Ramadan segnato da morte e tensione nella Striscia di Gaza
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Aerei e artiglieria israeliani continuano incursioni e bombardamenti, mentre da parte di Hamas il mese del digiuno viene definito «il mese della vittoria e il mese della jihad». Malgrado gli appelli, l'odio non si placa.
«Fermatevi! Per favore, fermatevi!». Questo accorato appello di papa Francesco, rivolto con vigore ad Israele e ad Hamas, durante l'Angelus del 3 marzo, è riecheggiato ieri, quarta domenica di Quaresima, in tutte le parrocchie del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, sparse tra Israele, Palestina, Giordania e Cipro. Ma anche il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca della Chiesa Madre, continua a rivolgere un ennesimo invito, ad entrambi i contendenti: «Fermate l'odio! L’odio, tra i due popoli, dilaga ed è un ostacolo oggettivo alla pace. Non bisogna farsi prendere dalle sue spire – ha ammonito Pizzaballa –. La fede è vita, deve parlare alla vita».
Da 155 giorni si continua a morire nella Striscia di Gaza. I morti hanno superato le 31mila unità, mentre i feriti sono oltre 72mila. Aerei e artiglieria israeliani continuano le loro incursioni e i violenti bombardamenti su varie zone della Striscia, prendendo di mira case, accampamenti di sfollati e strade, seminando morte e distruzione. Tra venerdì e sabato scorsi sono state ammazzate 82 persone. Ma si muore anche di fame e di malnutrizione. E per tanti, salvarsi è questione di giorni, forse di ore. Un intero popolo, oltre 2milioni e trecentomila persone, ridotto alla fame e che ogni giorno deve seppellire i propri cari in fosse comuni. Mentre al valico di Rafah, al confine con l’Egitto, si sono ammassate centinaia di camion carichi di aiuti umanitari. Mediamente, per poter entrare nella Striscia di Gaza ci si impiegano quasi tre settimane. I controlli sono rigidi. Se anche un solo oggetto del carico non viene autorizzato da parte dell'esercito israeliano, il mezzo viene bloccato. Spesso Israele ferma le consegne con il pretesto che la merce possa essere utilizzata per scopi militari.
Il governo guidato da Benjamin Natanyahu prosegue nella sua politica espansionistica anche a Gaza. Israele ha iniziato, da qualche settimana, la costruzione di una strada, in direzione est-ovest, partendo dalla zona di confine con Israele e che attraverserà la Striscia, dividendola in due. La lunghezza della nuova arteria sarà di circa 6,5 chilometri e suddividerà il nord di Gaza (compresa Gaza City) dal sud dell'enclave. Hamichai Chikli, ministro degli Affari della diaspora d’Israele, ha affermato che l'arteria sarà a tre corsie: una per i carri armati pesanti e veicoli blindati, un'altra per i veicoli più leggeri e una terza per movimenti più veloci. Sarà possibile percorrere il “corridoio Netzarim”, questo il nome della strada, da Be'Eri, un kibbutz israeliano situato vicino al confine con Gaza, fino al mar Mediterraneo, in sette minuti.
Nel frattempo, in questo clima di odio tra palestinesi ed ebrei è iniziato il Ramadan. È cominciato nella notte tra il 10 e l'11 marzo. Il mese sacro dei musulmani terminerà il prossimo 9 aprile. Quest'anno, però, sarà un Ramadan diverso per gli abitanti della Striscia di Gaza. Nessuno domanderà: «Hai digiunato?» perché la risposta è scontata: «Digiuno perché non ho nulla da mangiare, se non erba o mangime per animali». Un Ramadan, quello di quest'anno, che si celebra nel pieno della guerra di Gaza. Un conflitto che rischia di far esplodere una sollevazione di massa del mondo arabo contro Israele, con la conseguenza di far scoppiare ulteriori conflitti.
A Gaza le incursioni aere israeliane hanno distrutto quasi tutte le moschee, circa un migliaio quelle inagibili da quel tragico 7 ottobre. È un Ramadan silenzioso, senza luci e senza musica. A Rafah, decine di persone si sono ugualmente riunite per pregare, tra le macerie della moschea al-Farouq. Qualche famiglia è riuscita, assieme a coloro che condividono il rifugio, ad accendere le candele e decorarlo con qualche oggetto colorato, recuperato tra le macerie. Per colazione non hanno consumato, come di consuetudine, né formaggio, né tanto meno del laban, lo yogurt fermentato molto diffuso in tutto il Medio Oriente, accompagnato con miele o menta.
Sin dalle prime ore del mattino e per tutta la giornata, sono giunte, a Gerusalemme, autocorriere zeppe di pellegrini diretti alla moschea di al-Aqsa. A Porta Damasco, il principale accesso per i musulmani alla Città vecchia di Gerusalemme, la polizia era schierata in massa. Da tre postazioni era sorvegliato l’ingresso, l’area antistante era pieni di uomini e donne in uniforme, mentre poco lontano, erano stati sistemati mucchi di transenne pronte ad essere utilizzate per bloccare l'accesso alla porta, sotto gli occhi attenti della polizia a cavallo. Molti musulmani, appena scesi dalle corriere e vedendosi bloccati, hanno steso lo stuoino e si sono messi a pregare lungo la strada e nello stesso piazzale della stazione delle corriere. Sempre ieri mattina i coloni, protetti dalle forze di polizia, hanno preso d'assalto la moschea di al-Aqsa, nella Spianata delle Moschee. Hanno lanciato pietre in direzione delle case dei palestinesi nel quartiere di Al-Sanglawi a Gerusalemme Est e forato le gomme di circa dieci automobili parcheggiate ai bordi delle strade. Il ministro Itamar Ben-Gvir, leader del partito di estrema destra Otzma Yedudit, ha chiesto al primo ministro Netanyahu di vietare l'ingresso ai musulmani della Cisgiordania alla moschea di al-Aqsa.
C'è molta tensione a Gerusalemme e in tutto Israele. Alla mente ritornano le parole di Hamas che giustificava l'attacco del 7 ottobre, come risposta alla polizia israeliana per le continue profanazioni al terzo luogo più sacro dell'Islam, conosciuto come al-Haram al-Sharif (il Sacro recinto) e Monte del Tempio per gli ebrei, mentre migliaia di fedeli musulmani tentavano di entrare nella moschea di al-Aqsa. «Chiamiamo il nostro popolo a marciare su Gerusalemme… a pregare nella moschea… e ad impedire all’occupazione di raggiungere i suoi obiettivi di controllo e divisione. La moschea di Al-Aqsa appartiene a noi», ha detto Abu Obeida, portavoce dell’ala militare di Hamas, attraverso un video reso pubblico su Telegram, definendo il Ramadan come «il mese della vittoria e il mese della jihad».
Il presidente Usa, Joe Biden si è detto preoccupato per le violenze che potrebbero scoppiare a Gerusalemme Est.
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