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IL CANONISTA

Mostra blasfema, Comotti: «Ascoltare il popolo, basta clericalismo elitario»

«Basta con il clericalismo elitario: se il sensus fidei dice che è blasfema, allora quell’opera non deve stare in una chiesa». La mostra di Carpi tiene banco al convegno internazionale di diritto canonico di Venezia davanti al patriarca Moraglia. Il professor Comotti alla Bussola: «L'arte sacra deve approfondire la fede, non ferirla». 

Ecclesia 08_03_2024

«Basta con il clericalismo elitario: se il sensus fidei popolare dice che è blasfema, allora quell’opera non deve stare in una chiesa». Quando il professor Giuseppe Comotti pronuncia queste parole, il selezionato uditorio della Facoltà di diritto Canonico San Pio X di Venezia, composto da vescovi e sacerdoti, aveva già rivolto in contemporanea gli schermi di tablet e pc sugli articoli della Bussola che parlavano della mostra di Carpi.

E Comotti, che nel campo del diritto canonico è considerato un vero e proprio “luminare”, insegnandolo a Venezia e a Verona, dove ha la cattedra di diritto canonico ed ecclesiastico, non si è sottratto ad un’analisi del caso del momento sollevato dai nostri articoli sulle opere blasfeme in mostra nella chiesa di Sant’Ignazio al Museo Diocesano, che stanno facendo indignare un intero popolo.

E così che, davanti al patriarca di Venezia Francesco Moraglia, ai vescovi di Vicenza Giuliano Brugnotto e Belluno Renato Marangoni nonché del segretario del Dicastero per i testi legislativi Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, ha espresso la sua personale, ma autorevole opinione. L’argomento del convegno internazionale al quale partecipava era quanto mai centrato: Chiesa e beni culturali, tutela e valorizzazione. E ad un certo punto, Comotti ha fatto una inaspettata, ma coerente digressione.

Come l’è venuto in mente di citare la mostra più discussa del momento, professore?
Stavo facendo un commento di carattere canonistico sul controllo che le diocesi devono effettuare per le opere in entrata e uscita dalle chiese, per ribadire che il compito della Chiesa è quello di valutare che il linguaggio dell’arte, quando entra negli ambienti ecclesiali, sia rispettoso della sensibilità popolare. E così mi sono permesso di fare un esempio prendendo a riferimento il caso Carpi.  

Alt, qua siamo ad uno scontro titanico: le esigenze dell’arte e la sensibilità popolare. Ma la Diocesi di Carpi ha già chiarito che le opere non sono blasfeme perché bisogna entrare nel linguaggio dell’artista e capire che cosa volesse dire.
Quando si parla di beni culturali della Chiesa il collegamento con il popolo di Dio è obbligato, non cadiamo in uno sterile clericalismo, peraltro condannato spesso da Papa Francesco. Se le scelte degli ecclesiastici sono fatte senza tenere conto del popolo di Dio, si va fuori dai canoni dell’arte.

Chiariamo, però. La cosiddetta sensibilità popolare è così importante? Come fa addirittura ad essere più importante di quello che l’artista voleva dire?
Perché le opere sacre sono finalizzate alla fede del popolo e la sensibilità popolare è così importante che può arrivare a livelli teologici molto alti quando si parla di sensus fidei che è uno degli strumenti per individuare i dogmi. Certo, quella è la dimensione più alta, ma c’è anche un sentire comune che un pastore, se ha l’odore delle pecore, deve sentire.

Che cosa deve sentire?
Sentire ciò che il popolo di Dio percepisce nelle vicende della storia anche in rapporto alla fede. Il pastore che vive con il suo gregge deve percepire e avere rispetto per la gente comune, che non va presa in giro.

Lei che cosa vede nel “Longino” dell’artista Andrea Saltini?
Una volgarità estrema. Se la Diocesi di Carpi ribatte che bisogna guardare l’opera con uno sguardo limpido perché “omnia munda mundis”, allora cerco di essere il più limpido possibile e ci vedo una sola cosa; per questo dico che l’occhio dei semplici va lasciato stare perché a vederci una sola cosa sono proprio i semplici.

E che cosa?
Non vorrei apparire malizioso, ma anche l’atteggiamento di Gesù, con quel capo reclinato all’indietro è di una volgarità estrema. Al di là di qualunque intenzione espressiva.

E della nudità?
Verosimilmente Gesù sulla croce era nudo, ma da sempre l’arte cristiana l’ha sempre rappresentato con un perizoma.

Un’esigenza di censura?
No, un’esigenza di pietà cristiana.

Anche il comunicato della Diocesi che fa riferimento al messaggio di Papa Francesco agli artisti…
È proprio quel messaggio a dire che bisogna prestare attenzione anche ai poveri che sono al centro, ma i poveri si riferisce alla semplicità del popolo di Dio, non si tratta di categorie economiche. Chi sovrintende queste scelte deve tenere conto di rispettare il popolo di Dio, non si possono imporre i propri gusti personali.

La posizione della Diocesi e quindi del vescovo di Carpi, Castellucci, è stata di difesa dell’artista e di velata accusa al popolo a non essere malizioso…
Dare la colpa alle persone che non capiscono è un rovesciamento.

Da esperto di diritto canonico si può configurare una violazione o peggio ancora un reato?
È un po’ difficile configurarlo dal punto di vista canonico, perché manca l’intenzione, non c’è l’accompagnamento del dolo anche se la sottovalutazione delle reazioni da parte della diocesi è grave.

Sono partite delle petizioni, ci saranno dei rosari pubblici di riparazione e dei volantinaggi per farla chiudere. A suo avviso che cosa deve fare il vescovo?
Non spetta a me questa considerazione, mi chiedo soltanto: un’opera di questo genere sarebbe stata accolta in un museo civico? Credo di no; e in un contesto islamico avrebbero permesso una mostra con immagini che mettessero in cattiva luce il profeta?

No.
Appunto.

Perché il vescovo ha difeso l’artista e non il popolo, allora?
Me lo sono chiesto anche io. Quando si allestiscono queste cose ci può stare una svista, prendere un abbaglio, ma bisogna cercare di ammetterlo e riparare per il bene dei fedeli. Non possiamo fare dell’arte in chiesa una questione elitaria. Così come non dobbiamo fare dell’arte sacra un’opera fine a sé stessa, ma sempre domandarci di fronte ad un’opera che raffigura il sacro, una cosa sola.

Che cosa?
A che cosa serve quest’opera? Ad approfondire la fede? Allora deve avere questo scopo, non provocare. Diversamente è solo una ferita inferta ai fedeli.



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