga. Potete visionare il “proprio” di questa Messa: la trama è il continuo mea culpa di noi cristiani e l’ordito la naturale innocenza delle popolazioni indigene che noi abbiamo macchiato. A titolo esemplificativo, riportiamo una breve parte della Memória Penitencial. Un cantore, che rappresenta l’indigeno, canta: «Io vivevo in una incontaminata nudità / giocando, piantando, amando / generando, nascendo, crescendo / una pura nudità della Vita»; a lui risponde il coro: «E noi ti ricopriamo / con abiti di malizia. / Violiamo le tue figlie. / Ti abbiamo dato come Morale / la nostra Ipocrisia». Amen.

Esempio numero tre. Al briefing del 9 ottobre, monsignor Erwin Kräutler ha affermato chiaramente che non c’è altra strada per risolvere il problema della mancanza di sacerdoti, che l’ordinazione di uomini sposati. La ragione? «I popoli indigeni non intendono il celibato, e lo dicono apertamente». Dunque se non lo capiscono, lo togliamo. Una pastorale che sembra seguire una strana massima: quello che già sapete e amate, annunciatelo a noi, e quello che non sapete e non amate, non abbiamo alcuna intenzione di annunciarvelo.

Proviamo a tirare le fila del discorso. Che cos’hanno in comune questi tre esempi di “inculturazione”? Il minimo che si possa dire, è che si fa spallucce della persona e dell’insegnamento di Gesù Cristo. San Paolo ha scritto: «Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi» (Fil. 2, 10)? E noi lo pieghiamo dinanzi alla terra amazzonica. San Paolo ha scritto: «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm. 3, 23)? E noi invece celebriamo l’immacolatezza originaria dei popoli amazzonici. Gesù, riguardo a coloro che sono diventati eunuchi per il regno dei cieli, ha detto: «Chi può capire, capisca» (Mt. 19, 12)? Ma noi diciamo che bisogna seguire chi non capisce.

Il nocciolo del discorso è che tutte queste persone, tra le quali figurano vescovi e cardinali, sono estremamente convinte che l’evangelizzazione si debba fare secondo le nostre idee; e di conseguenza anche la liturgia si deve fare a tavolino, conformemente a queste idee, collegiali e sinodali quanto si vuole, ma pur sempre nostre idee. In pratica, la liturgia non è più qualcosa in cui noi dobbiamo entrare, per imparare ad adorare il Signore, ma è la liturgia che deve entrare nelle nostre gabbie mentali.

Allora, possiamo almeno nutrire il dubbio che non sia questo il clima ideale per pensare ad un rito amazzonico?