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STATI UNITI

Pillole abortive, la Corte Suprema toglie le restrizioni

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Con una decisione di 7-2 (contrari i giudici Alito e Thomas), la Corte Suprema degli Stati Uniti ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Biden, ripristinando l’accesso alle pillole abortive senza restrizioni. Ma la battaglia dei pro-vita americani continua nelle corti inferiori.

Vita e bioetica 22_04_2023

Le pillole abortive a base di mifepristone possono ancora essere vendute. Lo ha deciso ieri la Corte Suprema degli Stati Uniti, con un voto di 7-2. Contrari soltanto Samuel Alito e Clarence Thomas, i giudici che si confermano come i più sensibili rispetto al buonsenso giuridico e quindi al diritto naturale.

La decisione non è stata motivata. Ad ogni modo essa accoglie il ricorso dell’Amministrazione Biden e della Danco Laboratories (azienda che produce le pillole a base di mifepristone) che in due cause separate chiedevano il ripristino dello status quo precedente al 7 aprile, quando il giudice federale del Distretto Settentrionale del Texas, Matthew Kacsmaryk, aveva sospeso l’approvazione del mifepristone data dalla Food and Drug Administration nel 2000. Un ordine che valeva per tutti gli Stati Uniti, eccetto per 17 Stati (governati dai Democratici, tranne il Nevada e il Vermont) e per il Distretto di Columbia, che sempre il 7 aprile si erano visti accogliere la propria richiesta dal giudice Thomas Rice, il quale aveva ordinato alla Fda di mantenere lo status quo.

La sentenza della corte distrettuale texana era stata poi in parte bloccata (per una questione tecnica, peraltro controversa, relativa alla prescrizione dei termini legali) dalla Corte d’Appello del Quinto Circuito, che il 12 aprile aveva deciso di ripristinare la commercializzazione del mifepristone, sebbene con diverse restrizioni non gradite agli abortisti, come ad esempio il blocco alla distribuzione del mifepristone per posta e l’uso della pillola abortiva solo dopo tre visite di persona, da parte di un medico.

Dunque, la decisione della Corte Suprema ripristina in tutta la nazione le regole in vigore fino al 7 aprile, ma ciò non significa che la battaglia sul tema sia finita. Essa continua infatti nelle corti inferiori, come ha ricordato, parlando con Life News, Erik Baptist di Alliance Defending Freedom, il gruppo che rappresenta legalmente l’Alleanza per la Medicina Ippocratica che nel novembre 2022 ha introdotto la causa contro il regime di aborto chimico approvato e poi esteso scriteriatamente dalla Fda. «Come è prassi comune, la Corte Suprema ha deciso di mantenere lo status quo che esisteva prima della nostra causa mentre la nostra sfida all’approvazione illegale da parte della Fda dei farmaci abortivi chimici e alla sua rimozione delle necessarie salvaguardie per quei farmaci va avanti», ha detto Baptist.

Il membro dell’Alliance Defending Freedom ha quindi assicurato: «Il nostro caso, che cerca di mettere la salute delle donne al di sopra della politica, continua in modo spedito nei tribunali inferiori. La Fda deve rispondere dei danni che ha causato alla salute di innumerevoli donne e ragazze e allo stato di diritto, non avendo studiato quanto sia pericoloso il regime farmacologico per l’aborto chimico e rimuovendo illegalmente ogni significativa salvaguardia, perfino consentendo gli aborti ordinati via posta», cioè tramite appunto la crescente liberalizzazione della "telemedicina" pro aborto, che ne ha ulteriormente banalizzato la pratica, perpetuando la strage dei bambini nel grembo materno (prime e innocenti vittime di questa situazione) e al contempo accrescendo i rischi per le loro madri. Da qui l’auspicio di Baptist e degli altri pro life americani, i quali sperano che attraverso questa causa si giunga al riconoscimento delle gravi responsabilità della Fda, che negli anni - prima con l’approvazione nel 2000 e poi con la serie di estensioni tra il 2016 e l’inizio del 2023 - ha reso sempre più facile l’accesso alle pillole abortive. E lo ha fatto agendo non certo in base a criteri scientifici, bensì dietro pressioni politiche provenienti dal Partito Democratico e in ultima analisi dall’industria dell’aborto. Industria che spinge verso una più facile distribuzione delle pillole abortive (che ad oggi contano per oltre il 50% di tutti gli aborti negli Stati Uniti), anche per contrastare gli effetti dell’annullamento della sentenza Roe contro Wade e “scavalcare” così gli Stati che legittimamente vietano l’aborto.

In attesa di vedere come finirà, la condotta della Fda è stata già messa a nudo nella causa intentatale dall’Alleanza per la Medicina Ippocratica. Nella sua decisione del 7 aprile scorso, il giudice Kacsmaryk aveva particolarmente sottolineato la realtà degli effetti avversi conseguenti all’assunzione di mifepristone e misoprostolo (la seconda pillola prevista dalla procedura più comune per l’aborto chimico), ricordando quanto è presente nella letteratura scientifica: «Prove convincenti suggeriscono che le statistiche fornite dalla Fda sugli effetti avversi dell’aborto chimico sottostimano l’impatto negativo che il regime di aborto chimico ha su donne e ragazze. Quando le donne cercano cure di emergenza dopo aver ricevuto le pillole abortive chimiche, l’abortista che ha prescritto i farmaci di solito non è colui che provvede a gestire le complicazioni della madre. Di conseguenza - aggiungeva il giudice federale - il medico curante potrebbe non sapere che l’evento avverso è dovuto al mifepristone. Gli studi supportano questa conclusione rilevando che oltre il 60% delle visite al pronto soccorso di donne e ragazze a seguito di aborti chimici vengono erroneamente etichettate come “aborti spontanei” piuttosto che come effetti avversi del mifepristone». E questo è solo uno dei motivi per cui i dati della Fda sono sottostimati e fuorvianti.

Anche la Corte d’Appello del Quinto Circuito aveva chiaramente criticato l’approccio della Fda di mettere la testa sotto la sabbia rispetto agli effetti avversi e aveva quindi ripristinato l’obbligo di riferire tutti gli effetti avversi, per le donne, dell’aborto chimico (che includono gravi emorragie e infezioni), dunque non solo le morti materne. Statistica, quest’ultima, che secondo il conteggio ufficiale più aggiornato della stessa Fda (al 30 giugno 2022) include «28 segnalazioni di morti di pazienti associate al mifepristone, da quando il prodotto è stato approvato nel settembre 2000». Il che ricorda come l’aborto, da un lato, uccide bambini innocenti e, dall’altro, non è nemmeno “sicuro” - come viene propagandato - per le loro madri.