Pro vita nei consultori: rimane un equivoco sulla 194
Molti di coloro che si sono detti favorevoli alla presenza di organizzazioni pro vita nei consultori sono anche a favore della 194. Sulla quale permane l’equivoco della “buona legge” e non solo.
La discussione etica e politica sulla presenza dei volontari pro vita nei consultori, innescata dal voto alla Camera sulla mozione – poi bocciata – del Partito Democratico che voleva vietarla, presenta un aspetto non secondario che è bene non trascurare.
Molti di coloro che si sono detti favorevoli alla presenza nei consultori di organizzazioni della società civile che sono a favore della maternità e operano per aiutare la donna a non procedere con l’aborto si sono anche detti a favore della Legge 194. Tutti hanno presentato la loro posizione come applicazione della legge che ha introdotto l’aborto di Stato in Italia. Questo è capitato – come abbiamo riferito altrove – per i tre partiti della maggioranza, anche se con sottolineature e prese di posizione diverse. Ma è capitato anche per la giornalista Incoronata Boccia, vicedirettrice del TG1, che ha fatto il suo coraggioso intervento in una trasmissione televisiva per dire che l’aborto non è un diritto ma è un delitto. Anche lei, infatti, si è detta a favore della 194.
Non intendo svilire il coraggio della Boccia espresso nel suo intervento, né peccare di ingenuità sulle possibili motivazioni dei partiti della maggioranza. Vorrei però evidenziare che, così impostato, il discorso rimane incompiuto e contraddittorio. Il direttore de La Verità, Maurizio Belpietro, ha dedicato al problema due editoriali per dire la stessa cosa: bene gli interventi pro vita in consultorio, si tratta di applicazioni della legge e la 194 è una buona legge. Belpietro è andato anche oltre, sostenendo che la 194 non prevede il diritto all’aborto: «La legge 194 è chiara: l’aborto non è un diritto» (editoriale del 27 aprile 2024). Egli ha confermato la tesi della Boccia, potenziandola nel senso di negare che la 194 ammetta l’aborto e chiudendo così il cerchio nella difesa della legge.
Belpietro ha sostenuto questa tesi citando il testo della legge – che egli aveva polemicamente consigliato di leggere per intero in TV nell’editoriale del 24 aprile – la quale certamente dice che lo Stato protegge la gravidanza dal concepimento alla nascita, ma poi afferma anche che, terminati i tre mesi di gravidanza, per una serie di condizioni, la donna può interromperla. Ora, se la donna può interromperla e se lo Stato ha il dovere a quel punto di dar seguito a questa sua decisione, si deve concludere che l’aborto è un diritto, anche se questa esplicita espressione nella legge non c’è. Non ci potrebbe essere un dovere dello Stato se non davanti ad un diritto della donna. La posizione de La Verità, quotidiano cui va il merito di affrontare spesso controcorrente queste tematiche, non è corretta. Anche perché Belpietro pubblica i numeri dell’aborto, per mostrare che le interruzioni di gravidanza grazie alla legge in vigore sono di molto diminuite, ma non fa alcun riferimento al cosiddetto aborto chimico, attribuendo il miglioramento della situazione ad una migliore “educazione sessuale” nel senso della contraccezione, elemento anche questo molto discutibile, per i nessi dimostrati tra mentalità contraccettiva e aborto.
L’idea che la 194 sia “una buona legge”, che non consideri l’aborto un diritto e che va solo applicata, può forse permettere qualche intervento temporaneo di moderazione dei suoi effetti negativi, ma alla lunga confermerà nell’opinione pubblica un “sì” all’aborto che farà certamente più strada che non i piccoli interventi correttivi applicativi della legge stessa. Correggere una legge che contempla l’aborto come un diritto significa confermarla e inibire o scoraggiare qualsiasi futuro tentativo di cancellarla in futuro.
Stefano Fontana