Nicaragua, la persecuzione della Chiesa è conclamata
Nicaragua, nel bel mezzo della contestazione popolare e della repressione armata, il presidente sandinista Daniel Ortega ha tuonato in pubblico contro la Chiesa, accusandola di essere parte attiva di un progetto “golpista”. La Chiesa risponde, invece, con digiuno e preghiera. E le profanazioni sandiniste continuano
In Nicaragua continua la sanguinosa repressione del governo sandinista del presidente Daniel Ortega. Dall’inizio delle contestazioni in aprile, che chiedono le sue dimissioni, i morti sono centinaia: da 270 a 351 a seconda delle stime. L’esercito e le formazioni paramilitari hanno riconquistato Masaya, ex roccaforte sandinista che in questi mesi era stata teatro di proteste e occupazioni da parte dell’opposizione democratica. Il numero delle vittime a Masaya è tuttora sconosciuto. E c’è una novità, un passo in più nell’escalation: ormai, c’è una persecuzione conclamata della Chiesa cattolica.
Come avevamo già avuto modo di scrivere su queste colonne, la violenza contro la Chiesa, con profanazioni e agguati ai vescovi, era aumentata col tacito consenso del governo sandinista del presidente Ortega. Adesso non è più “silente”. Il 19 luglio in occasione del 39mo anniversario della rivoluzione del 1979, che rovesciò il dittatore Somoza e portò al potere i sandinisti per la prima volta, il presidente ha tuonato in pubblico contro la Chiesa nicaraguense, accusandola di essere parte attiva di un progetto “golpista”. La Chiesa risponde, invece, con digiuno e preghiera.
Come nelle più rodate macchine della propaganda dei regimi totalitari, anche i sandinisti ribaltano la realtà. In questo caso, lo hanno fatto nel modo più grottesco immaginabile: accusando i vescovi del paese di essere “satanici”. L’accusa è stata lanciata dallo stesso presidente Ortega, proprio alla vigilia di una giornata di preghiera e digiuno, indetta quale atto di riparazione per la profanazione di almeno sette chiese da parte dei paramilitari sandinisti. I sandinisti sono marxisti. “Fra cristianesimo e rivoluzione, non c’è contraddizione”, cantavano nel 1983, come contestazione alla visita di Giovanni Paolo II. Le aggressioni alle chiese nicaraguensi di queste settimane sono incominciate da quando la Conferenza Episcopale locale, con una lettera aperta del 7 giugno scorso, si è detta disposta a far da mediatrice suggerendo quale atto di buona volontà l’anticipo di due anni delle elezioni, nel 2019, l'anno prossimo, invece che nel 2021. Eppure, proprio per questa proposta di mediazione e compromesso, Ortega accusa i vescovi del paese di essere dei “golpisti”.
“Io non ho alcuna intenzione di fare un colpo di Stato – ha dichiarato ieri il cardinale José Brenes Solorzano ai microfoni di Euronews – perché non sono un politico. Nessuno dei vescovi è un politico. Nessuno di noi vuole assumere la presidenza, né vogliamo formare un partito politico”. Il cardinale parla apertamente di persecuzione: “La Chiesa è perseguitata in varie parti del mondo oggi – ha detto Brenes - fa parte della Chiesa, che è sempre stata perseguitata. Noi non siamo estranei” a questo fatto. E nonostante tutto, gli attacchi, le minacce, le profanazioni, i vescovi si dicono ancora disposti a mediare, fra governo e piazza. “Chiaramente continuare il dialogo in questo momento sarà difficile a causa dell’atteggiamento del governo e del linguaggio diffamatorio contro la Chiesa – ha dichiarato mons. Brenes, concludendo che, tuttavia - non ci fermeremo e cercheremo di nuovo il dialogo”. Ha convocato una riunione dei vescovi del paese: “Mediteremo sulle parole del presidente Ortega e poi prenderemo una decisione, perché il popolo del Nicaragua ci sta invitando, dicendo che dobbiamo continuare come mediatori e testimoni. Mediteremo e vedremo qual è la posizione migliore da tenere”.
Domenica, tutta l’America latina ha pregato per il Nicaragua. Il Celam, Consiglio episcopale latinoamericano, ha indetto una Giornata di preghiera per esprimere “vicinanza e solidarietà al popolo del Nicaragua e ai suoi pastori profeti di giustizia, di fronte alla drammatica e dolorosa crisi sociale e politica che lì si vive attualmente”. Sabato scorso, nella capitale Managua, centinaia di oppositori politici nicaraguensi, sono scesi pacificamente in piazza, per chiedere la fine delle violenze ed esprimere la loro solidarietà alla Chiesa. “I vescovi hanno insistito per sedersi al tavolo e attendere che ci fossero le condizioni giuste: fermare la repressione e la smobilitazione dei paramilitari, qualcosa che non è mai stato realizzato” ha dichiarato in quell’occasione Ernesto Medina, di Alleanza Civica per la Giustizia e la Democrazia, partito dell’opposizione. Solidarietà internazionale anche dall’associazione Idea (Iniziativa Democratica della Spagna e delle Americhe), che riunisce 20 ex presidenti anti-populisti dell’America latina e l’ex premier spagnolo Aznar. Nella sua ultima dichiarazione del 23 luglio, Idea denuncia “la violazione sistematica, grave e generalizzata dei diritti umani sofferta dai popoli del Nicaragua e del Venezuela”. Idea esprime anche una critica forte nei confronti del Vaticano, nel momento in cui scrive: “Esprimiamo la nostra preoccupazione per il silenzio, lo zelo prudente e il cambio di condotta di alcuni attori fondamentali dell'opinione pubblica, come lo Stato Vaticano e ora il governo della Spagna, di fronte alle atrocità che si registrano in America Latina da parte di governi apertamente dittatoriali”.
Intanto le profanazioni dei sandinisti continuano. Il 20 luglio stesso, hanno attaccato la cappella di Nuestra Señora del Carmen, nella diocesi di Jinotega, vandalizzando l’altare, gettando a terra le ostie e oggetti sacri. Il 10 luglio, i paramilitari fedeli al governo sandinista avevano attaccato, saccheggiato e parzialmente bruciato anche la chiesa di Santiago apostolo di Jinotepe, una parrocchia accusata di aver ospitato i manifestanti feriti dalla polizia e dai paramilitari. E poi, come dimenticare il fallito attentato al vescovo di Estelì, mons. Juan Mata? O l’assedio degli studenti rifugiatisi nella chiesa della Divina Misericordia, il 13 e 14 luglio scorsi? E l’aggressione subita da monsignor Brenes, dal vescovo ausiliare Silvio Baez, e al nunzio apostolico, monsignor Waldemar Stanislaw Sommertag nella chiesa di San Sebastian, il 9 luglio? Insomma, una persecuzione conclamata e crescente.