Per Starmer l'immigrato buono è quello woke
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Il premier britannico un patto con Macron per fermare l'immigrazione incontrollata che loro stessi hanno favorito. E mentre annuncia controlli più severi, il governo di Sua Maestà offre l'accesso agevolato ai visti per i professionisti dell'inclusione.

Sir Keir Starmer stringe la mano a Emmanuel Macron con la solennità di un annuncio storico: Regno Unito e Francia uniti per fermare l’ondata di migranti irregolari attraverso la Manica. Ma basta uno sguardo alla scena – la stretta di mano, i sorrisi diplomatici, il contesto – per essere assaliti da un déjà vu: era il marzo 2023 quando, con pose quasi identiche, Macron siglava un’intesa simile con Rishi Sunak. Il piano s’è poi dissolto come molti altri sogni infranti sull’immigrazione dei Conservatori, da Cameron in poi.
Il programma ribattezzato «one-in-one-out» prevede che la Gran Bretagna rimpatri in Francia gli immigrati irregolari che hanno attraversato la Manica. Starmer, da parte sua, accetterà gli immigrati che devono ricongiungersi ai familiari già residenti nel Regno Unito. Il governo inglese fa sapere che si tratta di un progetto pilota, ma «servirà a dimostrare», come ha dichiarato una fonte del governo britannico, rimasta anonima, ha dichiarato a The Sun, «che se si paga il viaggio su una barca, ci si potrebbe ritrovare rapidamente di nuovo in Francia». I numeri, però, mostrano la portata della sfida: solo nei primi sei mesi del 2025, 21.000 migranti hanno attraversato illegalmente la Manica — una media di 843 a settimana, ma si prevede un ritmo di rimpatri decisamente più contenuto: circa 50 persone a settimana.
E Starmer non esita a mostrarsi ultrà della lotta all’immigrazione. Su X marca il territorio, «i cittadini britannici hanno tutto il diritto di chiedersi perché i loro soldi vengano spesi per gli alberghi per richiedenti asilo invece che per i servizi pubblici. Ecco perché ho concordato con la Francia un progetto pilota innovativo. Per la prima volta, chi tenterà di attraversare illegalmente il confine si ritroverà al punto di partenza». Un frase che ha suscitato un certo imbarazzo sulla stampa tifosa del robusto governo di sinistra, che di fatto promuove e rivendica un blocco navale di italica memoria, ribadendo che «smonterà il modello di business delle gang».
E così, dopo aver celebrato per anni “le bellezze dell’immigrazione”, Keir Starmer dimostra come la realtà di governo imponga scelte pragmatiche. Eppure gli inglesi hanno buona memoria, e ricordano bene quando, da giovane avvocato scriveva che tutte le leggi sull’immigrazione sono razziste. Da deputato appena eletto tra le fila laburiste, bollava come “razzismo quotidiano” la Right to Rent – la norma inserita nell’Immigration Act 2014 e rafforzata nel 2016, che obbliga i proprietari di immobili a verificare lo status legale dei propri inquilini.
Quando si candidò alla guida del partito, invocava un «sistema di immigrazione basato su compassione e dignità», e prometteva di difendere la libera circolazione. Oggi, è la stessa persona che da premier afferma che «se la Gran Bretagna non riduce l’immigrazione, diventerà un’isola di stranieri». Parole che hanno fatto non poco rumore: circa 100 organizzazioni per i diritti degli immigrati hanno firmato una lettera di protesta al Governo, mettendo in guardia dalle «profonde conseguenze per le persone che serviamo».
L’esecutivo inglese ha anche annunciato che rivedrà daccapo i costi per il mantenimento dei richiedenti asilo. Un rapporto del National Audit Office rivela che, nei prossimi dieci anni, il costo dell’alloggio per i richiedenti asilo raggiungerà 15,3 miliardi di sterline — quasi tre volte i 4,5 miliardi inizialmente messi a bilancio. Il governo ha così annunciato un piano per ridurre sensibilmente l’utilizzo degli hotel e passare a soluzioni alternative più economiche — come case dismesse, ex strutture sanitarie o campus universitari — con l’obiettivo di tagliare drasticamente la spesa. Visto che l’emergenza contabile s’è già fatta anche politica.
E non è un caso che le dichiarazioni arrivino a ridosso della prima candelina del governo Starmer che festeggia il record di consensi negativi e Reform Uk in testa per popolarità. Con la stampa che lamenta da mesi gli arrivi di clandestini in aumento attraverso la Manica, la sicurezza in crisi e gli inglesi sempre più stanchi.
Nel frattempo, Parigi ha annunciato di aver intensificato i controlli sulle coste, ma senza entrare nei particolari. Una mossa attesa da Londra, che nel 2022 aveva promesso oltre 550 milioni di euro in tre anni proprio per rafforzare le operazioni di sorveglianza.
Macron ha poi promesso di esser pronto anche a cambiare la legge per permettere alle forze dell’ordine di spingersi oltre i 300 metri attuali dalla riva per intercettare le barche di clandestini.
Rimane quantomeno paradossale che proprio i due Paesi europei più colpiti dagli effetti dell’immigrazione incontrollata — dai costi sociali all’ombra lunga del terrorismo islamista — si presentino oggi come gli architetti della soluzione dopo aver creato parte del problema. E alle prese con bilanci pubblici sotto pressione proprio per far fronte all’accoglienza, indossano i panni dei moralizzatori. I numeri parlano chiaro. In Francia le domande d’asilo hanno toccato un record storico: 142.649 solo nell’ultimo anno. Un rapporto governativo ha riconosciuto che, alla fine del 2023, erano in vigore quattro milioni di permessi di soggiorno, contro i 2,7 milioni del 2013. Un aumento del 50% in dieci anni.
Dicevamo, se resta paradossale che i due Paesi si mostrino i paladini dell’immigrazione, è ancora il Regno Unito a mostrare l’ennesimo paradosso. Yvette Cooper, ministro degli Interni, ha promesso un sistema di immigrazione più severo «legato alle competenze e alla formazione».
Il 2 luglio, la Cooper ha così richiesto una revisione ufficiale della lista delle professioni carenti, per garantire che solo i ruoli davvero indispensabili — quelli considerati “cruciali” per realizzare la strategia industriale del Regno Unito — continuino a beneficiare dell’accesso agevolato ai visti per lavoratori qualificati.
Il Telegraph è entrato in possesso della lista delle professioni di cui il Paese è maggiormente carente. A questo punto, il lettore potrebbe legittimamente supporre che la perfida Albione sia in cerca di medici, ingegneri, infermieri o operai specializzati. E invece no. Tra le figure che avranno accesso agevolato ai visti spiccano i “manager per l’uguaglianza e la diversità” — professionisti incaricati di implementare nelle aziende quelle politiche woke che, paradossalmente, stanno venendo smantellate proprio nei quartieri alti del capitalismo americano. Quote etniche, bilanci di genere, rappresentanza queer: un’agenda sociale travestita da strategia industriale.
E così, mentre il governo ostenta rigore sull’immigrazione e promette fermezza, finisce poi per partorire trovate a tratti grottesche. La professione di “esperto in diversità” è stata etichettata come una vera e propria “piaga” per il settore pubblico: solo il Civil Service ha speso 27 milioni di sterline in un solo anno per retribuire questi funzionari, mentre il Servizio Sanitario Nazionale ne investe stabilmente oltre 13 milioni l’anno per stipendi nella stessa area.
Viene allora da chiedersi: perché, negli ultimi vent’anni, il Regno Unito ha importato milioni di lavoratori stranieri? La risposta, a quanto pare, risiede in una curiosa emergenza nazionale: una drammatica “carenza di competenze” nel mondo woke.
E non finisce qui. Tra le professioni agevolate dal governo britannico spuntano anche poeti e blogger. Ora, può darsi pure che il Paese non produca più i poeti d’un tempo, ma sarebbe sorprendente scoprire che folle di datori di lavoro abbiano supplicato Yvette Cooper di autorizzare l’ingresso di nuovi poeti stranieri ed esperti in diversità ed inclusione. Ma, soprattutto sta forse suggerendo il Ministero dell’Interno che gli immigrati nel Regno Unito non sono abbastanza allineati ai canoni woke? Anche quelli islamici?
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