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CAMPAGNE ELETTORALI

Per il voto, Renzi punta ai giovani e Silvio ai vecchi.

In vista delle prossime elezioni, che forse si terranno il 4 marzo, Matteo Renzi corteggia i giovani e Silvio Berlusconi gli anziani. Una spartizione per fasce d'età che forse è concordata in vista di (sempre negate) larghe intese contro il Movimento 5 Stelle. In mezzo, gli alfaniani sono spaccati e arrancano.

Politica 26_11_2017
Silvio Berlusconi

Week-end intenso per la politica italiana, con tante kermesse in varie parti d’Italia. I partiti iniziano a scaldare i motori per la campagna elettorale, che in verità sembra partita già da molto tempo e appare destinata a entrare nel vivo all’inizio del nuovo anno. La data delle elezioni è ancora incerta. Quella del 4 marzo resta la più probabile e la più caldeggiata dal Quirinale, che teme un logorìo delle istituzioni e una degenerazione del clima dopo l’approvazione della legge di bilancio, quando tutte le forze politiche, di governo e di opposizione, si sentiranno libere di dedicarsi esclusivamente alla composizione delle liste e alle alleanze. Meglio sciogliere le Camere ai primi di gennaio, è il pensiero di Mattarella, anche per avere il cosiddetto “piano B” sul modello spagnolo. Ove dalle urne uscisse un quadro caotico e all’insegna dell’ingovernabilità, ci sarebbero i tempi tecnici per riportare il Paese nuovamente alle urne entro luglio, con alleanze diverse o addirittura con una legge elettorale nuova, visto che sulla funzionalità del Rosatellum continua a pesare più di un’incognita. Di questo si è parlato nelle diverse riunioni di partito delle ultime ore.

Matteo Renzi, che pure un anno fa, di questi tempi, annunciava di voler abbandonare la politica se avesse perso il referendum del 4 dicembre, ora è più in pista che mai e ha nuovamente riconvocato il popolo della Leopolda, composto in prevalenza dai millennials, coloro che sono nati negli anni Novanta e che attendono dall’ex premier un’agenda radicale capace di rompere gli schemi. E lui ci prova a reindossare gli abiti del rottamatore, sia pur con un’immagine assai appannata a causa delle ultime cocenti sconfitte elettorali e della sua progressiva perdita di credibilità presso l’opinione pubblica. Difficile conciliare il ruolo di innovatore con la disperazione di doversi aggrappare a Piero Fassino, Giuliano Pisapia, Romano Prodi e tutti quelli interessati a un progetto di riaggregazione della sinistra che gli consenta di non arrivare terzo dopo il centrodestra e il Movimento Cinque Stelle. A pensar male si fa peccato ma a volte ci si azzecca, amava ripetere il compianto Giulio Andreotti.

Come non notare che Renzi sembra concentrato sull’elettorato giovanile, mentre il suo (apparente?) antagonista Silvio Berlusconi si rivolge sempre più insistentemente ai pensionati promettendo loro il ritocco a mille euro al mese delle pensioni minime? Forse tra i due c’è un accordo per dividersi l’elettorato in zone d’influenza generazionali e tagliare le gambe alla penetrazione sociale dei Cinque Stelle, per poi riunire le forze in un governo di larghe intese. Fantapolitica? Sembrerebbe di si, ascoltando le parole di Maria Stella Gelmini e degli altri esponenti di Forza Italia che nel week-end hanno radunato le truppe azzurre a Milano per una tre giorni di confronto sul programma, una sorta di “ControLeopolda”, e che hanno respinto con forza l’ipotesi di un governo di larghe intese dopo il voto.

Ma al di là dei proclami ufficiali, mirati a fare il pieno di voti tra indecisi e disillusi, rimane per loro l’amara constatazione dei numeri. Anche l’ultimo sondaggio Swg dà il centrosinistra unito (ma allo stato non lo è) al 32%, contro il 33,9% del centrodestra. Quand’anche Renzi riuscisse a convincere Campo Progressista di Giuliano Pisapia e Alternativa popolare di Alfano, lusingando l’ex sindaco di Milano con leggi tipo il biotestamento e lo ius soli e l’attuale Ministro degli esteri con il bonus bebè, arriverebbe comunque dietro lo schieramento berlusconiano e, con ogni probabilità, anche dietro i Cinque Stelle, che sembrano attestarsi attorno al 30% ma appaiono in ascesa, mentre il Pd sembra in calo progressivo. Un sostanziale pareggio tra i tre poli, che rende impossibile qualsiasi maggioranza.

Peraltro la consistenza degli alfaniani, qualora, fra una settimana, decidessero di allearsi con il Pd, è tutta da verificare. Nei sondaggi veleggiano poco sotto il 3%, ma solo se uniti, mentre se l’ala lombarda (Albertini, Formigoni, Cattaneo o addirittura il capogruppo alla Camera, Maurizio Lupi) dovesse decidere di rientrare nell’alveo del centrodestra, seguita da spezzoni di partito in altre regioni, il rischio concreto di non superare la soglia di sbarramento si materializzerebbe in tutta la sua crudeltà. Quanti seguirebbero Alfano e il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, in una lista con Pierferdinando Casini, Ciriaco e Giuseppe De Mita e qualche altro cespuglio centrista, nell’ambito del perimetro del centrosinistra? Il Ministro degli esteri ha fatto sapere che correrà solo nel proporzionale, capeggiando la sua lista in Sicilia, e quindi il suo rientro in Parlamento avverrebbe solo se il suo partito superasse la soglia del 3%.

Nel centrodestra, invece, la cosiddetta “quarta gamba” centrista potrebbe inglobare l’Udc di Cesa, la Democrazia Cristiana di Rotondi, il partito di Raffaele Fitto e altre anime disperse di un centro alternativo alla sinistra. E avrebbe maggiori probabilità di riuscire a superare lo sbarramento. In una palude come quella che si profila dopo il prossimo voto politico, il potere di interdizione di questi due “centrini”, uno a destra e l’altro a sinistra, potrebbe non essere indifferente. Paradossi di un Paese che politicamente proprio non vuole svoltare.