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IL RAPPORTO

Regno Unito, la Ru486 fa impennare gli aborti

Il Governo britannico pubblica le statistiche sull’aborto in Inghilterra e Galles per il 2021. Registrati oltre 214.000 aborti, il numero più alto dalla legge del 1967. Influisce la totale liberalizzazione della Ru486, anche a casa. Con i maggiori rischi che ne conseguono. Altro dato: l’aborto è usato in gran parte come metodo contraccettivo, adducendo come ragione quasi esclusiva la “salute mentale”.

Vita e bioetica 27_06_2022

Il Governo inglese ha pubblicato, tramite l’Ufficio per il miglioramento della salute e per le disparità, un report dal titolo “Statistiche sull’aborto in Inghilterra e Galles: anno 2021”. I dati fanno riflettere assai. “Ci sono stati 214.256 aborti per donne residenti in Inghilterra e Galles, il numero più alto da quando è stata introdotta la legge sull’aborto”, cioè dal 1967. Prima riflessione: non ci vengano a dire che legalizzare l’aborto serve per ridurre il numero di aborti. Se una condotta viene depenalizzata, il numero di persone che assumono quella condotta aumenta. È lapalissiano.

La curva è schizzata verso l’alto dal 2016 al 2021. Perché? Il motivo è il seguente: dal 2017-2018 le donne possono assumere la seconda pillola della Ru486, per usare la dicitura italiana, a casa senza passare dall’ospedale. Dal 2020, causa Covid, entrambe le pillole possono essere assunte a casa. Facoltà che, dal marzo di quest’anno, è stata resa permanente. Il Covid quindi non c’entra nulla, era solo un pretesto.

L’impennata di aborti è stata quindi causata dalla possibilità di accedere all’aborto chimico in pillole. Prova ne è che “l’87% degli aborti è stato indotto da farmaci. [Il ricorso all’aborto chimico] è aumentato di 40 punti percentuali dal 2011”. Lo scriviamo nuovamente: l’87% degli aborti in Inghilterra e Galles avviene con la Ru486, non tramite intervento chirurgico, e nella metà circa dei casi l’assunzione delle due pillole avviene a casa. È la teoria del fiume: il fiume prende sempre la via più breve per arrivare a valle. Fornite un metodo più semplice per fare qualcosa e accadrà che il numero di persone che farà quella cosa aumenterà perché facilitati nella scelta, anche se in questo caso pochi sanno che la semplicità si accompagna a maggiori rischi per la salute della donna.

Sui rischi dell’aborto domestico tramite la kill pill, il rapporto ha dovuto ammettere che è difficile la raccolta dei dati (o forse non si vogliono raccogliere i dati): “Per le interruzioni mediche [non chirurgiche, ndr] in cui entrambi o il secondo step [seconda pillola] sono stati somministrati a casa, è meno probabile che le complicanze vengano registrate sull’HSA4 [il modulo apposito per registrare anche le complicanze post aborto]”.

Proseguiamo: “Il tasso di aborto standardizzato per età per i residenti è di 18,6 per 1.000 donne dai 15 ai 44 anni”. Dunque, quasi due donne in età fertile su 100 hanno abortito nel 2021. “Il tasso di aborto per le donne di età inferiore ai 18 anni ha continuato a diminuire” nel tempo. Ci arrischiamo a formulare un’ipotesi per spiegare questo trend in discesa, ipotesi che però dovrebbe essere verificata: probabilmente, le ragazzine usano la pillola del giorno dopo e dei 5 giorni dopo che non vengono considerate metodiche abortive, anche se la letteratura ci informa che non si può escludere tale effetto. I criptoaborti così avuti sostituiscono quelli con la Ru.

Più avanti il report ci informa che “l’82% degli aborti nel 2021 riguardava donne il cui stato civile è stato dichiarato single [tra queste ci sono un 49% che, con buona pace degli ossimori, si dichiarano single con partner: ossia donne single che però hanno una relazione quasi esclusivamente di natura sessuale con un compagno fisso], una percentuale che è rimasta pressoché costante negli ultimi 10 anni”. Questo dato ci fa pensare che l’aborto è visto come metodo contraccettivo: ho un rapporto estemporaneo oppure con un compagno più o meno fisso e poi, se rimango incinta, abortisco. Non ci vengano quindi a dire che l’aborto serve per tutelare la salute delle donne, serve per tutelare, nella maggior parte dei casi, la loro irresponsabilità. E infatti il 98% delle motivazioni registrate che hanno portato all’aborto riguarda la tutela della salute psichica e fisica della donna. Ma nel 99,9% di quel 98% la motivazione è solo la tutela della salute psichica: cioè non volevano il bambino. Detto in altri termini, il medico che si vede arrivare una giovane donna che vuole abortire perché non vuole il bambino quale motivazione scriverà nel modulo? Tutela della salute psichica.

Il fatto che l’aborto viene visto come metodo contraccettivo è poi avvalorato anche da questo dato: “Nel 2021, il 43% delle donne che hanno abortito aveva avuto uno o più aborti precedenti. La percentuale è aumentata costantemente dal 36% nel 2011”

Ultimo dato da analizzare con attenzione: “Le donne che vivono nelle zone più svantaggiate dell’Inghilterra hanno più del doppio delle probabilità di abortire rispetto alle donne che vivono nelle zone meno svantaggiate. In Galles, le donne che vivono nelle aree più svantaggiate hanno quasi il doppio delle probabilità di abortire rispetto alle donne che vivono nelle aree meno svantaggiate”. Anche qui ci arrischiamo a formulare un’ipotesi interpretativa che necessiterebbe di una verifica scientifica: la maggiore povertà economica si accompagna spesso a maggiore povertà d’istruzione. Viene da pensare che le coetanee più ricche conoscano metodi abortivi precoci, come la pillola del giorno dopo o dei 5 giorni dopo, meno conosciuti dalle ragazze che vivono in situazioni più disagiate. Ciò non toglie che anche le motivazioni economiche possano essere una causa di fondo della scelta abortiva. Ciò detto, non è aumentando il reddito che si diminuiranno gli aborti, ma solo aumentando la sensibilità pro vita.