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Ricatto sinodale tra diocesi svizzere: no gay, no money

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Quando la sinodalità va a scapito della solidarietà: il "soviet ecclesiale" di Lucerna nega i fondi dovuti a Basilea finché il vescovo Felix Gmūr non lascia libertà di condotta sessuale (e omosessuale) ai dipendenti della Chiesa. 

Editoriali 14_11_2023 Español
Felix Gmūr (foto d'archivio) Keystone

C’è un vescovo sotto ricatto. Si chiama Felix Gmür della Diocesi di Basilea. Il Consiglio sinodale della Chiesa cattolica del cantone svizzero di Lucerna – composto soprattutto da laici e capeggiato da una donna –  ha deciso di trattenere una parte dell'imposta ecclesiastica che dovrebbe essere devoluta alla diocesi di mons. Gmür fino a quando quest’ultimo non obbedirà alle richieste del Consiglio sinodale. E dunque 440.000 franchi, circa metà del contributo dovuto alla diocesi, verranno trattenuti nelle casse del Sinodo locale almeno fino all’autunno 2024.

Quali sono queste richieste? Sono bene indicate nel comunicato stampa emesso dallo stesso Sinodo locale. La prima: la diocesi di Basilea deve istituire un ufficio indipendente di indagine sui casi di abuso sessuale nel territorio della diocesi. Il tutto nasce da uno studio pilota sui casi di abuso sessuale nella Chiesa cattolica redatto da alcuni ricercatori dell’Università di Zurigo e pubblicato a settembre di quest’anno. Lo studio ha suscitato molto scalpore e allora il Consiglio sinodale di cui sopra, insieme a tutta la Chiesa elvetica, ha deciso di far vedere che non sta con le mani in mano. Questa prima richiesta potrebbe essere ragionevole anche se viene da domandarsi se fosse opportuno ed utile arrivare al ricatto. In merito all’utilità viene infatti da domandarsi: come si può fare piazza pulita se mancano i soldi per farlo? Correttamente a tal proposito il vescovo Gmür ha appuntato: «Non possiamo più assumere e pagare i dipendenti in questo modo».

La seconda richiesta è invece assolutamente censurabile. Nel comunicato possiamo leggere: «la Chiesa [di Basilea] deve allontanarsi dalla sua “moralità sessuale anti-vita e omofobica”. Ciò significa che la vita privata dei dipendenti della Chiesa non dovrebbe essere rilevante per l'assunzione o il licenziamento – una delle quattro richieste che la Conferenza Centrale Cattolica Romana (RKZ) ha rivolto ai vescovi alla fine di settembre». Sul significato dell’espressione “moralità sessuale anti-vita” possiamo solo fare congetture. Probabilmente i membri del Sinodo si stanno riferendo al divieto di accedere alla fecondazione artificiale anche da parte delle coppie omosessuali.

Più certo è il significato dell’epiteto “omofobica” perché illustrato più avanti nel comunicato: la diocesi, giustamente, non assume persone che hanno relazioni omosessuali e tale motivo è valido anche per il loro licenziamento. Queste scelte sono bollate come omofobiche dato che la stessa Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera (RKZ) – si tratta dell'aggregazione delle organizzazioni ecclesiastiche cantonali – aveva invece chiesto ai vescovi elvetici di comportarsi in modo differente e di aprire le porte dei loro uffici a tutti: divorziati, risposati, omosessuali, conviventi. Così il segretario generale della RKZ Urs Brosi: «Per i dipendenti può ancora essere motivo di licenziamento se si sposano dopo un divorzio civile o convivono per lungo tempo o hanno una relazione omosessuale. Tutto questo dovrebbe finire». C’è da aggiungere che il Sinodo di Lucerna ha deciso di chiudere i rubinetti alla diocesi di Basilea perché questa è la strategia decisa dall’alto, decisa appunto dalla RKZ.

Ciò che sta succedendo a Basilea può essere letto secondo due prospettive. Nella prima il vescovo è un semplice cittadino che viene punito se non rispetta le leggi del Sinodo, come se quest’ultimo fosse un parlamento. Anzi non si tratta più nemmeno di una metafora, ma di realtà vera e propria a dar retta al titolo del comunicato stampa del Sinodo che così recita: «Il Parlamento ecclesiastico esercita pressioni sulla diocesi». Il Sinodo locale, a suon di partecipazione, ascolto e votazioni comunitarie, è diventato un vero e proprio parlamento che ha le sue leggi e relative sanzioni a cui tutti, vescovi inclusi, devono obbedire. Ne dà testimonianza anche il membro del Sinodo Monika Käch la quale ha affermato in merito alla vicenda della diocesi di Basilea: «Abbiamo la possibilità di agire oggi. Noi del Sinodo, come rappresentanti del popolo, abbiamo una responsabilità». La Chiesa da realtà gerarchica è diventata istituzione democratica.

Una seconda lettura di questa vicenda è di carattere aziendalistico. Il vescovo Gmür è stato assunto dal Sinodo, inteso come Spa, per raggiungere alcuni risultati. Un contratto a progetto, in buona sostanza, seppur di carattere manageriale. Se il vescovo non soddisfa le richieste del datore di lavoro e dietro le pressioni degli azionisti scontenti, gli viene decurtato lo stipendio, tramite il non pagamento di alcune tranches dello stesso. Interpretazione fantasiosa e un po’ tirata per i capelli? Non pare proprio. Sempre Monika Käch avrebbe infatti dichiarato che «se adattate questo a un'azienda [ossia se adattate questo caso ad un sistema aziendale] allora voi come azionisti avete il dovere di vigilare, agire e dare istruzioni al management se non fa nulla da solo». I fedeli come azionisti, il vescovo come manager.

Dalla Chiesa cattolica alla chiesa sinodale e da questa a quella parlamentare e aziendale.

 

 

 



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