Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Guido Maria Conforti a cura di Ermes Dovico
IL GRANDE GIORNO

Quirinale, nessuna maggioranza e veti incrociati

Cronaca del caos che verrà. Dopo il suo ritiro dalla corsa al Quirinale, Berlusconi pone implicitamente il veto su Mario Draghi. Mentre Giorgia Meloni potrebbe votarlo. Salvini punta sulla Moratti o la Casellati, ma quest'ultima ha sempre contro Berlusconi. Riccardi può essere il preferito dalla sinistra. Casini il candidato bipartisan.

Politica 24_01_2022
Matteo Salvini

Il grande giorno è arrivato: cominciano oggi le votazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Il mandato settennale di Sergio Mattarella scadrà il 3 febbraio e le trattative tra i partiti si fanno sempre più serrate. Una certezza iniziale già c’è: le prime tre votazioni, nelle quali è necessaria la maggioranza dei due terzi dei 1009 grandi elettori (deputati, senatori, senatori a vita e delegati regionali), andranno a vuoto.

Non esiste, infatti, un nome condiviso da un’ampia maggioranza trasversale e quindi in grado di imporsi. Bisognerà aspettare la quarta votazione, a partire da giovedì 27 gennaio, quando sarà sufficiente la maggioranza assoluta (505 voti) e quindi sia il centrodestra che il centrosinistra potranno provare a proporre e votare un proprio candidato, confidando nel parziale appoggio degli avversari o dei parlamentari del gruppo misto. 

Il nome nuovo che sembra farsi strada nelle ultime ore è quello di Elisabetta Belloni, 63 anni, direttrice generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza di Palazzo Chigi, fedelissima del premier e in grado di coagulare, con ogni probabilità, un ampio consenso bipartisan. C’è chi sospetta che il suo nome sia stato tirato in ballo proprio per sbarrare definitivamente la strada allo stesso Mario Draghi, cioè per seminare zizzania nei suoi ambienti. In effetti, ora come ora, le quotazioni dell’ex banchiere sono in discesa, in particolare dopo che Silvio Berlusconi, oltre che ritirarsi, ha chiaramente detto che preferirebbe la continuità di governo e dunque la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi. Un modo elegante per dire: “Al Quirinale non ci vado io, ma neppure Draghi”.

Per la stessa ragione il Cavaliere potrebbe stoppare altre candidature provenienti dalla sua area, ad esempio quella di Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, che dal 3 febbraio potrebbe assumere l’interim di Mattarella, qualora non ci fosse ancora un nuovo Capo dello Stato. La Casellati è sostenuta da Matteo Salvini, che però pare stia lavorando anche alla candidatura di Letizia Moratti. Quando il Capitano fa riferimento a una rosa di nomi da proporre al centrosinistra intende dire che il suo schieramento ha molte personalità di prestigio e in grado di essere elette al Colle. Ma la spina nel fianco del centrodestra potrebbe essere Giorgia Meloni, che contribuirebbe volentieri all’elezione di Draghi al Quirinale per due ragioni: inaugurare un presidenzialismo di fatto che prepari la strada alla riforma costituzionale in senso presidenzialista, come piace a lei; il trasloco del premier al Quirinale potrebbe essere il preludio allo scioglimento anticipato delle Camere, con conseguenti elezioni anticipate. Di certo Giorgia non ha gradito le parole con cui Berlusconi ha fatto un passo indietro: “Draghi resti a Palazzo Chigi”. Se c’è una cosa che la leader di Fratelli d’Italia proprio non vuole è la prosecuzione di questo governo.

Ma il centrosinistra ha dimostrato che non intende stare a guardare. Nelle prime tre votazioni, Pd, Leu e Cinque Stelle potrebbero votare, come candidato di bandiera, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ma nel frattempo punteranno a concorrere all’individuazione di un nome di alto profilo, fortemente europeista e non divisivo. L’identikit del presidente che potrebbe mettere tutti d’accordo è quello di Pierferdinando Casini, eletto al Senato nel centrosinistra ma tra i fondatori, oltre 25 anni fa, del Polo delle Libertà. L’ex Presidente della Camera sarebbe stato contattato anche per sondare la sua disponibilità a fare il premier fino alla fine della legislatura in caso di elezione di Draghi al Quirinale, ma avrebbe detto no, perché intende giocarsi fino in fondo le sue chance per il Colle. Inoltre, aleggiano nell’aria le solite candidature di alto profilo istituzionale, come quelle di Giuliano Amato e Paolo Gentiloni.

Nel Pd c’è chi spera ancora nel bis di Mattarella, nonostante i collaboratori dell’attuale Capo dello Stato abbiano postato sui social le foto degli scatoloni pronti per il trasloco. Se anche dopo giovedì non si riuscisse a trovare una vasta intesa su un nome condiviso o se nessuno dei due schieramenti riuscisse ad avere i numeri per eleggere un proprio candidato, il prolungato stallo finirebbe per rilanciare le quotazioni del Mattarella bis. Ma a prescindere dal libero giudizio sul suo settennato ormai agli sgoccioli, sarebbe una sconfitta dei partiti, che si dimostrerebbero prigionieri dei loro interessi particolari e incapaci di trovare soluzioni per il governo delle istituzioni.