Suore dal volto amazzonico e interferenze politiche
Una riunione organizzata dal Repam con politici brasiliani di sinistra solleva molte domande sulla strumentalizzazione politica del Sinodo. In compenso dalle presenze al briefing si capisce che le suore in Amazzonia hanno abbandonato l'abito. Ma c'è anche una buona notizia: un vescovo che dice che per le vocazioni bisogna anzitutto pregare.
E finalmente dopo venti giorni, sul filo di lana, al briefing quotidiano abbiamo ascoltato il 24 ottobre un vescovo dell’Amazzonia affermare che la prima soluzione alla scarsità di preti non sta nell’ordinazione di uomini sposati ma nella preghiera per le vocazioni. Si tratta di monsignor Alberto Taveira Corrêa, arcivescovo di Belém do Parà: da quando è arrivato in questa diocesi, dieci anni fa, ha messo i fedeli a pregare per le vocazioni e oggi ha ben 70 seminaristi locali. Una bella novità, che vale la pena sottolineare: c’è ancora qualche vescovo che pensa cattolico.
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Ogni tanto ai briefing quotidiani appaiono delle suore fra i relatori, una giusta considerazione per gli ordini religiosi femminili presenti in Amazzonia. Che siano suore però lo sappiamo solo perché così vengono definite dal moderatore. Dall’abito infatti potrebbero essere tranquillamente la segretaria della scuola media Chico Mendes o la cassiera del Banco do Brasil. Siccome i gesti valgono più delle parole, si direbbe dunque che la Chiesa dal volto amazzonico abbia abolito l’abito religioso. A pensarci bene è una scelta coerente, le suore ascoltate infatti parlano solo di cose terrene, diritti degli indigeni, sfruttamento delle risorse, ecc. L’abito religioso in effetti stonerebbe.
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Commistione fra politica e Chiesa? I portavoce del Sinodo dicono «No, assolutamente» ed eventuali «eventi collaterali sono frutto della libera iniziativa dei singoli» ma non fanno parte del Sinodo. Prendiamo atto, però resta il fatto che è abbastanza curioso che il Repam, la Rete Panamazzonica protagonista dell’organizzazione del Sinodo, inviti a Roma una delegazione di politici brasiliani, tutti di sinistra, per farli incontrare con alcuni padri sinodali a cui presentano una inchiesta sulla violazione dei diritti umani in Amazzonia. La questione è stata sollevata al briefing da Edward Pentin, del National Catholic Register, ed è anche diventata oggetto di un suo articolo in cui mostra foto e video dell’evento con i partecipanti. Da Cristiane Murray, vice-direttore della Sala Stampa Vaticana, e Paolo Ruffini, prefetto della Congregazione per la Comunicazione, il solito muro di gomma e risposte che negano l’evidenza. Fatto sta che della simpatica compagnia, riunitasi la scorsa settimana, fanno parte padri sinodali che sono stati presentati ai briefing, tra cui dom Mario Antonio da Silva, vice-presidente della Conferenza episcopale brasiliana. Sul fatto che l’iniziativa sia stata del Repam e che sia stata pensata per contribuire al Sinodo, il video non lascia dubbi. Ormai è una costante di questo Sinodo: una gestione della comunicazione in stile Unione Sovietica dove si vuole imporre una versione ufficiale che quasi mai coincide con la realtà. E quando l’evidenza della menzogna o dell’ambiguità salta fuori, si nega o si grida al complotto. Tra pochi giorni, il 9 novembre, ricorrerà il trentennale della caduta del Muro di Berlino e l’inizio dello sfaldamento dell’impero sovietico. Un ammonimento anche per Ruffini, Tornielli e compagnia.