Pillole abortive, il caso (capitale) alla Corte Suprema
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La Corte Suprema degli USA esaminerà la decisione con cui una Corte d’Appello ha chiesto di restringere le maglie dell’aborto farmacologico, visti i suoi maggiori pericoli per le donne. Si tratta del caso più importante dalla sentenza Dobbs.
La battaglia tra pro vita e pro aborto giunge di nuovo davanti al massimo organo giudiziario degli Stati Uniti. La Corte Suprema, mercoledì 13 dicembre, ha infatti annunciato che esaminerà la decisione della Corte d’Appello per il Quinto Circuito, che ad agosto di quest’anno, nel caso Alleanza per la Medicina Ippocratica contro Food and Drug Administration, aveva emesso una sentenza volta a restringere l’accesso al mifepristone e al misoprostolo, le due pillole solitamente utilizzate per gli aborti farmacologici.
La prima, il mifepristone (anche noto come Ru486), è un antiprogestinico, che in pratica toglie al bambino nel grembo materno il nutrimento necessario, affamandolo. La seconda, il misoprostolo, è usato per provocare contrazioni uterine e quindi espellere il concepito.
In particolare, i tre giudici della Corte d’Appello avevano chiesto di ristabilire le limitazioni esistenti prima dell’ampia liberalizzazione del 2016 (sotto l’amministrazione Obama) e di annullare l’ulteriore liberalizzazione del 2021 (amministrazione Biden), con cui la Fda, l’agenzia del farmaco statunitense, aveva autorizzato la spedizione del mifepristone via posta, dietro una semplice prescrizione, ma senza più il requisito, già di suo minimo, della visita di persona.
Riguardo al 2016, i cambiamenti autorizzati dalla Fda includevano: l’innalzamento, da 49 a 70 giorni, dell’età gestazionale entro cui è consentito assumere il mifepristone; la possibilità che la prescrizione venga fatta da personale non medico; l’eliminazione dell’obbligo per i prescrittori di riportare gli effetti avversi non mortali (con l’ovvia conseguenza che da allora il numero ufficiale di effetti avversi legati agli aborti farmacologici, pur rimanendo considerevole, è di molto inferiore alla realtà); il cambiamento del dosaggio del mifepristone e del misoprostolo; la cancellazione del requisito di somministrare il misoprostolo e di fare la successiva visita di controllo in presenza di chi lo ha prescritto.
Con queste decisioni le tre toghe della Corte d’Appello avevano confermato una parte del verdetto di aprile 2023 del giudice di primo grado Matthew Kacsmaryk: verdetto la cui esecuzione era stata sospesa, sempre ad aprile, dalla Corte Suprema, in attesa che l’esame del caso proseguisse nelle corti inferiori.
Allo stesso tempo, con una maggioranza di 2-1, i giudici d’Appello avevano deciso di cassare la parte della sentenza in cui Kacsmaryk annullava l’approvazione del mifepristone data dalla Fda nel 2000, per una “probabile” prescrizione dei termini legali. Una motivazione, quest’ultima, che è quindi non sostanziale ma meramente formale, peraltro opinabile anche nella stessa forma: è stata infatti proprio la Fda a ritardare l’analisi giudiziaria della questione, facendo passare quasi 14 anni prima di rispondere alla prima petizione contro il via libera al mifepristone, petizione presentata già nel 2002 da Alliance Defending Freedom. In secondo grado era stata cassata anche la parte in cui il giudice di primo grado chiedeva la sospensione dell’accesso al mifepristone generico, liberalizzato nel 2019.
Ma al di là di ciò, la sentenza della Corte d’Appello (come già quella della Corte distrettuale) era stata impietosa nei confronti della Fda, sottolineando alcune delle principali contraddizioni della progressiva liberalizzazione dell’aborto farmacologico, parlando di «centinaia di migliaia» di donne incorse in gravi effetti avversi (che includono per esempio emorragie, infezioni, perdita di fertilità e, nei casi peggiori, decessi) e concludendo che l’agenzia del farmaco statunitense «ha mancato di considerare l’effetto cumulativo di rimuovere contemporaneamente diverse importanti misure di sicurezza. (…) E non è riuscita a raccogliere prove che dimostrassero affermativamente che il mifepristone potesse essere usato in sicurezza senza essere prescritto e dispensato di persona» (pag. 62 della sentenza del 16 agosto 2023).
L’entrata in vigore delle decisioni dei giudici d’Appello, come si chiariva nelle loro stesse conclusioni, era comunque sospesa (le pillole abortive continuano quindi a essere commercializzate come prima dell’inizio del caso giudiziario), alla luce dell’ordine di aprile della Corte Suprema e in attesa di un riesame della questione da parte della medesima.
Ora, appunto, la Corte Suprema ha accettato di rivedere la decisione d’Appello, come richiesto lo scorso settembre dal Dipartimento di Giustizia e da Danco Laboratories, l’azienda che distribuisce il Mifeprex. Al caso è assegnata un’ora per la discussione orale. Al contempo la Corte Suprema ha annunciato di aver respinto la revisione giudiziaria chiesta dall’Alleanza per la Medicina Ippocratica, che mirava a rivedere nel merito l’originaria approvazione (quella del 2000) del mifepristone da parte della Fda.
In buona sostanza, il giudizio dovrebbe riguardare l’ampia liberalizzazione del 2016 e il via libera all’aborto per telemedicina del 2021, ossia ciò che la Corte d’Appello ha chiesto di annullare. La Corte Suprema sarà d’accordo? Difficile prevederlo, anche se gli equilibri (tra giudici conservatori e liberal) sono ad oggi gli stessi di quelli che hanno condotto all’annullamento, un anno e mezzo fa, della Roe contro Wade. Di certo, è il caso più importante, da allora, in materia di aborto, visto che gli aborti farmacologici contano oggi negli USA per oltre la metà degli aborti totali. Se la Corte Suprema confermasse sostanzialmente il giudizio d’Appello, gli aborti potrebbero ridursi fino al 15%, secondo quanto stimato dal pro life Jim Harden, che gestisce nello Stato di New York la rete di centri di gravidanza CompassCare.
Secondo quanto riporta Axios, i giudici potrebbero ascoltare le argomentazioni delle due parti entro la primavera del 2024, con la possibilità che si giunga a una sentenza prima delle presidenziali.
Come ha commentato Erin Hawley di Alliance Defending Freedom (associazione che in questa causa rappresenta legalmente l’Alleanza per la Medicina Ippocratica e altri gruppi e medici pro vita): «Come ogni agenzia federale, la Fda deve spiegare razionalmente le sue decisioni. La sua eliminazione delle misure di sicurezza basate sul buonsenso – come la visita di un medico prima che alle donne vengano prescritti farmaci chimici per l’aborto – non riflette un giudizio scientifico ma piuttosto una decisione politica di promuovere un regime farmacologico pericoloso». Pericoloso certamente per i bambini nel grembo materno, che ne sono le prime, innocenti, vittime: a milioni. Ma pericoloso anche per le stesse madri: 32 le morti negli USA legate al mifepristone, secondo i dati ufficiali più aggiornati della Fda (al 31 dicembre 2022).
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