Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Pietro Canisio a cura di Ermes Dovico
MEDIO ORIENTE

Pasqua di guerra in Terra Santa. Pizzaballa: "Tempo di ricominciare"

Ascolta la versione audio dell'articolo

Continua la guerra a Gaza, dove si muore anche di fame. Proteste in Israele contro Netanyahu. Guerra in Siria e Libano. Per il patriarca Pizzaballa: «È tempo di ricominciare daccapo. Ci sarà bisogno di una risurrezione».

Esteri 02_04_2024
Messa di Pasqua nel Santo Sepolcro (La Presse)

«Sono vicino a tutti voi, nei vostri vari riti, cari fedeli cattolici sparsi su tutto il territorio della Terra Santa: in particolare a quanti, in questi frangenti, stanno patendo più dolorosamente il dramma assurdo della guerra, ai bambini cui viene negato il futuro, a quanti sono nel pianto e nel dolore, a quanti provano angoscia e smarrimento». Sono le parole che papa Francesco ha inviato, attraverso una lettera, ai cattolici di Terra Santa. Ed aggiunge: «La Pasqua, cuore della nostra fede, è ancora più significativa per voi che la celebrate nei Luoghi in cui il Signore è vissuto, morto e risorto: non solo la storia, ma neanche la geografia della salvezza esisterebbe senza la Terra che voi abitate da secoli, dove volete restare e dov’è bene che possiate restare. Grazie per la vostra testimonianza di fede, grazie per la carità che c’è tra di voi, grazie perché sapete sperare contro ogni speranza».

In Terra Santa si è celebrata una Pasqua di guerra; di una guerra assurda che sta portando alla completa distruzione della Striscia di Gaza. Un conflitto che sta alimentando indifferenza, ostilità, odio e disprezzo dell'uno verso l'altro. Una guerra illogica e sproporzionata quella che sta conducendo l'esercito israeliano sotto le disposizioni del governo guidato da Benjamin Netanyahu, dopo l’orribile attacco compiuto dai miliziani di Hamas. Era il 7 ottobre dello scorso anno, quando gli uomini del gruppo terroristico palestinese, con il supporto di altre organizzazioni, uccisero 1200 israeliani tra civili e militari, e rapito circa 250 persone, condotte poi a forza in territorio di Gaza. Ma dopo 179 giorni di guerra, il bilancio dei morti, tra i palestinesi, è di 32mila 623 unità, uomini, donne e bambini, e di oltre 75mila feriti, molti dei quali in gravissime condizioni. Una strage sproporzionata di vittime innocenti, gente che non aveva imbracciato nessun’arma, ma sterminata come effetto collaterale delle ostilità. Ora, sventuratamente, c'è anche lo spettro reale della carestia. «Si ponga rimedio alla disperata situazione umanitaria aprendo all’arrivo degli aiuti. Non si continui ad alimentare violenza e odio, ma si avvii a soluzione la questione palestinese, attraverso un dialogo sincero e perseverante tra le parti», ha detto papa Francesco.

Speranza, pace, verità e perdono. Purtroppo, in tutta la Terra Santa, predomina solamente la sfiducia. Questa guerra, lunga e snervante, che ormai si trascina da molti mesi e che sembra non terminare mai, ha segnato la vita di tutti: ebrei e palestinesi. Vani sono stati i tanti sforzi per far cessare le ostilità, superflui sono stati gli appelli al cessate-il-fuoco e i tentativi di risolvere il conflitto, non con le armi, ma avviando, invece, un dialogo. Entrambi i popoli, allo stremo, si sentono traditi dai loro rappresentanti.

L'economia israeliana è in forte crisi e il Pil ha raggiunto i minimi storici. Domenica scorsa, giorno di Pasqua, è iniziata quella che sarà, probabilmente, la più grande manifestazione di massa che mette sotto accusa il governo di Benjamin Netanyahu. In centomila, appartenenti a diversi partiti politici, per quattro giorni, chiederanno le sue dimissioni. Ci saranno i familiari degli ostaggi, gli sfollati dei kibbutz del sud e del nord, i riservisti ostili all'esenzione alla leva per gli ultraortodossi e il fronte pacifista. Tutti con un solo obiettivo: convocare le elezioni per eleggere una nuova rappresentanza e sostituire il governo in carica. Ma Netanyahu resiste. Vuole proseguire la sua occupazione di Gaza. Ma i malumori serpeggiano anche tra i palestinesi. Sia a Gaza che in Cisgiordania, Hamas è consapevole che la protesta sta montando contro il suo movimento e ha inviato un messaggio ai palestinesi chiedendo scusa per quanto sta accadendo, e per le sofferenze causate dalla guerra; ma, insieme, ha ribadito la volontà di continuare il conflitto per ottenere "la vittoria e la libertà". È chiaro che per volontà dei contendenti sarà una guerra ancora molto lunga.

«È tempo di ricominciare daccapo - sottolinea Pizzaballa -. Ci sarà bisogno di una risurrezione, di una nuova vita. Nelle relazioni personali, nel dialogo interreligioso, nella vita politica, nella vita sociale, non potremo tornare a vivere come se nulla fosse accaduto. Ci sarà bisogno di un nuovo spirito, di un nuovo slancio, di una nuova visione, dove nessuno sia escluso».

A nulla sono serviti gli incontri, ripresi domenica scorsa, tra la delegazione israeliana e quella di Hamas, con la mediazione di Stati Uniti, Egitto e Qatar. Se da una parte Biden alza la voce e cerca di frenare Netanyahu nell’intento di invadere Rafah, dall'altra, però, dà il via libera al trasferimento ad Israele di oltre 2mila bombe e venticinque F35. Decisione questa contestata dalle varie cancellerie europee. Come si potrà mai raggiungere la pace se si alimenta la scorta delle armi?

Ma nella Striscia di Gaza non si muore soltanto a causa della guerra, ma anche per fame. L'esercito israeliano impedisce e ostacola, con rigidi controlli, l'entrata dei mezzi con gli aiuti umanitari. I militari ignorano, ormai, qualsiasi regola d'ingaggio. Ne è un esempio quello che è accaduto mercoledì della scorsa settimana. Due uomini palestinesi, issando una bandiera bianca, camminavano lungo la spiaggia di Gaza. Erano alla ricerca di cibo che era stato lanciato dagli aerei umanitari. Come è consuetudine, vicino alla linea del campo militare, i due palestinesi salutano i soldati, sempre tenendo ben visibile la bandiera bianca. Poco dopo, però, uno alla volta si accasciano per terra. Uccisi dai soliti cecchini. Immediatamente, si muove una ruspa militare che raccoglie i due cadaveri e li seppellisce sotto la sabbia e i detriti.  In un video, che gira sui social, si vede chiaramente quanto accaduto. Perché tanto odio? Perché tanto disprezzo?

In un tale clima, i cristiani della Terra Santa hanno voluto, comunque, celebrare la morte e risurrezione di Cristo. Al Santo Sepolcro, i cristiani gerosolomitani e quei pochi provenienti dalla Cisgiordania che hanno ottenuto il permesso per entrare a Gerusalemme, oltre ai rari pellegrini, si sono stretti attorno al patriarca. In Pizzaballa trovano il loro punto di riferimento, il buon pastore. «In questo tempo così drammatico, segnato da così tanta violenza nella nostra Terra e in tutto il mondo, siamo ancora capaci di accogliere l’annuncio di vita, di amore e di luce che la Pasqua porta con sé?», si è chiesto il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini.

«La morte e la vita si sono combattute, e il Signore della vita, che era morto, ora regna vivo». Mentre pronuncia queste parole della liturgia, Pizzaballa si sofferma un attimo. Volge lo sguardo verso l'Edicola del Sepolcro. «Nel duello tra notte e giorno, tra morte e vita, noi vogliamo essere coloro che scelgono la vita - prosegue -. Vogliamo, cioè, essere coloro che hanno il coraggio di scommettere sulla pace, di continuare ad avere fiducia nel prossimo, a non temere i tradimenti, essere capaci, senza stancarsi, di ricominciare ogni volta daccapo a costruire relazioni di fraternità, perché mossi, non dall’attesa di successo, ma dal desiderio di bene e di vita che il Risorto ha immesso nei nostri cuori».

Nel corso dell'omelia del giorno di Pasqua, il patriarca osserva i fedeli che assistono alla messa. Scruta il volto dei suoi sacerdoti impegnati in prima linea. Sono tristi. Anche i bambini hanno lo sguardo spento. Ma Pizzaballa, da buon pastore, li incoraggia: «La Pasqua di Cristo che oggi celebriamo nel mistero, dovremo celebrarla anche nella vita di questa nostra Chiesa e di tutta la Terra Santa! Avremo, cioè, bisogno di scelte audaci, capaci di rispondere alle attese di tutti».

Ma i venti di guerra continuano a soffiare anche in altre direzioni. Un drone iraniano, nella notte tra domenica e lunedì, si è schiantato sulla base militare navale di Eilat, città israeliana che si affaccia sul mar Rosso, provocando numerosi danni alle strutture. La risposta di Israele non si è fatta attendere: un attacco mirato contro un edificio dell’ambasciata iraniana di Damasco ha provocato morti e feriti. È rimasto ucciso anche un alto ufficiali dei Guardiani della Rivoluzione, Mohammad Reza Zahedi, esponente di spicco delle Forze Qods in Siria e Libano. L'ambasciatore iraniano a Damasco, Hossein Akbari, ha reagito affermando che la risposta di Teheran sarà dura. Tensione alta anche al confine con il Libano, dove gli scontri sono sempre in aumento. L'esercito israeliano, nel frattempo, ha aggiornato la lista dei soldati morti: dall'inizio dell'operazione di terra sono 256.