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GIUSTIZIA

Riforma della magistratura. Stavolta lo chiede l'Europa

Al settore della giustizia il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destina 3,2 miliardi. Il sistema giudiziario è il punto debole dell'Italia. La lentezza del processo civile e delle procedure di riscossione del credito rendono poco competitivo il nostro Paese. Per non parlare delle incertezze nel penale. Stavolta è l'Ue che chiede la riforma, a partire da quelle del processo civile e penale.

Politica 11_05_2021
Associazione Nazionale Magistrati

Al settore della giustizia il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destina 3,2 miliardi sui 248 assegnati all’Italia tra prestiti onerosi e somme a fondo perduto. Tuttavia, anche da quella cifra apparentemente irrisoria dipende l’arrivo dei fondi europei per avviare la faticosa ricostruzione italiana post-pandemia. Ecco perché i temi della giustizia sono quanto mai delicati e la tempesta scoppiata sui sospetti per la circolazione dei verbali secretati del caso Amara è destinata a incidere non poco sul dibattito tra le forze politiche.

Si tratta di un argomento divisivo e che potrebbe far riemergere dissapori tra l’asse giallo-rosso Pd-Cinque Stelle e il centrodestra. Proprio quando il premier Mario Draghi invoca uno spirito di coesione nazionale per poter gestire al meglio la ripartenza, i partiti tornano a litigare sui processi e sulle responsabilità delle toghe, anzi c’è chi chiede con forza l’istituzione di una commissione d’inchiesta che possa fare piena luce sul “sistema Palamara” e sulle subdole commistioni tra politica e magistratura. Inoltre, Matteo Salvini raccoglie firme per alcuni quesiti referendari sulla separazione delle carriere dei magistrati, le misure cautelari, la riforma del Consiglio superiore della magistratura (Csm). Sullo sfondo c’è anche il tema delle cosiddette porte girevoli, cioè della disinvoltura con cui per anni alcuni magistrati sono passati dalla funzione giudiziaria all’impegno in politica, con un tragitto di andata e ritorno che ha finito per togliere credibilità al loro operato e alla magistratura nel suo complesso.

L’unico modo per spazzare via incrostazioni di potere, illazioni, sospetti, veleni sarebbe quello di procedere ad una vera e propria riforma della giustizia. L’Europa la auspica perché si rende conto che l’Italia è un unicum o quasi, nel Vecchio Continente, in termini di burocratizzazione e inefficienza dell’intera macchina giudiziaria. Alcuni numeri aiutano a capire. Ogni anno la Corte di Cassazione pronuncia 55.000 sentenze, 10 volte in più di quelle emesse dalle Supreme Corti di Francia e Germania. Per riscuotere un credito in Italia ci vogliono 1120 giorni, mentre in Francia 395. C’è quindi, nel nostro Paese, una crescente domanda di giustizia, una crescita esponenziale del contenzioso, che però non si traduce in una più efficace tutela dei diritti di persone e imprese. Le banche, ad esempio, per riscuotere un credito, impiegano tempi biblici, assai scoraggianti.

Ecco perché il patto siglato dall’Italia con l’Unione europea è uno snodo fondamentale per rilanciare gli investimenti nel nostro Paese e far decollare la ripresa dell’economia. Negli accordi con Bruxelles, l’Italia si impegna a ridurre nei prossimi cinque anni del 40% i tempi del processo civile e del 25% i tempi del processo penale. Le riforme del processo civile e del processo penale dovranno essere approvate entro fine anno, così come la riforma del Csm, organo di autogoverno dei magistrati che dovrà rinnovarsi con nuove elezioni nel 2022.

Il Ministro della giustizia, Marta Cartabia è molto determinata su questo versante e presenterà in settimana alcune proposte di emendamenti alla riforma della giustizia civile, attualmente in Commissione giustizia al Senato. A seguire ci si occuperà di riforma del processo penale e riordino del Csm. Per quanto riguarda il civile, le attuali lungaggini pesano sul sistema di garanzie e sui diritti dei creditori. I meccanismi di esecuzione forzata, di esproprio degli immobili e di recupero di crediti non versati sono attualmente molto farraginosi e pregiudicano la competitività del sistema Italia, frenando gli investimenti. Se si superassero queste lungaggini, nell’arco di 10 anni si recupererebbe mezzo di punto di Pil, circa otto miliardi. Le banche, infatti, con maggiore certezza sul recupero crediti, correrebbero meno rischi e potrebbero conseguentemente ridurre i tassi sui finanziamenti.

Sul versante del processo penale, invece, il centrodestra chiede lo smantellamento dei disegni di legge presentati dall’ex Guardasigilli, Alfonso Bonafede. Anzitutto in materia di prescrizione. Bonafede puntava allo stop della prescrizione per i condannati dopo il primo grado di giudizio. Questo, però, rischierebbe di compromettere ulteriormente la garanzia della presunzione di innocenza, lasciando sulla graticola per anni e anni imputati in attesa di giudizio e dilatando a dismisura il calvario di persone che magari alla fine vengono assolte. L’obiettivo del governo sarebbe invece quello di dare tempi certi allo svolgimento dei processi: due anni in primo grado, un anno e sei mesi in appello, un anno o addirittura soltanto sei mesi in Cassazione. Utopia? Magari no, se si riformeranno i codici, si aumenterà il ricorso ai riti alternativi come il patteggiamento e il giudizio abbreviato, si depenalizzeranno  alcuni reati minori, si taglieranno i tempi delle indagini preliminari, si digitalizzeranno le cancellerie, si potenzieranno gli staff dei magistrati.