Recovery Fund, il Governo Conte rischia di cadere
I 209 miliardi di fondi europei fanno litigare i partiti di maggioranza, che però sono uniti da un obiettivo: togliere potere al premier. Renzi ha minacciato la crisi e stavolta ha dalla sua quasi tutto il Pd e Di Maio. Improbabile il voto anticipato, mentre non si può escludere un Conte-ter con il primo ministro “sotto tutela”.
UE, ACCORDO CON POLONIA E UNGHERIA. MA SOROS... di L. Volontè
A luglio sembrava un successo epocale: in sede europea era stato raggiunto l’accordo sugli aiuti post-Covid e l’Italia si era assicurata ben 209 miliardi di fondi Ue. Una cifra mai ottenuta da Bruxelles nella storia del nostro Paese e destinata ad assicurare agli italiani una vera ripartenza dopo la pandemia. A intestarsi il successo fu il premier Giuseppe Conte, che proprio in quei giorni toccava l’apice del gradimento popolare in tutti i sondaggi. Si disse che aveva realizzato un vero capolavoro di diplomazia, riuscendo a portare a casa il massimo risultato per il nostro Paese.
Cinque mesi dopo siamo fermi al punto di partenza. La cospicua somma continua ad essere esibita come un trofeo di caccia. Ci è stato detto che servirà prevalentemente per compiere una rivoluzione green e digitale, ma per il resto tutto rimane vago. Gli altri Stati europei hanno già redatto un piano per spendere in modo mirato e strategico le somme loro spettanti, mentre da noi si continua a litigare ferocemente su una cabina di regia che dovrebbe concepire e gestire i progetti per l’utilizzo di quei 209 miliardi.
Queste somme hanno scatenato gli appetiti dei partiti di maggioranza, che litigano tra di loro pur essendo uniti su un obiettivo: togliere potere al premier, per impedirgli di gestire in modo autocratico la ricca partita del Recovery Fund. L’inquilino di Palazzo Chigi era partito con l’idea di fare tutto da solo, magari coordinandosi con il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (Pd), e con il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli (Cinque Stelle), al fine di salvaguardare gli equilibri nella maggioranza. Il giocattolo gliel’ha smontato Matteo Renzi, minacciando la crisi di governo qualora la cabina di regia restasse quella immaginata dal premier, con i due ministri, sei tecnici e un centinaio di consulenti per i vari progetti da mettere in campo.
Il leader di Italia Viva, però, questa volta non è una scheggia impazzita e non si muove da solo. Ha dalla sua parte quasi tutto il Pd e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Non è un caso che quando Renzi nel dibattito di mercoledì al Senato ha tuonato contro Conte, nessuna voce critica si è levata nei suoi confronti da parte dei leader dei partiti di maggioranza. Segno che sotto sotto le sparate dell’ex premier, volte a indebolire e a sfiancare Giuseppi, trovano un forte gradimento in ampi settori della maggioranza. C’è crescente insofferenza nei confronti del presidente del Consiglio, che avvisa gli alleati a cose fatte e ignora le opposizioni pur dichiarandosi pronto a coinvolgerle. È un andazzo che ha irritato nel tempo soprattutto il segretario del Pd, Nicola Zingaretti. C’è da chiedersi cosa potrà succedere adesso.
Conte, vedendosi isolato, sembra pronto a trattare sulla cabina di regia per il Next Generation Eu e perfino sui servizi segreti, visto che ha tenuto per sé quella delega e avrebbe voluto ulteriormente blindarla, ma Pd e Cinque Stelle ora pretendono condivisione anche su quella. La sua debolezza non deriva soltanto dal tiro al bersaglio che i partiti di maggioranza stanno scatenando contro di lui. Se fino a due settimane fa Silvio Berlusconi sembrava pronto a fare da stampella pur di assicurare al governo i numeri al Senato, ora non è più così. Il Cavaliere si è reso conto che Giuseppi rischia di cadere comunque e non vuole legare il suo nome a un esecutivo moribondo. Preferisce ricompattare il centrodestra, nell’attesa che si faccia un altro governo o nell’eventualità, al momento remota, di uno scioglimento anticipato della legislatura e di nuove elezioni politiche.
Il Capo dello Stato guarda con crescente apprensione alle beghe tra i partiti di governo e predica prudenza e senso di responsabilità. Sa bene che in questo Parlamento ha i numeri per farsi rieleggere al Quirinale (ammesso che sia davvero interessato), mentre con nuove Camere la sua sorte sarebbe segnata.
Ma il voto anticipato è alquanto improbabile perché i grillini, pur continuando a perdere pezzi (in due anni e mezzo 48 parlamentari eletti tra i 5 Stelle hanno abbandonato i gruppi alla Camera e al Senato), hanno la maggioranza e faranno di tutto per non andare a casa, sapendo di non essere più rieletti. Discorso più o meno analogo riguarda Forza Italia, unica forza di centrodestra che vedrebbe drasticamente assottigliata la sua pattuglia parlamentare. Per motivi simili, quindi, azzurri e pentastellati hanno l’esigenza di sostenere qualsiasi governo in questa legislatura, pur di non rischiare la decimazione.
Di qui la concreta possibilità che questa latente crisi di governo sfoci nella formazione di un nuovo esecutivo con la stessa maggioranza ma con equilibri diversi (magari con un altro premier) oppure di un governo di unità nazionale chiamato a guidare il Paese fuori dalla recessione indotta dalla pandemia. Un Conte-ter non è da escludere, ma con un premier ridimensionato e “sotto tutela”. Un po’ come successe nel governo gialloverde, quando a comandare erano Luigi Di Maio e Matteo Salvini, mentre Conte era poco più che una figura simbolica.