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ARGENTINA

Per Milei, le Falklands (Malvinas) possono attendere

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Il presidente argentino Javier Milei cambia l'approccio sulle isole Falklands (Malvinas). Dopo 42 anni dal conflitto col Regno Unito, preferisce una strategia pacifica e di lungo periodo.

Esteri 09_05_2024
Javier Milei (al centro) al memoriale delle Falklands per l'anniversario (La Presse)

Il presidente argentino Javier Milei spiazza tutti e ammette che le Falklands sono britanniche. O meglio: sotto il controllo britannico. Sembra una dichiarazione lapalissiana, considerando lo status delle isole contese, nel sud estremo dell’Atlantico. Ma è un segno di forte discontinuità con tutti i precedenti capi di Stato argentini, compreso l’ultimo, Alberto Fernandez, che le definiva “terra rubata”. Per gli argentini, infatti, le Falklands sono le Malvinas e la loro riconquista è sempre stata una promessa, più o meno pubblicizzata, di tutti i presidenti che si sono alternati alla Casa Rosada.

Le isole sono state al centro di un violento conflitto 42 anni fa, quando l’Argentina era ancora una dittatura militare e la giunta di Leopoldo Galtieri, ormai alla frutta, decise di riattizzare il sentimento nazionalista occupando le Falklands (Malvinas) con un colpo di mano il 2 aprile 1982. La scommessa era quella di presentare a Londra il fatto compiuto, la giunta argentina scommise che il governo Thatcher non avrebbe mai reagito inviando un corpo di spedizione dall’altra parte del mondo per salvare un piccolo insediamento di sudditi britannici. Invece Margaret Thatcher, che si rivelò realmente degna del suo nomignolo di “lady di ferro”, mandò la flotta e un corpo di spedizione. Entro tre mesi e al prezzo di 255 morti (infliggendone più del doppio agli argentini) gli inglesi tornarono in possesso dell’arcipelago.

La guerra provocò il tracollo della dittatura militare argentina, ma da allora contribuì a consolidare il mito della terra “rubata” (irredenta, avremmo detto nell’Italia risorgimentale). E spezzare questa retorica, per Milei, non è una scommessa facile. Chi lo conosce non ne è affatto sorpreso. Fra le mille storie che circolano sulla sua infanzia, infatti, c’è anche quella sulla lite violentissima con suo padre, proprio sulla guerra delle Falklands. Appena occupato l’arcipelago, il padre era esultante, ma il figlio, allora appena 12enne, gelò l’entusiasmo familiare con la frase: “non c’è niente da festeggiare, adesso gli inglesi arriveranno e ci faranno a pezzi”. Il padre lo picchiò, a quanto si dice, così brutalmente da provocargli danni permanenti. Da allora, Milei non ha mai visto di buon occhio il nazionalismo argentino. E la sua seconda fede liberale lo ha portato all’ammirazione delle politiche economiche di Margaret Thatcher, dunque del nemico ufficiale dell’Argentina di allora.

Nell’intervista rilasciata alla BBC lunedì 6 maggio, nello studio di Milei erano infatti visibili sia libri di Margaret Thatcher che suoi ricordi. «Non è intelligente criticare qualcuno per la sua razza o nazionalità – ha detto a proposito della sua ammirazione della lady di ferro – le sue idee erano brillanti». L’approccio del presidente non è nazionalista, ma neppure disfattista. Non ha rinunciato alla sovranità argentina su isole che comunque chiama Malvinas e lo ha ribadito nel suo discorso del 2 aprile scorso, anniversario dell’occupazione. Però ritiene che sia inutile reclamarle minacciando l’uso della forza. « Non rinunceremo alla nostra sovranità, né cercheremo di entrare in conflitto con il Regno Unito». Ha contestato quei politici, fra cui il suo predecessore Alberto Fernandez che «si battono il petto per reclamare la sovranità sulle isole, ma senza ottenere alcun risultato».

Per Milei, le isole potrebbero essere annesse all’Argentina solo dopo un processo negoziale di lungo periodo e cita ad esempio la restituzione di Hong Kong alla Cina nel 1997. Nel frattempo non ha considerato come una provocazione la visita del ministro degli Esteri britannico David Cameron alle isole: «Se quel territorio è ora in mani britanniche, ha diritto di farlo. Non lo intendo come una provocazione».

Proprio mentre cerca la pace con i governi occidentali, Milei sta invece rompendo con gli Stati più socialisti dell’America latina. Dopo le liti al calor bianco con Lula Ignacio da Silva in Brasile e con Gustavo Petro in Colombia, adesso è in corso un duro braccio di ferro con Nicolas Maduro, il presidente (ormai dittatore) del Venezuela. È curiosamente Maduro, prima ancora che i suoi oppositori argentini, ad aver rimproverato a Milei di voler rinunciare alle Malvinas.

La lite fra i due presidenti è nata dall’eliminazione del canale televisivo venezuelano Telesur dalla piattaforma digitale pubblica argentina, ma nelle sue dichiarazioni Maduro ha anche definito Milei un «bastardo che vende la sua patria». Proprio riferendosi all’arcipelago: «Milei vuole trasformare il suo Paese in una colonia (...) è un burattino dell'imperialismo e sta regalando le Malvinas dichiarando che sono britanniche». E Maduro ha concluso la sua arringa con una maledizione in cui scomoda tutto il pantheon peronista: «Che gli spiriti di San Martin, Peron, Evita e Maradona ti appaiano di notte e non ti lascino dormire».

Non stupisce che sia un dittatore di estrema sinistra a richiamare all’ordine un presidente su un programma dell’estrema destra, considerando che fu appunto la giunta militare Galtieri a invadere le Falklands. Curioso, ma non stupisce, perché la destra peronista e la sinistra bolivariana e castrista sono accomunate dal vittimismo storico. Entrambe le estreme leggono la storia dell’America latina come un susseguirsi di soprusi da parte degli odiati yankee, gli americani del Nord e, in questo caso, anche di una potenza coloniale europea. È una visione della storia che ha sempre motivato sia una politica economica fatta di nazionalizzazioni e redistribuzione delle ricchezze, sia, in politica estera, di vicinanza agli antagonisti del blocco occidentale. Milei è il contrario: privatizza in patria e all’estero si riavvicina agli Usa e alla Nato (di cui vuol diventare partner esterno). Perché non si sente vittima e vuole riportare l’Argentina ai fasti pre-Peron.