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DOPO LE POLEMICHE

Papa e Ucraina, le ragioni dell'incomprensione

Governo ucraino infuriato con il Papa per le parole sull'attentato terroristico contro Darya Dugina: un malumore che viene da lontano e che è figlio di una incomprensione, alimentata anche da Roma, su quale sia il ruolo della Chiesa nelle dispute mondane.

Editoriali 27_08_2022

«Penso a quella povera ragazza volata in aria per una bomba che era sotto il sedile della macchina a Mosca. Gli innocenti pagano la guerra, gli innocenti! Pensiamo a questa realtà e diciamoci l’un l’altro: la guerra è una pazzia». Questa frase di papa Francesco, al culmine di un appello per la pace «per l’amato popolo ucraino che da sei mesi patisce l’orrore della guerra» nell’udienza generale del 24 agosto, ha scatenato la reazione furiosa dell’Ucraina, solo parzialmente ammorbidita ieri.

Il nunzio apostolico in Ucraina, monsignor Visvaldas Kulbokas, è stato convocato dal ministro degli Esteri di Kiev, e anche l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andrii Yurash, non si è trattenuto dal dichiarare «deludenti» le parole di papa Francesco, perché mettono sullo stesso piano «aggressore e vittima, stupratore e stuprato». Le parole di ieri dell’ambasciata ucraina, che ha ammorbidito i toni sottolineando l’importanza delle relazioni tra Ucraina e Santa Sede, non cancellano la profondità della nuova incomprensione con papa Francesco, tanto più che anche dalla Polonia sono arrivate reazioni scomposte, dai media e da alcuni politici, fino all’insulto.

A far scattare la reazione è quel moto di pietà per Darya Dugina, uccisa il 20 agosto da un attentato terroristico, definita dal Papa una vittima innocente, quando era molto coinvolta nel mondo dell’informazione per giustificare e sostenere l’invasione russa dell’Ucraina. Inoltre l’Ucraina nega ogni responsabilità nell’attentato: «Non siamo uno Stato terrorista come la Russia», è la linea stabilita da Kiev.

C’è da dire che il malumore di Kiev nei confronti di papa Francesco viene da lontano, fin dai primi giorni dell’invasione, perché il Pontefice all’inizio si mantenne molto prudente nella condanna dell'aggressione, non volendo mettere a rischio il dialogo ecumenico con il patriarca ortodosso di Mosca Kirill, con cui era già programmato un incontro a giugno, poi saltato. Il governo ucraino ha sempre cercato di recuperare il rapporto con il Vaticano per l’importanza che attribuisce al sostegno del Papa per la propria causa, ma lo ha anche ripreso duramente per evitare una sua equidistanza. E infatti una seconda incomprensione c’è stata proprio in occasione del Venerdì Santo, per l’idea di far guidare una stazione della Via Crucis a Roma a due donne, una ucraina e una russa, che avrebbero anche dovuto leggere una meditazione, poi cancellata dal programma: un auspicio di pace secondo il Papa, un intollerabile affronto secondo il governo ucraino, con la solita spiegazione: non si può mettere sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito.

Non stupisce allora la reazione ben sopra le righe per il ricordo di Darya Dugina: nel definirla una vittima innocente il Papa ha senz’altro sbagliato l’espressione, ma il fatto che la vittima sostenesse e creasse consenso alla politica aggressiva della Russia non giustifica affatto un attentato terroristico, né può far restare indifferenti davanti al suo brutale assassinio, come pretenderebbe il governo ucraino. Governo che, nell’ansia di guadagnare il più ampio appoggio internazionale nella guerra contro la Russia, sembra ignorare il ruolo particolare del capo della Chiesa cattolica, non riducibile a quello di un qualsiasi capo di stato. In questa prospettiva anche l’invito al Papa di andare a Kiev è sospetto di non essere nella logica della ricerca della pace, ma dell’alleanza contro il nemico.

Si tratta di una logica mondana, politica, anche comprensibile quando c’è una guerra, ma guai se la Chiesa si lasciasse prendere in questa trappola. E da questo punto di vista purtroppo bisogna riconoscere che, nell’ansia sincera di fare qualcosa per la pace, il Papa non riesce ad uscire da una visione orizzontale: proponendosi come mediatore politico, cercando di farsi amico a turno dell’uno o dell’altro, e ovviamente creando diffidenza in entrambi. A complicare le cose poi ci si mette anche l’uso di un linguaggio poco opportuno in certe circostanze: anche il patriarca Kirill pare essersi legata al dito la definizione di “chierichetto di Stato”, tanto che è saltato anche l’incontro previsto a settembre.

Sovviene il racconto del Vangelo in cui «uno della folla disse a Gesù: “Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità”. Ma egli rispose: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”. E disse loro: “Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni”».

Gesù non entra direttamente nella disputa, non richiama alla legge sulla divisione dei beni, non si mette in mezzo cercando di far raggiungere un accordo ai due fratelli, ma a tutti ricorda una verità più profonda che illumina anche la disputa in oggetto, che indica la corretta posizione umana davanti al problema concreto. Questo è il contributo più grande e più utile per risolvere le dispute terrene. E questo è anche il compito della Chiesa.

Certi ruoli di mediatore li può svolgere tranquillamente il segretario generale dell’Onu o chiunque altro diplomatico, la Chiesa deve richiamare ad alzare lo sguardo; a riconoscere la dignità di ogni uomo, che consiste nell’essere creato a immagine e somiglianza di Dio; a meditare sul fatto che Gesù Cristo si è incarnato, ha accettato Passione e Morte ed è risorto per amore di ogni singolo uomo; a ricordare che la guerra è figlia del peccato originale e solo la riconciliazione con Dio è la strada della pace. Intervenire nei conflitti dando giudizi più che opinabili o cercando di costruire la pace basandosi su calcoli politici trascina inevitabilmente la Chiesa a diventare parte in causa.
Cosa che purtroppo sta già accadendo in questo conflitto, che militarmente si svolge in Ucraina e limitatamente in Russia, ma che già coinvolge molti altri Paesi, a cominciare dall’Europa.