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nuovo paradigma

Omosessualità contro natura? E Chiodi ridefinisce la "natura"

Per il teologo della PAV occorre ripensare la considerazione etica sulle relazioni omosessuali superando gli assoluti morali (troppo "assoluti"): un vaso di Pandora che legittima tutto all'insegna del soggettivismo.

Editoriali 12_08_2024
IMAGOECONOMICA - ALESSIA MASTROPIETRO

Dopo il libretto Piccolo lessico di fine vita della Pontificia Accademia per la Vita (PAV) e la triplice intervista del suo presidente, Mons. Vincenzo Paglia, che aprivano ad eutanasia e suicidio assistito,  ecco che è arrivato il turno di don Maurizio Chiodi, membro della PAV e nostro affezionato cliente da anni.

Chiodi viene intervistato dall’agenzia di stampa dei vescovi tedeschi Katholisch.de e ripropone una sua vecchia tesi: «Credo che oggi occorra ripensare le tradizionali – e incomprensibili per il nostro tempo – considerazioni etiche sull’omosessualità». Come ripensare l’omosessualità, ossia come arrivare ad esprimere un giudizio positivo su di essa? Occorre naturalmente smarcarsi dai criteri cattolici che la giudicano in modo definitivo – dato che è un giudizio di diritto divino positivo – come una condizione intrinsecamente disordinata che genera condotte intrinsecamente immorali. Il nemico pubblico numero uno è il riferimento alla natura umana intesa in senso metafisico. L’omosessualità è contro natura perché natura significa fine. Il rapporto carnale omosessuale non riesce a soddisfare due delle finalità naturali del rapporto sessuale: la procreazione e l’unità, la quale unità è possibile solo se le due persone sono sessualmente complementari e quindi appartenenti a sessi differenti. Se dunque il paradigma è quello della natura così intesa, non è possibile promuovere l’omosessualità al rango delle condizioni rispettabili.

Sono allora indispensabili nuovi criteri. Sul punto Chiodi è chiaro: «l'obiettivo principale del nostro gruppo è proporre dei criteri, cioè un metodo, uno stile e un modo di affrontare questioni e argomenti controversi». Quindi criteri/principi nuovi che permettano di interpretare in modo altrettanto nuovo la vecchia morale cattolica. Ecco ad esempio come fornire una inedita accezione di natura grazie a questi criteri: «Se in passato si parlava dell'omosessualità come “contra naturam”, oggi dobbiamo chiederci: cosa significa “natura”? Questa parola latina ha molti significati – molto diversi –, soprattutto il significato di universalità, e dobbiamo riconoscere che l’universalità è necessaria per la conoscenza morale. Ma non possiamo pensare all'universalità (il bene e la legge) senza la singolarità (la coscienza), […]  La morale non può ridursi a una ragione che non sia profondamente impegnata nell'esperienza e nel vissuto di una coscienza individuale con la sua cultura specifica». Dunque all’oggettività del finalismo della natura umana si contrappone la soggettività del finalismo della coscienza del singolo, non intesa come retta coscienza che decide secondo l’orientamento della natura, ma intesa come arbitrio della persona, mera volontà. L’universalità della natura umana viene quindi scalzata dalla particolarità della coscienza individuale.

Perciò il criterio apparentemente nuovo è il soggettivismo unito alla fenomenologia etica. Vediamo questo secondo criterio, nemmeno questo inedito: «Penso che, dati i problemi attuali, non si possa procedere ricavando le cosiddette “soluzioni” da principi astratti. Dovremmo partire sempre dall’esperienza, dalla storia concreta delle persone, senza dimenticare, naturalmente, la questione del bene universale che è contenuto in ogni situazione. Solo alla fine di questo processo siamo capaci di riconoscere cose buone concrete e possibili. […] Dobbiamo quindi accettare seriamente cosa significano la storicità della fede cristiana, la sua esperienza morale e le testimonianze ad essa legate. Il processo – o virtù – del discernimento continua riflettendo insieme sul “bene” contenuto in tutte le situazioni e posizioni concrete […] Al termine della distinzione c'è la decisione sul bene morale che è possibile in questa situazione complessa e poco chiara».

Quindi i principi morali generali – compresi in primis i principi non negoziabili – vengono sostituiti da regole particolari personali, una sorta di leggi ad personam, redatte dalla coscienza del singolo che interpreta il proprio contingente, la situazione specifica. Perché la norma è astratta, estranea al vissuto particolare, ed invece le esigenze sono concrete e legate alla persona. Prevale la coscienza del singolo perché chi meglio del diretto interessato conosce la propria situazione personale? Siamo nel pieno del situazionismo etico, del relativismo soggettivo. Non è più la natura umana ad essere fonte prossima della legge morale, bensì la coscienza del singolo, prona alle proprie passioni, desideri e capricci. La metafisica viene uccisa dall’empirico, il trascendente dall’immanente, l’universale dal particolare, il principio dall’esperienza. È la medesima prospettiva di Mons. Paglia quando afferma di prediligere l’ “a posteriori” rispetto all’ “a priori”. I principi, le leggi, i dogmi sono da annientare a favore del momento concretissimo il cui interprete più autorevole è il soggetto stesso. Ecco spiegato lo stereotipo dell’ascolto: è la persona la fonte della moralità perché solo lui è l’attore della propria esperienza, solo lui è il più competente nel discernimento della propria condizione esistenziale. Dunque ascoltiamolo.

Tramite quest’approccio la dinamica dell’azione morale non parte dall’alto – il Decalogo – per declinarsi verso il basso – la singola azione – bensì l’hic et nunc indica la norma morale particolarissima che mai potrà elevarsi ad una sintesi etica. Il principio induttivo vince su quello deduttivo. L’anabasi – la salita – prevale sulla catabasi – la discesa. La morale viene costretta nei minimi frammenti di tempo e spazio. Viene così eliminata la categoria degli assoluti morali, che sono così chiamati perché sono ab-soluti, ossia norme la cui validità è sganciata dalle condizioni e dai fini remoti, cioè proprio i due criteri – circostanze e fini indicati dalla coscienza – proposti da Chiodi. In tal modo il non uccidere può trovare eccezione nel rifiuto della nutrizione e idratazione assistita, il non commettere adulterio nell’incontro con la persona “giusta”, il divieto di usare metodi contraccettivi nello stato di necessità ed in esigenze moralmente superiori e così via.

Ne consegue che il criterio afferente al situazionismo combinato con quello dell’arbitrio del singolo non può che legittimare anche l’omosessualità, da assecondare dunque in ambito pastorale: «qual è il bene possibile per una persona simile? La questione della persona omosessuale è vivere la propria sessualità riconoscendo la propria vocazione a relazioni capaci di vicinanza, cura, comunione e fedeltà all'altro, e ricercando il bene che gli è concretamente possibile».

Perciò è il contingente oggetto di discernimento da parte della coscienza del singolo che indica il bene, il principio morale particolarissimo. Questa dinamica morale viene trasferita pari pari in ambito ecclesiale: è la prassi, quindi la pastorale che struttura la dottrina e non viceversa. Così si esprime il Nostro: «questa risposta [il riferimento è a Fiducia supplicans] del Vaticano solleva un’altra domanda: come possiamo riformulare il nostro approccio teorico sulla base di questo nuovo atteggiamento pastorale?». Tradotto: se si possono benedire le coppie gay vuol dire che l’omosessualità è un bene.

Il riferimento poi di Chiodi all’universalità – ossia ad un plesso di norme morali valide sempre, comunque e per chiunque – risulta necessariamente in contraddizione con le sue premesse teoriche e quindi appare solo come un paravento, un accenno di facciata, una posa dovuta all’ortodossia, un tributo sborsato per non sembrare eccessivamente eterodosso. Esattamente come ha fatto Paglia quando, nelle interviste e nel Lessico, si pronunciava contrario ad eutanasia e suicidio.



Allergia alla dottrina

Eutanasia e suicidio assistito, la toppa di Paglia è peggio del buco

Dopo le critiche ricevute per il Piccolo lessico del fine-vita, mons. Vincenzo Paglia rilascia tre interviste in cui conferma gli errori dell’opuscolo della Pav. Il suo rifiuto di eutanasia e suicidio assistito è solo formale, mentre nella sostanza la sua posizione contraddice la dottrina della Chiesa. Lo specchietto per le allodole dell'accanimento terapeutico.

una pubblicazione choc

Gratta gratta, la Pav ritiene leciti eutanasia e suicidio assistito

La Pav di Paglia dà alle stampe il "Piccolo lessico del fine-vita" da cui emerge la sua linea di favore verso l’eutanasia e il suicidio assistito. Come? Legittimando le Dat e qualificando come giuridicamente legittima una condotta legata al suicidio assistito. 

LE RICADUTE DI AMORIS LAETITIA

Offensiva catto-gay tra Avvenire e l'istituto di Paglia

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- IN UN DIZIONARIO IL TESTAMENTO DELL'ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II, di Stefano Fontana

LA SPARATA DI DON CHIODI

Contraccezione, chiodo fisso della neo chiesa

29_08_2022 Luisella Scrosati

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