Primo voto ai tempi del Covid, un test per le alleanze
Domani si vota per il rinnovo dei Comuni e la sinistra appare in vantaggio in tutti i maggiori centri urbani. Ma non è uscita dalla sua crisi di leadership e di popolarità. La coalizione giallo-rossa è di fatto finita ed è ormai evidente la rivalità fra Letta e Conte. Stesso discorso per il centrodestra con la rivalità fra Salvini e Meloni.
Se Atene piange, Sparta non ride. Mai frase fu più adatta alla vigilia dell’imminente tornata elettorale. Se il centrodestra sembra in difficoltà, il centrosinistra non è messo meglio. Per una serie di ragioni che i media non sembrano aver messo sufficientemente in evidenza.
Nell’ultima settimana il caso Morisi, unito ai veleni mediatici contro la Lega e Fratelli d’Italia, potrebbe aver dato il colpo di grazia alle residue speranze del centrodestra di ben figurare alle elezioni amministrative di domenica e lunedì. La narrazione dominante descrive un centrodestra in agonia e un centrosinistra con lo champagne già in freezer. Tuttavia, le incognite delle prime vere elezioni dell’epoca post pandemia, con poche restrizioni anti-Covid e una campagna elettorale più o meno normale, sono molteplici.
Se Atene, in questo caso il centrodestra, piange, Sparta, in questo caso il centrosinistra, non ride. Neppure lo schieramento giallorosso, infatti, se la passa bene, per una serie di ragioni. La prima è che le misure introdotte dal governo Conte-bis per contrastare la pandemia sono state mal digerite dall’opinione pubblica, che nelle urne potrebbe presentare il conto all’ex premier e a Roberto Speranza, e quindi punire il Movimento Cinque Stelle e le forze di sinistra che hanno sostenuto il precedente esecutivo. La paralisi di moltissime attività produttive a causa dei prolungati lockdown ha generato effetti devastanti sulle imprese e sulle famiglie, che hanno fatto salti di gioia quando è arrivato Mario Draghi e tuttora sono convinte che il precedente governo abbia fatto molto male al Paese.
Una seconda ragione che potrebbe rendere incerta e sorprendentemente equilibrata l’imminente sfida elettorale è rappresentata dalla competizione tra Movimento Cinque Stelle e Pd, che nelle città si presentano divisi e con candidati diversi più o meno ovunque. Magari al ballottaggio cercheranno di allearsi, ma non è detto, perché su queste scelte incidono anche fattori locali, come la presenza di liste civiche e le gelosie e rivalità sul territorio. Senza contare lo spettro dell’astensionismo, vista anche la permanente paura del Covid in luoghi chiusi.
Peraltro, su base nazionale, la competizione tra Enrico Letta e Giuseppe Conte è apertissima e ben nota. Il primo non perde occasione per ribadire la sua lealtà a Mario Draghi, mentre Giuseppi cerca di distinguersi da Palazzo Chigi per sottolineare che non tutto ciò che è stato fatto prima di Draghi dev’essere buttato via. Se, come alcuni sondaggi anticipano, i dem dovessero risultare il primo partito alle elezioni di domenica e lunedì, non sarà stato tanto per merito di Letta bensì per demerito di Matteo Salvini e della Lega, che negli ultimi mesi ha depauperato molto del suo patrimonio elettorale, scendendo sotto il Partito democratico e probabilmente anche sotto Fratelli d’Italia. Perfino a Milano si parla di possibile sorpasso della Meloni su Salvini, il che aprirebbe un vero e proprio processo al Capitano all’interno del Carroccio.
Sempre in tema di divisioni interne, tra i vertici pentastellati regna una calma apparente. Luigi Di Maio non vede l’ora che arrivi lunedì, quando si capirà che ai ballottaggi di Roma e Torino, città attualmente governate dal Movimento Cinque Stelle, arriveranno i candidati di centrodestra e del Pd, non quelli grillini. Avrà buon gioco nell’attribuire al rivale Giuseppe Conte il calo di consensi e nel continuare a farlo cuocere a fuoco lento, prima di sfilargli quello che resta delle truppe pentastellate. Conte, invece, spera nella popolarità personale, peraltro confermata da recenti rilevazioni, e punta a rimanere a galla fino alle prossime politiche per poi negoziare con gli alleati della sinistra la sua possibile premiership.
Sul versante del centrodestra, invece, la rivalità tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni potrebbe rivelarsi distruttiva per entrambi e consentire agli avversari di rigenerarsi. Anche perché il redivivo Silvio Berlusconi, nelle interviste rilasciate nelle ultime ore, ha liquidato i leader dei due partiti alleati di Forza Italia come “non all’altezza” di andare a Palazzo Chigi in caso di vittoria nelle urne. Con ciò confermando, indirettamente, che il centrodestra ha bisogno di un nuovo leader oppure che il centrodestra è destinato a sfasciarsi, visto che al centro le manovre per creare una vasta area a metà strada tra sinistra e destra sono in corso e vedono tra i più attivi i forzisti e gli ex forzisti come il governatore ligure Giovanni Toti.
Ecco perché le elezioni amministrative rappresentano, in realtà, al di là dei risvolti locali, un primo banco di prova per la tenuta delle due coalizioni, entrambe spaccate e in cerca di un nuovo collante.
Ormai è chiara una cosa: se le prossime elezioni politiche, quasi sicuramente a scadenza naturale nel 2023, dovessero svolgersi con il sistema maggioritario, le coalizioni dovranno ristrutturarsi, sulla base di diversi equilibri rispetto a quelli attuali, ma resteranno in piedi. Viceversa, in caso di svolta proporzionale, ogni partito cercherà di massimizzare il suo consenso e di negoziare, il giorno dopo il voto, l’eventuale ingresso in un governo composito come quello attuale, che a quel punto sarebbe chiamato a proseguire l’opera di rilancio dell’economia dopo il Covid, con inevitabile frantumazione degli attuali schieramenti. Le prove generali di tali manovre potrebbero essere le trattative per eleggere il successore di Sergio Mattarella.