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Russiagate, indagine su un possibile golpe bianco dei Dem

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Il procuratore generale degli Stati Uniti Pam Bondi ha ordinato ai pubblici ministeri di aprire un’inchiesta sul Russiagate, sul tentativo di screditare l'amministrazione Trump nel 2016. Se dimostrato, sarebbe peggio del Watergate.

Esteri 06_08_2025
Donald Trump e Pam Bondi (La Presse)

Il procuratore generale degli Stati Uniti Pam Bondi ha ordinato ai pubblici ministeri di aprire un’inchiesta sul Russiagate. L’inizio dell’indagine è la pubblicazione di circa 100 documenti declassificati per ordine della nuova direttrice dell’Intelligence Nazionale, Tulsi Gabbard. Sulla base di questi documenti, sorge il fondato sospetto che l’amministrazione Obama, nel 2016, nei suoi due ultimi mesi di governo, abbia cercato di minare alla radice l’amministrazione del successore appena eletto, Donald Trump, gonfiando a dismisura i rapporti di intelligence su una sua presunta collusione con la Russia di Putin. Il significato del Russiagate era: a causa delle interferenze russe, le elezioni vinte da Trump erano di fatto fraudolente. L’indagine che ne è seguita, però, ha portato a un nulla di fatto. E i documenti declassificati da Tulsi Gabbard, dimostrerebbero che era tutta una manovra politica, nulla a che vedere con l’intelligence seria.

I procuratori presenteranno, ora, le prove a loro disposizione a un gran giurì, un gruppo di cittadini che deciderà se presentare accuse formali. Parallelamente a questa indagine, l’ex direttore della Cia John Brennan e l’allora direttore dell’Fbi James Comey sono indagati. Sono accusati, l’uno, di aver prodotto dei rapporti gonfiati ad arte e politicamente pilotati, l’altro di aver introdotto nei rapporti di intelligence il Dossier Steele, preparato dall’ex agente segreto britannico Christopher Steele, ingaggiato a mo’ di investigatore privato dalla campagna elettorale di Hillary Clinton e autore di un rapporto, poi rivelatosi inattendibile, in cui Trump appariva come ricattato dal Cremlino. Sia Comey che Brennan hanno sempre negato qualsiasi illecito e accusano Trump di aver sovvertito il sistema giudiziario.

L’ufficio di Pam Bondi ha affermato, in un memorandum pubblicato insieme ai fascicoli, che questi contenevano prove di “soppressione” e manipolazione delle informazioni di intelligence. In estrema sintesi: nel dicembre 2016 era stato presentato a Obama un rapporto delle agenzie di intelligence americane secondo cui l’interferenza russa nelle elezioni c’era stata, ma non era stata in grado di modificarne l’esito. Obama aveva bloccato la sua pubblicazione e in una riunione al vertice aveva “incoraggiato” Fbi e servizi segreti a cercare meglio le prove di una collusione fra il Cremlino e Trump. Nel gennaio del 2017, appena un mese dopo, era stato pubblicato un rapporto molto più pesante nei confronti di Trump. E non solo: in quel mese, membri dell’amministrazione Obama avevano fatto trapelare alla stampa la storia della presunta collusione fra il presidente eletto (ma non ancora in carica) e Putin.

Le prove pubblicate da Tulsi Gabbard includono scambi di e-mail, una delle quali sembra essere stata inviata da Leonard Benardo, vicepresidente senior della Open Society Foundations, di George Soros. Apparentemente si riferisce a una consigliera di politica estera di Clinton, Julianna Smith. L’e-mail, datata 26 luglio 2016 (prima delle elezioni vinte da Trump), recita: «Julie dice che sarà un’impresa a lungo termine demonizzare Putin e Trump. Ora è un buon momento per un rimbalzo post-convention. Più avanti l’Fbi getterà benzina sul fuoco». Per l’amministrazione questa è una “pistola fumante” o quasi. Per i Democratici, invece, non è nulla di importante e forse l’email in questione è anche falsa.

I Democratici ricordano che fu un’indagine bipartisan del Senato a stabilire che l’interferenza russa nel voto del 2016 ci fu eccome: «La Commissione Intelligence del Senato di Marco Rubio – dice Joe Scarborough, ex deputato repubblicano ed ora noto commentatore televisivo - è giunta alla conclusione, Repubblicani e Democratici insieme, che la campagna di Trump del 2016 rappresentava, secondo le loro parole, “una grave minaccia di controspionaggio per gli Stati Uniti d'America”. A dirlo è stato Marco Rubio (attuale Segretario di Stato, ndr) e tutti i Repubblicani della Commissione Intelligence del Senato».

Sempre Joe Scarborough ricorda che nella prima inchiesta sul Russiagate voluta dalla precedente amministrazione Trump, il consigliere speciale John Durham «ha ammesso che non c'era una cospirazione della Clinton, che le due e-mail chiave al centro della sua teoria erano “molto probabilmente il prodotto della disinformazione russa”».

Secondo Mollie Hamingway (giornalista  di The Federalist e commentatrice di Fox News), già le carte che sono pubbliche oggi sono invece una prova di una grave macchinazione democratica: «La cospirazione del presidente Obama per nascondere le informazioni che dimostravano l'assenza di influenze russe nella campagna elettorale del 2016».

I funzionari statunitensi hanno scoperto che l'ingerenza russa nel 2016 includeva bot farm sui social media e l’hacking delle e-mail dei democratici, ma alla fine hanno concluso che l’impatto era probabilmente limitato e non ha effettivamente cambiato il risultato delle elezioni. Tutto il resto è stato ingigantito ad arte: «I membri dell’amministrazione Obama, e Obama personalmente - continua la Hemingway - hanno cospirato per nascondere informazioni reali che dimostravano che sì, la Russia ha fatto quello che ha sempre fatto, ma non ha avuto alcun effetto e non è stato fatto per conto di un candidato in particolare (…) Abbiamo poi scoperto che hanno fabbricato informazioni false e le hanno immediatamente divulgate ai media compiacenti, e poi hanno fatto in modo che persone all'interno delle loro agenzie lottassero con tutte le loro forze per impedire che queste falsità e menzogne venissero alla luce, minacciando di licenziarle».

Se tutto ciò fosse avvenuto a parti invertite, oggi già si rievocherebbe lo scandalo Watergate, quello che portò alle dimissioni Richard Nixon nel 1974. E nel caso del Russiagete, le accuse all’ex presidente Obama sono ancora più gravi di quelle del Watergate: Nixon si limitò a spiare i Democratici, Obama avrebbe addirittura creato un caso di spionaggio ai danni di Trump. A parti invertite, appunto. Ma Obama, si sa, è il presidente preferito dei media, praticamente una loro espressione. Per questo dell’inchiesta Russiagate sentiremo parlar poco, anche se sta entrando nel vivo.